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— Singapore Joe! Era il trucco da Singapore Joe per Il capitano di Singapore!

— Lo hai visto?

— No. Venderei l’anima per averne una copia. Ne ho soltanto letto. Aveva l’occhio coperto dalla membrana di un uovo.

— Come fai a saperlo?

— Colleziono vecchi film. Non che ne abbia molti. Il segno di Zorro, Giglio infranto. Un paio di episodi di serial. Qualche vecchio cinegiornale. Però so parecchio sull’argomento, e si dice che la membrana d’uovo abbia procurato a Chaney danni permanenti alla vista.

— Be’, era mostruoso, Nickie. — Marion sedette al mio fianco. — Si è accorto che ero un po’ spaventata. Eravamo noi due soli in quel vicoletto. E quando mi è arrivato più vicino, ha chiuso deliberatamente l’altro occhio, così a fissarmi è rimasto solo quello bianco! Mi è scappato uno strillo, e lui ha sorriso, ha chiuso l’occhio bianco, e quando ci siamo incrociati mi ha fatto l’occhiolino con l’occhio buono. Era un uomo dolcissimo. Lo dicevano tutti. Anche piuttosto bello. Una di quelle bellezze da duro.

— Signore. Avere visto dal vivo Lon Chaney. Nel trucco per Il capitano di Singapore. — Sorridevo, scuotevo la testa. — Hai visto qualcun altro?

— Oh… Laura La Plante.

— Sul serio?

— Sì. Stava girando sul set vicino al nostro. E quando non c’era bisogno di me per le riprese, andavo a guardare alla porta accanto.

Annuii. Ai tempi del cinema muto, i rumori non avevano importanza, e spesso giravano su set disposti fianco a fianco. — Qual era il film?

— Non ricordo.

— Non ricordi!

— No. — Lei mi guardò, incuriosita.

— Be’, com’era qualche scena? Potrei riconoscerlo da quello.

— Oh, Nickie, che differenza fa? Lei era in cucina a preparare da mangiare o roba del genere. Io volevo vedere Laura La Plante.

— E com’era?

Marion scrollò le spalle. — Okay. Però io ero meglio. — Mi vide sorridere, e sorrise a sua volta. — Lo so. Sembro troppo piena di me. E lo sono. Però è anche vero: io ero molto meglio. Lo sono ancora. E lo sarò sempre.

— Hai mai conosciuto qualche star?

— Sì. Be’, non molto. Non troppo bene. Però ho conosciuto un po’ Valentino. Anche lui ha lavorato su un set vicino al mio, una volta, e abbiamo parlato. Due, tre volte.

— Mio Dio. Valentino! Di cosa avete parlato?

— Oh… — Lei aggrottò la fronte, guardò il pavimento. Poi rialzò la testa. — Di quanto fossero orgogliosi di lui gli abitanti del suo paese. Un paesello italiano. Secondo me era un uomo molto semplice. E molto gentile. Con me lo è stato.

Non riuscivo a smettere di scuotere la testa. — Hai conosciuto Valentino. Non posso proprio crederci. In questi giorni, all’Olympic proiettano un suo film. I quattro cavalieri dell’Apocalisse. L’ho visto due volte.

— Sei proprio un fanatico del cinema, eh? Ho conosciuto un tizio della Paramount che faceva collezione di film come te. A dire il vero, li rubava.

— Cosa?

— Sì. Lavorava al reparto… come lo chiamereste voi?… distribuzione; penso. Era solo un impiegato addetto alle spedizioni. Impacchettava le copie dei nuovi film e le inviava ai distributori. Magari una dozzina a New York, una mezza dozzina a Chicago, un paio a Milwaukee, e così via. Era un lavoro da schifo, e non pagava molto, però anche lui era un patito di film. Come me. Come quasi tutti quanti noi. Eravamo pazzi per i film. E poterci lavorare, avere rapporti col mondo del cinema… Una volta…

— Aspetta un secondo. Parlami un po’ di questo tizio che collezionava film.

— Te l’ho detto. Era pazzo dei film, ma sapeva che non avrebbe mai potuto interpretarne uno. Aveva un naso enorme, girato all’insù. Non mi piaceva guardarlo, anche se era un uomo gentile e andava matto per me. Se un film gli piaceva, se lo teneva, tutto qui. Ordinava una copia in più e se la portava a casa.

Mi alzai in piedi, girandomi a guardarla. Sentivo crescere l’eccitazione, e cercai di frenarla. Mi sembrava di dover stare molto attento, o tutto quello che stavo udendo sarebbe scomparso, svanito come un sogno impossibile da ricordare. — Marion. Stammi a sentire. Che tipo di film gli piaceva?

Lei scrollò le spalle, poi si mise a pensare. — Oh… — Puntò di nuovo gli occhi su me. — Quelli di Griffith, per esempio. Un regista. Lo conosci? D. W. Gr…

— Sì! Lo conosco.

— Be’, quello aveva tutti i suoi film, ricordo. Tutti i suoi lungometraggi.

— Tutti? — mormorai. Le mie ginocchia stavano per sciogliersi. — Tutti i lungometraggi di D. W. Griffith? Gesù. Lo sai che diversi non esistono piu? Sono andati persi! Non ne esiste una sola copia nel mondo intero! E lui li aveva… tutti?

— Sì. — Marion mi fissava colma di meraviglia.

— Che altro? Marion, che altro aveva?

— Nickie, non lo so. Un’infinità di film. Scambiava copie coi suoi amici che facevano lo stesso mestiere in altri studios.

— Mio Dio. — Sedetti al suo fianco, ma mi rialzai subito. — Cioè, per esempio?

— Be’, aveva un amico alla Universal e si scam…

— La Universal! NO! Senti, c’è stato un incendio alla Universal! Dopo la tua morte. Centinaia di film assolutamente senza prezzo andati persi! Film favolosi! Film mitici, oggi! — La scrutai. Il mio viso non aveva più un’espressione. — E lui ne aveva qualcuno. Pensare che li abbia avuti… Senti, quando accadeva tutto questo?

— Nel millenovecentoventisei.

— E lui quanti anni aveva?

— Hmm… Trenta.

Feci i conti, e scossi la testa. — Ormai dovrebbe essere morto. Però forse no. Forse no. Come si chiamava? — Girai sui tacchi, corsi alla libreria, afferrai i tre elenchi telefonici di Los Angeles, e tornai al bovindo. — Come si chiamava, Marion? Potrebbe essere ancora vivo. Potrebbe essere in queste pagine! — Sedetti, coi tre volumi sulle ginocchia, BEVERLY HILLS in cima.

— Quando a Los Angeles ci sono stata io, c’era un solo elenco telefonico, e non era più grande…

— Marion! — Lei si zittì. — Come si chiamava?

— Non ricordo.

— MA CERTO CHE PUOI RICORDARE!

— Aspetta un secondo! Buonanotte, infermiera! Aveva un cognome insolito. E un nome molto breve. Dick? No, non Dick. Quello era l’elettricista alto… Però qualcosa di simile. — Aggrottò la fronte. — Norman? No, quello era il giovane falegname coi capelli scuri. E Ned Berman era un cameraman…

— Ma non conoscevi nemmeno una donna, Cristo?

— Non le ricordo troppo bene. Dammi un minuto e me lo ricorderò. Smettila di interrompermi.

Tentai di aspettare con tutta calma, ma ero talmente eccitato che dovetti saltare su e andare in bagno, poi tornai indietro. Lei aveva ancora la fronte corrugata. Fissava il pavimento col labbro inferiore tra i denti. — Ti è venuto in mente? — Mi fermai di fronte a lei.

— No. Non ancora. Perché tutta questa eccitazione, Nick? Lo so che i film ti interessano, però interessano anche a me, e a me non succede di…

— Mi interessano? — Dovetti ridere a quel verbo. — Ragazzi, se tu avessi mai collezionato qualcosa… Non lo hai mai fatto, eh?