— Questa è la tua, Willy. — disse sobriamente. — Abbiamo messo l’E-ottanta in pistole perfettamente normali, per cui nessuno si accorgerà che c’è qualcosa d’insolito. Quando l’hai usata, togli il nastro.
Carewe annuì. — Vedo. — Chiuse di scatto la scatola e l’infilò nella borsa.
— È tutto. Dunque, adesso tu te ne vai in montagna tre giorni, per la tua… ah, seconda luna di miele. Ho predisposto le cose in modo che quando tornerai il direttore del laboratorio di biopoiesi ti chiederà di andare a controllare personalmente a Randal’s Creek alcune procedure finanziarie. Direi che è tutto a posto, non credi? — Barenboim si rilassò all’indietro sulla grande poltrona, e il suo stomaco si protese all’infuori, sotto la tuta. La sua faccia glabra, forgiata da due secoli di autocontrollo, era tranquilla e imperscrutabile come quella di un Budda di ceramica.
— Mi sembra tutto perfetto, Hy.
— E così dev’essere. Sei un ragazzo molto fortunato, Willy. Cosa ha detto tua moglie quando gliel’hai raccontato?
— Non riusciva a crederci. — Carewe si sforzò di uscire in una risata il più naturale possibile. Erano trascorsi quattro giorni da quando aveva tentato di dare la notizia ad Athene. Da quel momento in poi, si erano trovati tutt’e due prigionieri di una gabbia sempre più stretta d’amarezza, incapaci di riavvicinarsi, incapaci di comunicare… Il suo atteggiamento era infantile, lo sapeva, ma voleva punire Athene per aver messo a nudo la sua anima, farle pagare il delitto di conoscerlo meglio di quanto non si conoscesse lui stesso. E, per l’inesorabile illogicità dei conflitti matrimoniali, l’unico modo per farlo consisteva nel dimostrare che lei sbagliava, anche se in realtà aveva ragione. Non avrebbe raccontato ad Athene la verità sull’E-80. Più tardi, avrebbe potuto giustificarsi adducendo la necessità della massima segretezza.
— Benissimo, Willy. Lascio tutto nelle tue mani. Adesso sarà meglio che tu torni in ufficio e che nei prossimi giorni non ti metta più in contatto con me. Quando rientri, Manny o io verremo a parlarti.
Carewe si alzò. — Non ti ho ringraziato…
— Non ce n’è bisogno, Willy, proprio nessun bisogno. Fai buon viaggio. — Barenboim stava ancora sorridendo, quando la porta del suo appartamento si chiuse, nascondendolo. Carewe tornò in ufficio e chiuse la porta a chiave. Si sedette alla scrivania, tolse la scatola nera dalla borsa, se la mise di fronte e cominciò a studiare le cerniere. Erano fatte in modo da permettere che il coperchio si aprisse a un angolo di 45 gradi. Premendo con un cacciavite il metallo attorno alle cerniere, ne alterò la geometria. Adesso il coperchio si apriva a un angolo inferiore. Soddisfatto del risultato, tolse il nastro adesivo rosso dalla pistola che conteneva l’E-80 e la sistemò nell’incavo esterno.
Le acque azzurre del lago Orkney evaporavano dolcemente al sole del pomeriggio. Scendendo dal vertijet, Carewe si riempì i polmoni d’aria, scrutò i pendii innevati, i pini che sembravano minuscoli giocattoli, le linee a colori vivaci dell’albergo “Orkney Regal”, in lontananza. A causa del fronte freddo che imperversava Su quasi tutti gli stati occidentali, come avevano annunciato orgogliosamente gli altoparlanti del jet, la direzione dell’albergo aveva addirittura richiesto l’intervento del Controllo Meteorologico per mettere in funzione un campo lenticolare al di sopra del lago. Osservando la distesa azzurra (che, nonostante la mancanza di punti di riferimento, gli parve stranamente distorta), Carewe ebbe l’impressione di trovarsi all’interno di una di quelle sfere in cui scende la neve.
Mescolati agli altri passeggeri, stavano entrando nell’aeroporto. — Come si chiamano — chiese ad Athene — quelle vecchie sfere di vetro con dentro fiocchi di neve in miniatura?
— Non so se hanno un nome particolare. Olga Hickey ne ha diverse nella sua collezione e le chiama motili nivei, ma credo che “motile” sia un aggettivo. — Anche Athene si stava guardando attorno con interesse, e il tono di voce era il più dolce che le avesse sentito usare dalla sera del litigio. Coloritissima in viso, indossava un soprabito nuovo color ciliegia. Lui si accorse all’improvviso che ricordava moltissimo quello che portava dieci anni prima, per la luna di miele. Un segnale?
— Sono riuscito ad avere la stessa stanza — disse impulsivamente, rinunciando all’idea di farle una sorpresa più tardi.
Lei inarcò leggermente le sopracciglia. — Ma come hai fatto a ricordarti? Oh, immagino che siano stati quelli dell’albergo a rintracciare il numero.
— No. Lo ricordavo io.
— Sul serio?
— Come ricordo tutto di quelle due settimane. — Afferrò Athene per il braccio, la costrinse a guardarlo negli occhi. Alcune donne li superarono, impazienti.
— Oh, Will — mormorò lei. — Mi spiace tanto. Tutte quelle cose che ti ho detto…
Per Carewe, le parole di Athene erano cibo spirituale. — Lascia stare — rispose, soddisfatto. — Quello che hai detto era tutto vero.
— Ma non ne avevo il diritto.
— Certo che l’avevi. Noi due siamo sposati, non ricordi?
Lei gli porse la bocca aperta, e lui la sigillò con la propria, respirando il suo respiro, mentre gli altri passeggeri si affollavano attorno a loro. Athene fu la prima a liberarsi dall’abbraccio, ma continuò a tenergli la mano. Entrarono nell’aeroporto, e le facce che li guardavano erano attente, indagatrici. Carewe scoprì che in giro non c’era nemmeno un attivo. La gente disseminata nell’area di sbarco era composta solo di freddi, che li osservavano con un disinteresse superiore, oppure di donne nei cui occhi si leggeva un vago divertimento.
— Cosa mi succede? — sussurrò lui. — Mi comporto come un ragazzino in calore.
— È tutto a posto, tesoro.
— Sì, ma che spettacolo abbiamo dato! Andiamo in albergo. — Durante il viaggio alla riva del lago, su un pullmino di tipo tradizionale, Carewe si chiese se era possibile che un uomo della sua età venisse travolto da un’ondata di gioia allo stato puro. Ecco perché i matrimoni singoli erano sopravvissuti e avevano ancora un loro significato, persino alla fine del ventiduesimo secolo. La semplice verità, che lui aveva sentito tante volte ma che adesso comprendeva a pieno per la prima volta, era che un rapporto può offrire solo quello che ognuno dei due mette di proprio. Si riempì i polmoni della luce del sole, lasciò che le sue dita vagassero lungo la forma rettangolare della scatoletta che aveva nella borsa, tentò di approfondire le realtà dell’immortalità. Due iniezioni e, con un po’ d’attenzione, Athene e lui non sarebbero più morti. Cercò dentro di sé qualche traccia dell’esultanza che avrebbe dovuto accompagnare l’idea, ma avvertì solo uno strano vuoto. Era semplicemente una questione di relatività. Fosse nato nell’India poverissima di due secoli prima, avrebbe accettato la prospettiva di una vita di ventisette anni, e la sua gioia sarebbe stata immensa se una forza benigna gliene avesse concessi settanta. Nato nella società bastarda e compiacente del ventiduesimo secolo, considerava l’immortalità un diritto di nascita, una forma di previdenza sociale appena un pochino diversa dal premio in denaro in caso di incidenti sul lavoro. Si diceva che il genio creativo della razza si fosse assopito, e certamente nessun gigante dell’intelletto aveva bisogno di una quantità infinita di tempo per esprimersi; ma forse si erano attenuate anche le emozioni, e i colori della vita si erano trasformati nel pallore perenne dell’eternità.
Diede un’occhiata ad Athene, e subito ritrovò le ragioni che lo spingevano a voler vivere per sempre. A trentasei anni, lei aveva raggiunto il massimo dello splendore fisico, e la biostasi avrebbe fissato per sempre quel suo aspetto superbo. Sua moglie guardava dai finestrini della funivia con attenzione rapita, e lui lasciò che il corpo di lei assorbisse completamente i suoi sensi, finché gli parve che esistesse un intero universo che si chiamava Athene. A un certo momento, quando lei sorrise a un ricordo segreto, il movimento casuale della sua testa gli mostrò la parte interna dei suoi denti, e lui si accorse che erano leggermente trasparenti alla luce del sole. Carewe lo notò, catalogò e archiviò la scoperta, come l’osservatore di un misterioso universo che si trovasse di fronte all’apparizione di una nova. Gli venne in mente che Athene dimostrava la sua età, dimostrava trentasei anni, eppure sembrava la stessa identica donna di dieci anni prima, quando si erano sposati: il che era impossibile. Allora, quali erano esattamente i cambiamenti nel suo fisico? Costringendosi a un’osservazione distaccata, Carewe notò che le guance si erano un po’ scavate, che all’interno della palpebra sinistra di Athene aveva cominciato a formarsi un deposito di grasso che col tempo avrebbe provocato una colorazione giallastra. Di colpo, prese una decisione. Secondo i suoi piani, dovevano farsi l’iniezione l’ultima sera della vacanza a lago Orkney, ma adesso quel ritardo gli sembrava intollerabile. Non poteva permettere che Athene invecchiasse anche di una sola ora.