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— Te l’avevo detto cosa sarebbe successo la prima volta che tu avessi osato fare uno scherzo del genere. — Athene lo fissò disgustata, l’occhio sinistro quasi chiuso, la palpebra che pulsava ininterrottamente. — Stai lontano da me, Willy.

Carewe sentì il sapore del sangue. Erano le labbra. — Ma cosa credi di fare?

— Cosa credevi di fare tu? Di scherzi simili me ne hai già combinati, Will. Hai cercato di convincermi a farmi l’iniezione quella volta che avevo preso l’Illusogeno, e un’altra volta hai fatto venire qui mia madre perché mi spingesse a cambiare idea… Ma questo è il tentativo più stupido in assoluto. Ficcati in testa che io non mi faccio l’iniezione finché non te la fai anche tu.

— Ma non è uno scherzo! Hanno davvero…

Lei lo interruppe con una parolaccia che lo ferì quanto un altro schiaffo, e si allontanò. Nello stomaco di Carewe si accesero i sintomi premonitori di una furia cieca, contraendogli spasmodicamente i muscoli. — Athene, sarebbero queste le meraviglie del matrimonio singolo?

— Sì! — La voce di lei era selvaggia. — Che tu ci creda o meno, Will, sono queste. Non basta che tu te ne vada in giro con la tua barba e il tuo coso ben chiuso nel sospensorio a dire: spiacente, ragazze, sarei lieto di accontentarvi tutte, ma noblesse oblige, sono costretto a mantenermi puro per mia moglie! A te piace molto recitare, però…

— Avanti — la stuzzicò lui. — Non fermarti. Continua pure.

— Il nostro tipo di matrimonio dovrebbe essere basato sulla fiducia assoluta, ma tu non sai cosa significhi. Hai rimandato la disattivazione fino a trovarti in zona di rischio di trombosi perché sei convinto che io non potrei vivere senza fare l’amore tre o quattro volte la settimana. Anzi, praticamente hai messo in gioco la vita per questo.

Carewe boccheggiò. — Questa è la cosa più distorta, più viscerale che…

— Ho ragione o no?

Lui chiuse la bocca di colpo. Le accuse di Athene erano un misto di irritazione, paura, e dei concetti antiquati sui rapporti umani che erano tipici di lei; però tutto quello che aveva detto, comprese le frasi su di lui, era assolutamente vero. E in quell’istante, siccome l’amava, la odiò. Ingurgitò d’un fiato il resto del latte, sperando vagamente che il calcio che conteneva lo aiutasse a rilassare i nervi. E non fu sorpreso nel constatare che la rabbia, dentro, continuava a crescere. Solo Athene era capace di trasformare quello che doveva essere uno dei momenti più felici della loro esistenza in un’altra serata orribile, in un altro dei momenti di furia che si succedevano con tanta regolarità.

Era come se le interazioni delle loro emozioni creassero un campo instabile che di tanto in tanto doveva invertire polarità, per non distruggerli entrambi.

— Senti — le disse, disperato, — dobbiamo parlarne.

— Se ti va parla pure, ma io non sono obbligata ad ascoltarti. — Athene sorrise dolcemente. — Renditi utile, tesoro. Prepara un po’ di quei bicchieri autorefrigeranti che ho comperato la settimana scorsa.

— Prima o poi dovevano arrivarci. Pensa a quante ricerche sono state fatte in questi duecento anni.

Athene annuì. — Comunque ne. valeva la pena. Pensa un po’, non bisognerà mai più prendere in mano un cubetto di ghiaccio.

— Stavo parlando del nuovo ritrovato della Farma — insistette lui, depresso, perché sapeva che quando Athene decideva di fare la finta tonta, di non capire, era intrattabile al massimo. — Esiste davvero, Athene.

— E porta gli antipasti.

— Sei la più stupida baldracca del mondo.

— E tu sei la seconda. — Athene lo spinse verso la cucina. — I bicchieri, per piacere, Will.

— Vuoi i bicchieri? — Carewe si mise a tremare, arrendendosi a un impulso infantile. Arrivò in cucina, tolse uno dei bicchieri gelidi dal contenitore ermetico e tornò indietro. Athene stava controllando la casa, pensosa. Lui afferrò l’orlo del vestito di perline luminose, v’infilò dentro il bicchiere e glielo spinse fino a metà schiena. Athene fece un salto, il bicchiere rotolò per terra, e in quel preciso istante giunse il primo ospite della serata.

— Sembra divertente — disse Hermione Snedden dalla soglia. — Posso giocare anch’io?

— È solo per coppie sposate — sussurrò Athene, fulminando Carewe con gli occhi. — Entra, bevi qualcosa.

— Io non mi faccio mai pregare. — Non esistevano immortali realmente grassi, dato che il numero delle cellule presenti nel corpo restava sempre invariato, ma Hermione era maestosa di natura. Attraversò la stanza seguita dallo strascico di seta cremisi, tenendo le braccia quasi all’altezza delle spalle, e arrivò al bar. Mentre studiava le file di bottiglie, tolse un oggetto dalla borsetta e lo appoggiò sul banco.

— Sì, bevi qualcosa, Hermione — disse Carewe. Andò dietro al banco del bar, e quasi gli sfuggì un gemito di disappunto quando vide che l’oggetto che lei aveva tirato fuori era un proiettore tridimensionale. Significava che avrebbero giocato a Citazioni.

— Sono vestita di rosso — disse la donna, con aria maliziosa, — quindi dammi un drink rosso. Quello che vuoi tu.

— Bene. — Carewe, impassibile, scelse una bottiglia anonima ma d’aspetto pericoloso, souvenir d’una vacanza dimenticata, e le versò una dose generosa.

— Cosa sta succedendo fra voi due, Will? — Hermione si protese sul banco.

— Chi ha detto che è successo qualcosa?

— Si vede. La, tua bella faccina stasera è un po’ rigida. Hai un’aria all’Ozitnandia.

Lui sospirò. La tortura era già cominciata. Gli amici di Athene tendevano a interessarsi di libri, ed era per quello che si divertivano a giocare a Citazioni. Carewe sospettava che facessero anche l’impossibile per infarcire la conversazione di allusioni letterarie quando parlavano con lui, che non era mai riuscito a finire un libro e non aveva idea di cosa significasse Ozimandia.

— Me la do apposta, l’aria all’Ozimandia — disse. — È un piccolo esperimento che sto facendo. Scusami un attimo. — Raggiunse Athene. — Vieni un secondo in cucina. Dobbiamo chiarire questa faccenda prima che arrivino gli altri.

— Will — gli assicurò lei, — non abbiamo tempo a sufficienza né stasera né nessun’altra sera. Adesso togliti dai piedi. — Si allontanò in fretta, prima che Carewe potesse ribattere. Lui andò in cucina, solo. Un risentimento lento, glaciale, gli avviluppava l’anima. Sentiva il flusso del sangue che gli circolava in corpo. Athene doveva essere punita per l’indifferenza totale con cui trasformava il loro rapporto in un’arma che lo feriva ogni volta che le andava a genio. Bisogna ferire anche lei per quel motivo, ma come? Cominciava a nascergli in testa un’idea, quando sentì arrivare altri ospiti. Si sforzò di calmarsi e andò a salutarli, sorridendo con labbra che pulsavano ancora per lo schiaffo di Athene.

Erano arrivate sei persone. Fra le altre, May Rattray e un ragazzino biondo, sui quattordici anni, che gli venne presentato col nome di Vert. Le donne si allontanarono chiacchierando, mettendo in sintonia reciproca luci, colori e profumi. Carewe si trovò solo con Vert. Il ragazzo lo osservò con evidente Mancanza d’interesse.

— È un nome insolito, il tuo — disse Carewe. — In francese significa verde, no? I tuoi genitori sono…

— È Trev alla rovescia — lo interruppe il ragazzo. La sua faccia coperta di peluria era diventata aggressiva. — Mi hanno chiamato Trev, ma che diritto ha una madre di dare il nome al figlio? Bisognerebbe che ognuno potesse scegliersi il nome da sé.

— Sono d’accordo. Però, anziché trovarti un nome nuovo tu hai preso quello che ti ha dato tua madre e lo hai capovolto… — Carewe s’interruppe, accorgendosi che stava entrando in acque psicologiche profonde. — Ti va di bere, Vert?

— A me il liquore non serve — rispose Vert. — Ma tu fai pure, serviti.