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Leggermente più fiducioso, ma sempre cauto, strisciò verso l’orlo del contenitore. Una sfera grande come un’arancia poteva essere un’arma di tutto rispetto. Afferrò con la sinistra il corrimano e si curvò sul contenitore, finché non arrivò a toccare le sfere fredde. Chiuse le dita attorno a una sfera, ma quella schizzò subito via. Riprovò, cercando di stringere più forte, e la sfera volò via come prima, andando a colpire le altre con una serie di rumori metallici. Immediatamente, sotto di lui si accese la torcia elettrica, illuminando di una luce livida il corrimano.

Carewe capì di aver commesso un errore spaventoso.

Quelle che lui pensava di usare come armi non erano semplici sfere d’acciaio. Il cuscinetto tradizionale era scomparso da decenni. Quelle sfere, composte di molecole polarizzate radialmente, non possedevano praticamente indice di attrito. A meno di non tenerle ferme lateralmente, era impossibile sottoporle a qualsiasi pressione: schizzavano via a razzo. Costituivano un’invenzione superba dal punto di vista tecnologico, ma erano del tutto inutilizzabili come proiettili. E lui non aveva nient’altro a disposizione.

Trattenendo il respiro, Carewe infilò le dita sotto un’altra sfera, le unì a grappolo e le spostò verso l’alto. Quando la mano gli arrivò all’altezza della faccia, fu costretto a bilanciarsi sui due piedi. La sfera schizzò via, come una creatura vivente che volesse riunirsi ai suoi simili, e precipitò nel contenitore. Il raggio scarlatto del laser colpì il corrimano, e la schiena di Carewe fu investita da una pioggia di goccioline di metallo fuso. Lui strinse i denti e ritentò. Questa volta, muovendo continuamente la mano, riuscì a tirare fuori la sfera, proprio mentre Gwynne appariva in cima alle scale. Carewe spostò la mano di lato; poi mugolò di disperazione quando la sfera gli sfuggì dalle dita e si mise a rotolare lungo la passerella.

Colto di sorpresa, Gwynne puntò la torcia sulla sfera che correva verso di lui, accelerando. Carewe si lanciò in avanti. Fu accecato per un attimo dal raggio di luce, poi andò a sbattere contro l’investigatore. Cercò di buttarlo a terra, ma l’altro lottò con tutta la forza della disperazione. Rotolarono lungo la passerella avvinghiati, Carewe si lasciò quasi sommergere dal panico, all’idea che Gwynne avesse ancora in mano la torcia. Si accorse che l’investigatore tentava di puntargli addosso l’arma, e ogni muscolo del suo corpo scattò in un’esplosione di energia incontrollata.

I due uomini precipitarono giù dalla passerella, cadendo in uno dei contenitori. Per un secondo, a Carewe sembrò di essere finito in una pozza d’acqua gelida, finché capì di trovarsi in un contenitore pieno di sfere minuscole. Assolutamente nemiche dell’attrito, le sfere offrivano ancor meno resistenza dell’acqua. Affondò immediatamente. Le sfere gli entrarono in bocca come insetti inferociti. Le sentiva sbattere contro i denti, scendere nello stomaco, lemming metallici spinti dalla gravità a cercare il punto più basso di ogni contenitore in cui si trovassero. Alle sfere non interessava affatto che, in, questo caso, i contenitori fossero i polmoni e lo stomaco di Carewe.

Chiuse la bocca, si alzò in piedi, e la sua faccia emerse all’aria. Vomitò qualche sfera, ma la sua bocca si trovava appena al di sopra della superficie. Un’ altra ondata di insetti metallici gli riempì di nuovo la bocca. Tentare di risputarle avrebbe significato semplicemente ingoiarne altre. Scosso da conati convulsi, respirando a denti serrati, raggiunse il fianco del contenitore. Vicino a lui c’era un corrimano. Lo afferrò, si issò sulla passerella, e cominciò a vomitare. Si ricordò di Gwynne solo quando l’ultima sfera metallica gli fu uscita dallo stomaco. Il detective era notevolmente più basso di Carewe. Non sarebbe mai riuscito a riemergere in superficie. Guardò nel contenitore, ma le sfere erano tornate immobili.

Gwynne era… (cercò il termine) affogato, oppure era ancora vivo sul fondo. Il pensiero di infilare deliberatamente la testa in quel “liquido” metallico lo riempiva di terrore; però era possibile che Gwynne riuscisse a sopravvivere per parecchio tempo grazie all’aria che filtrava tra le sfere, e abbandonarlo lì era impensabile. Stava per rituffarsi nel contenitore, quando si verificò una metamorfosi. La superficie argentea delle sfere s’ illuminò di un bagliore scarlatto che saliva dal basso. Era come se le migliaia di sfere, trasformate in granato, avessero colto il riflesso della luce del sole.

Il bagliore si spense di colpo. Carewe si immobilizzò nell’atto di tuffarsi. Gwynne doveva aver fatto fuoco col laser. Un caso? Al centro del contenitore apparve un altro lampo, che però era localizzato e aveva il colore del metallo incandescente. Carewe sentì un’ondata di calore sfiorargli la faccia, poi le sue narici avvertirono l’odore dell’acciaio bruciato…, e di qualcosa d’altro.

Strisciò via, tossendo, e raggiunse la scala che portava a pianterreno. Arrivato in fondo, si accorse di avere le scarpe piene di sfere che gli rendevano difficile camminare. Si sedette, si tolse le scarpe, scrollò via le sfere che rotolarono lungo le impercettibili pendenze del pavimento, in cerca di libertà. Gwynne era morto! Al posto del milione di domani che, secondo Osman, erano diritto naturale di ogni individuo, l’investigatore non aveva più niente, non era più niente. Non era più un uomo, un investigatore, un nemico. Non esisteva più. Il dolore, lo stupore di un immortale di fronte alla mortalità bloccarono il respiro di Carewe. Scosse la testa, e imprecò amaramente in quelle tenebre impassibili; poi, costringendosi a essere pratico, decise di liberarsi di tutte le sfere che aveva ancora addosso. Gli fu necessario togliersi calzamaglia e tunica e vuotarle sul pavimento. Dopo di che, scoprì altre sfere nascoste sotto la lingua e nelle narici. Sputò e sbuffò, poi si accorse di una sensazione strana agli occhi. Schiacciando con le dita tutt’attorno alle palpebre, altre sfere uscirono dalle orbite, gli scivolarono giù lungo le guance.

Dieci minuti più tardi, dopo essersi rivestito, uscì dalla porta che Gwynne aveva aperto. Raggiunse la pallottola dell’investigatore, e solo allora ricordò di non avere la chiave di avviamento. S’incamminò per quelle strade desolate, cercando di ricordare il percorso che avevano seguito all’arrivo. Gli avvenimenti di quella serata lo avevano come intorpidito, ma alcune conclusioni erano inevitabili.

Il fatto che Athene fosse stata rapita e portata a Idaho Falls era una menzogna, una bugia studiata al solo scopo di farlo allontanare da Three Springs e poi farlo “sparire”. Gwynne era un uomo di Barenboim, quindi il presidente della Farma, dopo aver offerto a Carewe un nuovo tipo d’immortalità, aveva scatenato tutta una serie di attentati alla sua esistenza. Ma perché? Quali moventi poteva mai avere…

Gli venne in mente un’idea nuova, che gli fece tralasciare l’analisi dei possibili moventi di Barenboim. Se Barenboim lo voleva morto, era falsa anche tutta la storia delle macchinazioni di un’azienda concorrente, il che significava che Athene poteva benissimo essere già morta.

E significava anche che, se Athene era ancora viva, Barenboim era l’unico a sapere dove si trovasse.

14

Il commissariato di polizia era immerso nel buio assoluto.

Carewe, che del mestiere di poliziotto sapeva solo quel poco che aveva visto nei programmi della tridì, restò sbalordito. Certo, la delinquenza non era un fenomeno molto diffuso nella società bastarda, ricca e tranquilla; però non avrebbe mai pensato che anche i poliziotti facessero il normale orario d’ ufficio. Aveva i piedi indolenziti per la camminata di un’ ora, e il petto gli bruciava. Aveva il sospetto che qualche sfera fosse riuscita a infilarsi nei polmoni, ma fece del suo meglio per allontanare lo spettro di altre operazioni chirurgiche. Avrebbe avuto tutto il tempo di preoccuparsi in seguito.