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Carewe trovò difficile sorridere. Colleen cominciava a parlare come tutte le ragazze frustrate che aveva conosciuto, quelle che spesso finivano con l’iscriversi a un club priapico; eppure gli era parsa tanto diversa. Di colpo, capì che la metamorfosi era iniziata quando lei gli aveva chiesto se fosse sposato. Restò a guardarla, preoccupato, mentre si arrampicava sull’albero e raggiungeva senza difficoltà il sedile. Poi la ragazza prese qualcosa dal sedile, se lo portò alla bocca, e lui udì vagamente la sua voce mischiarsi al rumore dell’elicottero. Un minuto dopo, Colleen era di nuovo a terra, e si infilava la camicetta azzurra nella sottana.

— Ci mandano giù due gabbie. — Il suo tono di voce era indifferente.

— Colleen — disse lui, in fretta, — forse questa è l’ultima possibilità che abbiamo di parlarci da soli.

— Può darsi.

Carewe le prese le mani. — Sono sposato da dieci anni, e stanotte ho tradito mia moglie per la prima volta. L’unica volta. — Lei cercò di allontanare le mani, ma lui le tenne strette. — Però non sono sicuro di avere ancora una moglie. E successo qualcosa. Non posso dirti di cosa si tratta. Comunque il fatto che io sia in Africa, che finga di essere freddo e che cerchi di non farmi ammazzare rientra in questo qualcosa.

— Perché me lo dici?

— Perché non voglio che tu pensi che me ne torno al tepore del focolare, tra le braccia di mia moglie, dopo essermi divertito. Non sono uno che fa le cose per caso…

— Ma perché mi stai dicendo questo?

— Perché per me tu sei importante. Potrei amarti, Colleen.

Negli occhi della ragazza si accese una luce di sfida. — Credi?

— Ne sono sicuro. — Quelle parole rattristarono Carewe perché erano quasi, ma non completamente, vere. Era grato a Colleen, e una gratitudine che non riesce a esprimersi perfettamente si trasforma in senso di colpa. — Senti, se dovessi scoprire di non avere più moglie…

— Non dirlo, Will. — Si sforzò di sorridere. — Non diventare troppo nobile.

Carewe le lasciò andare le mani. Istintivamente, si separarono, mentre le due gabbie scendevano tra le fronde degli alberi.

11

Fu solo quando si trovò a volare sopra l’Atlantico, diretto a ovest, che Carewe cominciò a rilassarsi. Per non svelare i propri movimenti, aveva preferito non pagare attraverso i canali normali, cioè attraverso la Farma. Aveva usato il suo credito-disco per i due voli da Kinshasa a Lisbona, e da Lisbona a Seattle. A Lisbona aveva tremato per un attimo, quando aveva scoperto che il biglietto costava più di mille neodollari: non aveva idea se il suo conto personale arrivasse a coprire quella cifra. Però il computer non aveva fatto obiezioni, e solo allora gli era tornato in mente che quel mese il valore del neodollaro era straordinariamente alto rispetto all’escudo.

Uno degli effetti collaterali dell’immortalità era stato la necessità di ristrutturare i sistemi monetari del pianeta. Anche senza tener conto dell’aumento di produttività, il reddito medio di un individuo negli Stati Uniti (stimato sui cinquemila dollari alla metà del ventesimo secolo e proiettato a un tasso di sviluppo minimo del 2,5 per cento) avrebbe raggiunto, nel giro di tre secoli, un tetto di più di otto milioni di dollari l’anno. L’avvento della biostasi, che permetteva a tutti di sfruttare al massimo le risorse naturali e le capacità cerebrali, aveva portato l’aumento annuo di produttività nell’ordine del dieci per cento, per cui erano diventati prevedibili redditi annui di un miliardo di dollari. Per impedire che il dollaro si trasformasse in un’unità di misura priva di significato, il suo valore veniva fissato in base a una percentuale costante del prodotto nazionale lordo, calcolato di mese in mese. Gli altri Paesi avevano adottato misure simili grazie ad accordi internazionali, ed era stata creata anche una riserva monetaria delle Nazioniunì, per assorbire le eventuali disparità fra le monete dei diversi Paesi.

L’aereo stava scendendo negli strati più densi dell’atmosfera, quando Carewe, affondato nel sedile, fece una strana scoperta. Aveva volato per qualcosa come ottomila chilometri senza immaginare nemmeno una sola volta la possibilità di un incidente. I pericoli di un disastro aereo erano niente se paragonati alle esperienze vissute a terra negli ultimi due giorni, eppure era sopravvissuto. Si era trovato in situazioni in cui la sua vita dipendeva solo dalle sue capacità, e le aveva affrontate con successo. Quel pensiero lo riempì di un gelido stupore che non l’abbandonò nemmeno quando sbarcò a Seattle. Viaggiando da est a ovest, aveva guadagnato tempo: a Seattle era ancora pomeriggio. Riuscì a prendere un volo locale che lo depositò a Three Springs al tramonto.

Gli edifici coloratissimi si stavano facendo bui. Finestre e pareti a specchio riflettevano il colore verderame del cielo. Il mondo aveva di nuovo un aspetto caldo, familiare. La sensazione di pericolo che Carewe avvertiva diminuì d’intensità. Adesso gli sarebbe bastato scoprire che Athene lo aspettava a casa, e l’interludio africano sarebbe svanito come un sogno. Al garage dell’aeroporto si fece consegnare la sua pallottola e guidò lentamente verso casa. La bolla era buia, come lui immaginava già; ma, vedendola, ammise con se stesso di aver segretamente sperato nel ritorno di Athene. Entrò, accese le luci. Athene aveva messo tutto in ordine prima di partire: sembrava che lì dentro nessuno avesse mai vissuto. L’aria era fredda, sterile.

“Come ho potuto permettere che succedesse?” Carewe era sconvolto dalla propria stupidità, dall’assoluta mancanza di tatto con cui aveva affrontato le circostanze; Una volta che l’E-80 gli era entrato in corpo, avrebbe dovuto chiamare Barenboim e lasciare che fosse lui a convincere Athene della verità. Invece, aveva sacrificato il proprio matrimonio per proteggere gli interessi della Farma, e il sacrificio era stato inutile, perché qualcun altro sapeva dell’E-80, o almeno sospettava. Carewe era stanco, e il suo polmone sinistro sbuffava come se avesse corso; ma decise di andare da Athene, per sistemare le cose. Se necessario, l’avrebbe portata da Barenboim; però esisteva un modo più semplice e infinitamente più piacevole di dimostrarle che era ancora un maschio attivo…

Raggiunse il comunicatore, diede il numero della comune in cui viveva Katrina Targett, la madre di Athene, ma poi annullò la chiamata prima di avere la linea. La comune distava poco più di quindici chilometri. Poteva arrivarci in qualche minuto. Erano trascorsi più di due anni dall’ultima volta che c’era stato, ma riuscì a impostare, sull’orientatore della pallottola, i numeri delle coordinate dell’edificio. L’orientatore gli disse, man mano che procedeva, quali strade imboccare. Le tenebre erano fitte quando si fermò davanti alla comune. Era un edificio a due piani, del tipo standard concesso alle donne che volevano vivere assieme in gruppo. Esistevano appartamenti singoli per le donne con figli piccoli, e per chi decidesse di unirsi per un po’ a un maschio, ma gli altri aspetti della vita in quel luogo erano in buona parte comunitari. A Carewe la comune non piaceva, probabilmente perché sua madre aveva continuato ad abitare in un appartamento singolo dopo che suo padre era partito in cerca di nuove avventure.

La porta era aperta. Entrato nell’atrio rettangolare, trovò una ragazza bruna e snella, apparentemente sui venticinque anni, intenta a curare un giardino. Sembrava quasi la madre di Athene; ma Carewe, pessimo fisionomista, non ne era sicuro.

— Signora Targett? — Le si avvicinò. — Siete la madre di Athene?

Lei lo fissò sorridendo, ma il sorriso non riuscì a nascondere la freddezza del suo sguardo quando la donna notò la faccia glabra di Carewe. — No.

— Scusatemi. Mi sembrava che foste…

— Una della famiglia? — La sua voce era profonda e calda. — Infatti. Sono la nonna di Athene. E voi chi siete?