— Preferirei venire con voi. — Carewe sentiva il bisogno di affrontare il battesimo dell’azione e ancora di più, per ragioni che gli sfuggivano, voleva fare buona impressione su Storch. Forse, si trattava solo del patetico desiderio di dimostrare che, dietro la facciata esterna da freddo, lui era ancora un “uomo”.
— Siamo a corto di personale, signor Carewe, ma non potrei mai permettervi di correre un rischio simile.
— La responsabilità è soltanto mia.
Storch esitò. — Va bene. Però restate in coda agli uomini e non uscite allo scoperto finché non vi darò il segnale. Chiaro?
— Chiarissimo.
Il gruppo s’incamminò sul sentiero. Ascoltando qua e là frammenti di conversazione, Carewe scoprì che quello verso cui si stavano dirigendo non era un villaggio vero e proprio, ma semplicemente un agglomerato di edifici sparsi su una superficie di quattro chilometri quadrati circa e divisi in gruppi di dodici capanne al massimo. Il gruppo di capanne che avevano davanti sarebbe stato affrontato per primo, e nessuno poteva prevedere che razza di accoglienza li aspettasse. I rapporti preliminari indicavano che i Malawi non possedevano armi da fuoco, ma non si sapeva esattamente quanto fosse attendibile l’informazione.
Quando apparve la prima delle capanne col tetto di foglie, gli uomini si divisero, disperdendosi nella vegetazione. Carewe ebbe l’impressione che gli altri non fossero dilettanti come lui. Si nascose automaticamente dietro un albero, in attesa degli eventi. Gli sembrava di essere un bambino che giocasse ai cow-boy. Il silenzio era assoluto, a parte il ticchettio costante della pioggia.
D’improvviso, gli uomini delle Nazioniunì si misero a correre. Le loro armature verdi sembravano corazze di insetti giganteschi. Avanzarono fra le nubi di vapore che si alzavano dal suolo, chiudendo a tenaglia le capanne. Il cuore di Carewe cominciò a battere forte, quando si udì un grido. Seguirono urla rauche e altre grida in un crescendo tumultuoso, poi tornò una calma relativa. Apparve la figura robusta di Storch, che fece un cenno a Carewe e svanì di nuovo tra le capanne.
Carewe corse avanti con una certa riluttanza e raggiunse le capanne. Gli uomini della squadra avevano circondato una decina di indigeni, tutti con un’espressione depressa. Parecchi se ne stavano inginocchiati nel fango, ma alcuni continuavano a lottare, ed era difficile tenerli fermi. Donne e bambini guardavano dalla soglia delle capanne, e ogni tanto lanciavano gemiti ululanti. Uno degli uomini in ginocchio aveva una brutta ferita alla testa. Un rivolo di sangue scarlatto che si mescolava alla pioggia gli scendeva lungo la schiena. Guardando il sangue, Carewe avvertì una fitta ai testicoli. Di colpo, provò una ripugnanza estrema per quello che gli uomini delle Nazioniunì stavano facendo.
— Il nostro antropologo, dottor Willis — disse Storch, comparso al suo fianco. — Seguitelo. Somministrate il biostatico a tutti quelli che secondo lui sono al di sopra dei sedici anni.
— Sedici anni! È il limite ufficiale?
— Sì. Perché?
— Mi sembra che siano un po’ troppo giovani per…
— Questi sono primitivi, signor Carewe. Primitivi. Non fatevi illusioni. Non priverete nessuno della meravigliosa esperienza del primo amore, o roba del genere. A sedici anni, qui c’è gente che dovrebbe già essere impotente.
— Mi sembra troppo presto lo stesso — insistette Carewe. Poi diede un’occhiata di sbieco a Willis, un freddo con sopracciglia bianche come le ali di un gabbiano.
— Lo so cosa state pensando, signor Carewe — disse Willis. — Ma qui abbiamo a che fare con individui che hanno rifiutato tutti i valori della nostra civiltà. È un loro privilegio, naturalmente. Non è che noi vogliamo costringere nessuno all’immortalità. Però è altrettanto giusto che non permettiamo loro di uccidere altri esseri umani.
— Non è né il momento né il posto per un indottrinamento — intervenne, secco, Storch. — Vi avevo consigliato di tornare al campo a riposare, signor Carewe. Se non siete pronto per il lavoro, state solo sprecando il tempo vostro e quello di tutti gli altri. Quindi, avete intenzione di somministrare il biostatico in modo che io possa avanzare nel villaggio, oppure devo fermarmi qui e pensarci da solo?
— Faccio io — mormorò Carewe, e aprì la borsa. — Mi spiace. Forse sono un po’ scosso.
— Tutto a posto. — Storch fece un segnale, e quattro uomini lo raggiunsero. Assieme, ripartirono di corsa tra le capanne.
— Cominciate con questi tre. — Willis gli indicò gli indigeni tenuti fermi dagli uomini della squadra. Due si immobilizzarono immediatamente, ma il terzo raddoppiò gli sforzi per liberarsi. Era sui vent’anni, con braccia robustissime. Le vene varicose che sporgevano all’altezza dei bicipiti lasciavano intuire lunghe ore di lavoro duro. I due uomini che lo tenevano fermo volarono quasi via: scivolarono sul fango, in una specie di danza grottesca. Carewe si protese in avanti, pistola ipodermica alla mano. L’indigeno, con una smorfia di terrore e di odio, si ritrasse così violentemente che i due uomini caddero a terra con lui.
— Cosa stai aspettando? — urlò uno dei due, disgustato.
— Scusate. — Carewe girò attorno ai due, giunse alle spalle del primitivo, gli sparò il liquido nel collo. L’indigeno si afflosciò. Dopo qualche secondo, i due uomini delle Nazioniunì lo lasciarono andare e si alzarono. Carewe si avvicinò agli altri due indigeni, che per fortuna erano completamente sottomessi e gli presentarono i polsi senza la minima resistenza. Eppure, quella loro arrendevolezza gli parve ripugnante. Continuò a tenere d’occhio il primo selvaggio a cui aveva somministrato il biostatico. Lo vide incamminarsi debolmente verso la soglia di una capanna, dove una ragazza alta lo strinse fra le braccia. La ragazza tolse dalla pettorina dell’uomo, l’unica cosa che gli coprisse il petto, qualche schizzo di fango, come una madre che si prendesse cura del figlio. Gli dal tetto di foglie, si aprirono e si chiusero lentamente. Fu come se due eliografi inviassero a Carewe messaggi dal contenuto enigmatico. “Ho rinunciato troppo in fretta ad Athene.” Quel pensiero esplose nella sua testa come una granata. “Dovrei tornare da lei.”
— Li abbiamo sistemati tutti — disse uno degli uomini in uniforme da combattimento, pulendosi la faccia dal sudore e dalla pioggia. — Andiamocene.
La mente di Carewe era sommersa da immagini di Athene. — E le donne?
— A loro non dobbiamo pensarci. Di solito si presentano spontaneamente a uno dei centri delle Nazioniunì. Sta a loro decidere.
— Oh. — Carewe rimise nella borsa la pistola ipodermica. — Le donne non contano.
— Nessuno ha detto che non contano. E solo che non se ne vanno in giro ad ammazzare gente, ecco tutto.
— Che signorilità — commentò Carewe. Gli altri si stavano preparando a incamminarsi nella direzione presa da Storche dai suoi quattro uomini. — Un attimo, per favore. Vorrei parlare col primo uomo a cui ho fatto l’iniezione.
— Io non te lo consiglierei, amico.
Nemmeno Carewe pensava che fosse una mossa intelligente; però, nella sua immaginazione, il primitivo che si era ribellato così a lungo rappresentava lui stesso. Anche se nel sangue e nei tessuti del Carewe nero non era entrato l’E-80, per cui Carewe aveva tutti i vantaggi. Si avviò nella radura al centro delle capanne, sotto lo sguardo di uomini e bambini; raggiunse la capanna sulla cui soglia era ancora fermo, a testa china, l’indigeno sporco di fango. Al suo avvicinarsi, la ragazza si ritrasse fra le tenebre dell’interno.
— Parli inglese? — chiese, incerto.
L’uomo alzò la testa. I suoi occhi trafissero come spilli lo sguardo di Carewe, in una manifestazione silenziosa ma eloquente di ostilità; poi il primitivo voltò la faccia verso la parete della capanna.