Eseguii qualche altra inspirazione per calmarmi, poi mi voltai verso Marion per farle capire che doveva uscire dalla nostra vita. Ancora girata verso me, sorridente, lei non si mosse, e non disse nulla; restò ad aspettare mentre io andavo in cerca delle parole giuste. Era (ma come poteva esserlo? Com’era possibile?) voluttuosa; il più sensuale e totale concentrato di femminilità che io avessi mai visto. La femminilità brillava nei suoi occhi, trasudava da quel corpo familiare e completamente estraneo, riempiva l’aria. — Nickie — disse dolcemente — ti rendi conto che sotto questo vestito c’è una ragazza nuda? — E l’intensità dell’improvvisa delusione che provai, lo shock raggelante di sapere che avevo vinto, che avrei resistito, fu insopportabile. La abbrancai. La abbrancai, e lei abbrancò me, e lì, coi cavalli che ci guardavano e tutto il resto, fermo in automobile su una strada di campagna come uno studentello, col corpo di mia moglie fra le braccia, io tradii un’altra volta mia moglie. Gesù.
Superammo la villa dove, incredibilmente, il party era ancora in corso e raggiungemmo l’autostrada. Solo a quel punto mi sentii in grado di parlare. Udii la mia voce, solenne e un poco tremante per la serietà di ciò che avevo da dire. — Marion, ascoltami. Non devi mai, mai più farlo. — Ma lei non rispose, e nella luce verdastra di un lampione dell’autostrada vidi che dormiva.
Continuò a dormire sul ponte e mentre attraversavamo San Francisco, ma quando tirai il freno a mano aprì gli occhi al rumore, guardò la casa, poi me. — Ciao — disse.
Con la vista annebbiata dal gin che avevo bevuto, strizzando le palpebre, scrutai il suo volto. Eravamo quasi direttamente sotto il lampione davanti a casa. — Ciao, Jan.
— Ciao. — La sua mano si sollevò alla bocca, in un gesto da vera signora, a soffocare un rutto. Poi Jan appoggiò alla fronte il dorso della mano. — Nickie… Non mi sento molto bene.
4
Un po’ prima di mezzogiorno ero in cucina, in pigiama e pantofole, ad aspettare che le fette di pane saltassero fuori dal tostapane, cercando di ignorare il gorgoglio pulsante della caffettiera. Avevo un doposbornia coi fiocchi, e mi era d’aiuto restare assolutamente immobile mentre aspettavo, con le braccia penzoloni sui fianchi, a occhi chiusi. Quando il pane schizzò fuori dal tostapane mi fece sobbalzare. A quel punto dovetti spingermi all’altro lato della cucina; me la cavai camminando senza sollevare le suole delle pantofole dal linoleum. Tirare fuori i piatti non fu troppo difficile, ma i vassoi sono riposti nello stretto spazio tra forno e frigorifero, appoggiati di lato sul pavimento, e dovetti chinarmi. Lo feci con estrema lentezza, piegando soltanto le ginocchia, con gli occhi puntati in avanti. Individuai un vassoio al tatto.
Al grattò alla porta sul retro: avremmo dovuto lasciarlo entrare già da un pezzo, e lo sapeva. A occhi chiusi, lo informai che avevamo deciso di sbarazzarci di lui e prendere al suo posto una pianta. Forse mi credette, perché quando mi avviai verso il frigorifero lo sentii ridiscendere le scale.
Cercavo, con ansia disperata, il succo di pomodoro in mezzo ai cartoni del latte. Mi ero ricordato che vodka e succo di pomodoro dovrebbero essere il rimedio per quel tipo di malessere. Però non ce n’era; lo beviamo di rado. In compenso c’era una bella bottiglia gelata di champagne della California che Jan aveva comperato a una svendita di un negozio di liquori e che teneva da parte per il nostro anniversario. Era un’emergenza. Presi la bottiglia, tolsi il rivestimento di stagnola, ed estrassi il tappo, molto molto attento a non provocare rumore.
Il vassoio vibrò nelle mie mani per tutto il tragitto; i liquidi si rovesciarono. Arrivai in camera da letto. Il viso di Jan era bianco come un osso, sopra la camicia da notte rosa e lo scialle scuro che le copriva le spalle: aveva bevuto più gin di me. Era seduta contro il cuscino, e mi disse: — Oh, grazie a Dio. Io non sarei mai riuscita ad alzarmi. Sarei morta di fame qui. Grazie, Nickie, amore — aggiunse, in un tono così dolce e adorante che la mia coscienza cominciò a pulsare più della testa.
— Ho fatto tutto al tatto. Non osavo aprire gli occhi. — Misi il vassoio al centro del letto e mi arrampicai su. Poi, lentamente, lentissimamente, masticando per puro sforzo di volontà, deglutendo con la massima attenzione, mangiammo il pane tostato. Lo mandammo giù con minuscoli sorsi di uno champagne gelido e incredibilmente delizioso; poi passammo alle aspirine e al caffè. Alla seconda tazza, chiesi: — Come stai?
Jan rifletté, stringendo la tazza con entrambe le mani. — Meglio — rispose, un poco sorpresa. — Il mal di testa non è troppo terribile. Si vede che l’aspirina sta facendo effetto. E mi sento un po’ meno a pezzi in generale. Il caffè e il pane tostato, suppongo.
— Con la fondamentale assistenza dello champagne. Queste cose non bisognerebbe farle, sai. Se no si finisce diritti sulla strada dell’alcolismo.
— Be’, dà una mano. — Sorseggiò un altro po’ di champagne, un altro po’ di caffè, poi sospirò, mise giù la tazza, adagiò la testa sul cuscino, chiuse gli occhi, e si appisolò.
Io restai a guardarla, pallida e vulnerabile: quella era Jan, era mia moglie. La sera prima, e quella prima ancora, io la avevo… Non importava che il corpo fosse suo; avevo posseduto un’altra donna, su quello non c’era il minimo dubbio. Ogni tanto mi ero concesso qualche fantasia su altre donne, però la risposta ai nostri problemi non era mai stata un’altra persona; io volevo sistemare le cose con Jan. Continuai a guardarla, mentre le sue guance riprendevano colore, e ricordai i tempi prima del matrimonio, ricordai la luna di miele, cose del genere. Provavo molta tenerezza per lei, e l’impulso quasi aggressivo di proteggerla. Poi scivolai nel sonno anch’io.
— Nick?
— Sì? — Aprii gli occhi ed eseguii un veloce controllo dei miei sistemi. Sì, stavo proprio guarendo.
— Cos’è successo ieri sera? Non ricor… — La sua voce si spense. Jan, aggrottata, fissò i piedi del letto. Poi riportò lo sguardo su me. — Nick! Ieri sera. Ho… ballato? Sì?
— Be’, sì. Un po’.
— Da sola?
Io annuii, guardandola.
— Strano. Quasi non ricordo. Riesco a intravedermi per un attimo, poi l’immagine scompare. — Sgranò gli occhi. — E ho anche cantato, vero? Sulla piattaforma.
Annuii di nuovo.
— Oh, Nick, ma è mostruoso! — Jan si coprì il viso con le mani. — Perché non mi hai fermata? Cosa dirò agli Hurst? — Abbassò le mani e mi fissò, colma di meraviglia. — E poi… Non sono del tutto sicura di ricordare. È come un sogno che mi sfugge. Però… Non abbiamo fatto un giro in auto? A velocità folle? Sbandando in curva? E tu non hai… Sì, Nick. Tu hai lanciato una bottiglia contro un albero!
Annuii un’altra volta.
— Non capisco. Noi non siamo tipi da sbronze! — Jan restò a fissarmi.
Non sapevo cosa rispondere. Non sapevo nemmeno se fosse il caso di dire qualcosa. Scrollai le spalle. — Be’, a volte succede. A tradimento. — C’era un inizio di colore sulle sue guance, ma sotto gli occhi Jan aveva borse nere. Era delicata, fragile, e un’ondata di colpevole tenerezza corse nel mio corpo. — Sono contento che tu ti senta meglio.
Lei sorrise al tono di verità della mia voce. — Lo so. Stai meglio anche tu, no? — Annuii. — Ne sono lieta.