Lo studio del dottor Westi si trovava all’ottavo piano del centro arti mediche di Three Springs,. Carewe arrivò leggermente in anticipo, ma la segretaria lo fece entrare subito. Westi, un tipo dall’aria intellettuale che si era fatto disattivare dopo i sessant’anni, gli indicò una poltrona.
— Buongiorno, Willy — lo salutò amabilmente. — Problemi di adattamento?
— Come sarebbe a dire?
— Vedo dalla tua scheda che tu e Athene siete appena diventati immortali. Pensavo che forse…
— Oh, adesso capisco. No, il sesso non c’entra proprio per niente… Ma puoi fare qualcosa per un polmone disattivato?
Gli spiegò come meglio poté quello che gli era successo, senza accennare ai motivi che lo avevano spinto a fuggire di colpo dall’ospedale delle Nazioniunì.
— Credo che dovrei esserti grato, mio giovane Willy — commentò Westi, osservandolo con aria incuriosita. — In quasi ottant’anni di pratica, è la prima volta che mi si offre la possibilità di curare una ferita da coltello. Togliti la tunica. Intanto io vedo cosa ti hanno già fatto. — Il medico accese il terminale del computer e chiese informazioni dettagliate sulle cure ricevute da Carewe in Africa. Dopo un intervallo quasi impercettibile, da una fessura uscì un lungo foglio. Westi lo studiò con interesse, poi lo mise da parte.
Tolse la medicazione dal petto di Carewe, che evitava di guardare mentre le dita calde del medico gli toccavano la ferita.
— Mi sembra tutto a posto — disse alla fine Westi, un po’ perplesso. — Esattamente, da quanto tempo ti sei fatto disattivare, Willy?
Carewe fece qualche calcolo mentale. — Dieci giorni.
— E chi ti ha venduto il biostatico?
— Lavoro per la Farma — rispose Carewe, tenendo basso il tono di voce nonostante il crescere delle apprensioni, — quindi, ovviamente…
— Ti sei iniettato l’E-dodici della Farma, vero?
— Certo. Perché me lo chiedi?
— Niente d’importante. La velocità di guarigione è forse un tantino più lenta di quanto non mi aspetterei in un immortale. Probabilmente si sono verificate complicazioni. Adesso siediti qui. Ti controllo il polmone. — Westi appoggiò un olovisore al petto di Carewe ed esaminò il polmone destro. Carewe, terrorizzato all’idea di dare un’occhiata all’interno del proprio corpo, tenne gli occhi chiusi. — Mi sembra in perfetta salute.
— Direi che possiamo rimetterlo in attività.
— Cosa devi fare? Spingerlo in alto a pressione?
— Niente di così violento. — Westi sorrise. Ti inietterò un adesivo nel torace e risistemerò il polmone al suo posto. Non sentirai niente.
Carewe annuì, depresso, e cercò di concentrare la mente sul viso di Athene.
Scendendo dallo zenit verso l’orizzonte, il sole cambiava forma mentre attraversava i confini invisibili delle zone di controllo meteorologico. Come un’ameba, come una goccia d’olio sul vetro, si distorceva, si allungava, si divideva in lacrime color sangue, si ricomponeva. Le forze esangui dell’inverno, sconfitte dalle geometrie orbitali, si addensavano a nord ma sembravano paralizzate. Carewe passeggiava senza meta nel giardino, cercando di adeguarsi al nuovo ritmo degli avvenimenti. Da quel primo mattino in cui Barenboim lo aveva chiamato in ufficio, i giorni erano stati lampi continui di luce e di buio, lo avevano sfiorato a velocità soprannaturale. Adesso, improvvisamente, in attesa della telefonata di Gwynne, si trovava prigioniero dell’ambra del tempo. Fece diverse volte il giro del giardino, accarezzando l’idea di sistemare i licheni marziani che crescevano a dismisura, ma in realtà incapace di prendere seriamente in considerazione una cosa così banale.
— Ah, ciao, Willy — esclamò una voce dal giardino accanto. — Dove sei stato ultimamente?
Carewe si girò e incontrò la faccia abbronzata di Bunny Costello che lo guardava da sopra la palizzata. — In Africa — rispose, e desiderò di essersi accorto della presenza di Costello in tempo per evitare ogni contatto. Il suo vicino era l’uomo più vecchio che conoscesse, persino più vecchio di Barenboim: era nato nella prima metà del ventesimo secolo, e la scoperta della biostasi era giunta appena in tempo per salvarlo dalla tomba.
— In Africa, eh? — Costello sbuffò, incredulo. — C’era anche la tua signora?
— Cos’hai saputo, Bunny?
— Saputo? E di che?
— Carewe sospirò forte. — Di me e di Athene. Cos’hai saputo?
— Niente. D’altronde, io non riferisco le chiacchiere. E poi sono a favore del matrimonio vecchio stampo, ragazzo mio.
“Quindi lo sanno” pensò Carewe. — Allora perché non provi a sposarti anche tu, eh? — Carewe cominciò a indietreggiare.
— Sei crudele, Willy. Molto crudele. Sono stato sposato, sai. Già. Però non riesco più a ricordarmi la faccia di mia moglie. Nemmeno il suo nome.
Improvvisamente, l’aria del pomeriggio fu fredda sulla fronte di Carewe. — Che memoria di ferro, Bunny.
— Una memoria buona come un’altra. Arriva fino a un secolo fa.
— Però io conosco gente che ricorda il doppio di te. — “A cosa servono?” si chiese Carewe. “A cosa servono un milione di domani se non te li puoi ricordare?”
— La continuità è tutto! — disse Costello, riparandosi gli occhi dal sole. — Bisogna rinforzare i ricordi, sai. Per un po’ ho tenuto un diario, ho conservato fotografie, ma ho perso tutto. Ho anche viaggiato un po’, e ho perso la continuità. Tu tieni un diario, Willy?
— No.
— Provaci. Mi basterebbe una traccia. Una sola traccia, e potrei recuperare cinquant’anni. Ma ero in Sudamerica durante l’Unificazione, e nessuno riesce più a trovare i miei documenti.
— Hai provato con l’ipnosi?
— Non serve. Le impronte cellulari sono scomparse. Scompaiono sempre, anche nei mortali, e immagino che la biostasi acceleri il processo. — Costello sorrise tristemente. — Può darsi che invecchiare e ricordare siano la stessa cosa, ragazzo mio. E se smetti di invecchiare…
A Carewe occorse parecchio tempo per liberarsi di Costello e tornare nell’intimità della casa. Fece il bagno, bevve un po’ di caffetè, ma la depressione provocata dal dialogo col vecchio rifiutava di svanire. Possibile che giungesse il giorno, magari solo fra cento anni, in cui lui avrebbe dovuto mettersi a leggere un diario per ricordare il colore dei capelli di Athene? Senza la continuità assoluta della personalità, poteva esistere l’immortalità? Oppure sarebbe semplicemente successo che il suo corpo eterno sarebbe stato abitato da una serie di estranei, ognuno assorbito impercettibilmente dal successivo, man mano che si ripuliva la lavagna biologica?
Spinto dalla frenesia del momento, frugò tra armadi e cassetti finché non trovò un’agenda intatta. Alla prima pagina, in alto, scrisse “28 aprile 2176”.
Studiò il foglio bianco, si batté la penna contro i denti, ma non riuscì a decidere cosa dire, o come dirlo. Magari un inizio fiducioso, sereno: “Caro diario…”. Oppure qualcosa di indecifrabile: “Moglie incinta oggi, padre sconosciuto…”, per poi sperare che il Carewe di cento anni dopo riuscisse a ricostruire i frammenti?
Buttò via l’agenda, andò davanti al comunicatore e gli ordinò di autocontrollarsi. Tutti i circuiti erano in ordine. Insoddisfatto, teso, si mise a passeggiare in casa respirando a fondo, per provare l’efficienza del polmone destro. Sembrava che funzionasse bene, e le iniezioni che il dottor Westi gli aveva fatto nel petto non gli procuravano dolore. Era pronto a tutto, se solo Gwynne avesse chiamato. Gli venne in mente che forse Gwynne avrebbe impiegato giorni anche solo per trovare un indizio, e imprecò. Se l’immortalità era tutta così…