— Marion… — Mi costò un notevole sforzo dirlo. — Marsh?
— Naturalmente! Dovevo vedere il mio film. Dio, non ero brava?
Annuii, poi mi venne in mente che magari lei non poteva vedermi, e dissi: — Sì — ma mi si spezzò la voce. Mi schiarii la gola, ritentai, e questa volta la voce era troppo alta. — Sì, eri brava! — dissi. — Sei un… — E di nuovo mi fu difficile pronunciare quella parola. Era troppo ridicola. — Un fantasma?
Ci fu un lungo silenzio. Forse non avrei più udito altro. Poi, perplessa e leggermente divertita, colma di meraviglia come se l’idea fosse del tutto nuova, la voce disse: — Suppongo di sì. — Una risata. — Ma pensa tu! Però sì, immagino che debba essere un fantasma. Possiamo tornare nei posti dove abbiamo vissuto, sai, anche se sono in pochi a farlo. Richiede tanta… Tu come la chiameresti?
— Energia metapsichica? — Ero talmente affascinato che mi ero scordato di avere paura. Anzi, ero eccitatissimo. Immaginavo già di raccontarlo a Jan, ai colleghi in ufficio, ai party.
— Sì, qualcosa del genere, suppongo. Bisogna proprio avere voglia di tornare. E io l’avevo, credimi! Il mio film, e non lo avevo mai visto! Finalmente proiettato qui in casa mia! Cos’è quell’affare?
— Un televisore.
— Serve a vedere i film?
— Sì. Soprattutto a quello.
— Però non è il massimo, eh? Così piccolo. Ma che differenza fa? Finalmente ho visto il mio film! Sono rimasta tagliata fuori, ricordi?, a soli vent’anni.
— Ventuno, no? — Non mi ero più mosso; non mi era venuto in mente di farlo.
— Oh, chi se ne frega? Perché è tanto importante? A te è sempre piaciuto sottolineare che eri un po’ più giovane di me.
Non vedevo l’utilità di correggerla. Dissi: — Senti, com’è? Dall’altra… — Odio frasi del genere, ma non mi veniva in mente nessun surrogato. — Dall’altra parte?
— Oh… — La voce fece una pausa. — Un po’ come essere sbronzi. Ci si sente piuttosto bene e non si pensa molto. Com’è essere vivi? Io l’ho quasi dimenticato.
— Il contrario, grosso modo. Marion, senti, potresti apparire? Come realmente eri. Come sei. Come eri.
— Oh, Nickie, è fantasticamente difficile. Anche solo per un secondo o due. Dev’essere per questo che i fantasmi spariscono così in fretta, non credi? L’unico mezzo per poter restare in circolazione per un po’ di tempo è la possessione.
— Cioè?
— Entrare in qualcuno. Si può fare solo per un motivo terribilmente importante.
— Però tu puoi apparire per qualche secondo. Lo vuoi fare? Ti prego. — Alla fine, mi venne in mente che potevo anche sedermi, e così mi buttai sull’orlo del divano.
La voce era morbida. — Vuoi rivedermi ancora una volta, eh, Nickie? Sei dolce. Se solo non avessimo litigato! Tutto sarebbe potuto essere così diverso. Va bene. Guarda nell’angolo verso l’ingresso, dall’altra parte delle finestre.
Guardai, e quello che vidi fu un convergere, un raccogliersi di luce dal resto della stanza. Alla periferia della mia visuale, gli angoli del soggiorno e il bianco del soffitto divennero palesemente più scuri; poi svanirono nell’oscurità totale. La luce si riversò sul pavimento. Poi corse veloce lungo il battiscopa, come in un piccolo banco di nebbia; si concentrò e cominciò a sollevarsi nell’angolo buio al lato opposto della stanza, dapprima grigia come nebbia, poi soffusa di un fioco chiarore, iridescente. All’improvviso, un’esplosione di colori che fluirono l’uno sull’altro, si separarono, assunsero consistenza, si fissarono in forme ben definite. E poi apparve lei, sorridente.
La figura era trasparente. La parete era chiaramente visibile dietro lei. Però Marion era perfettamente nitida e chiara. Indossava un vestito blu e verde; l’orlo della gonna arrivava alle ginocchia di (rimasi stupefatto di me stesso per essermene reso conto) un paio di gambe meravigliose. L’incarnato era di un delizioso colore tra rosa e bianco, e, sorprendentemente, i capelli che nel film non sembravano biondi erano invece gialli. Mi guardava, abbassando di tanto in tanto le palpebre degli occhi azzurri; non era bella, ma molto carina, e trasmetteva la sorprendente sensazione di vitalità che comunicava anche nel film. Con una voce molto più fioca, disse: — Non sei cambiato, Nick. O almeno, solo pochissimo. Sei un po’ più vecchio. Adesso sei più vecchio di me! E sei sposato, vero? La ragazza di prima era tua moglie. Tutti e due qui nel mio vecchio appartamento.
Stavo aprendo la bocca per risponderle, per dirle chi realmente fossi. Ma le sue ultime parole erano scese quasi a livello di impercettibilità, e i colori e l’intera immagine stavano rapidamente perdendo consistenza. Era quasi scomparsa, solo vagamente visibile, quando sollevò un poco la testa. Per la prima volta, parve accorgersi della scritta che copriva la parete dietro il divano, e la perdita di consistenza si interruppe. Forma e colori ripresero una certa sostanza, la conservarono grazie a quello che doveva essere uno sforzo di volontà. Vidi la sua mano salire al petto, vidi gli occhi sgranarsi e il volto piegarsi in una smorfia. Poi la sentii esclamare, a voce molto bassa: — Essere stata viva! — Le vestigia di colori e forma svanirono, e io vidi di nuovo gli angoli della stanza, il chiarore bianco del soffitto. Sussurrai: — Marion? — Ma non mi aspettavo una risposta, e non la ebbi.
Andai alle finestre. Guardai la città, la lunga linea di luci arancio che erano l’unica cosa visibile del Bay Bridge. Pensavo di voler restare lì a riflettere su ciò che era appena accaduto, ma la mia mente era vuota, si rifiutava di pensare; in quel momento, mi sentivo sopraffatto. Dopo qualche momento, con un’occhiata alla parete di Marion mentre passavo, uscii in corridoio e andai in camera da letto.
A letto, Jan era rivolta verso me. Le sfiorai le labbra nel solito bacio della buonanotte, un contatto lieve per non svegliarla. Ma lei era sveglia, almeno parzialmente; si avvicinò a me, e io la presi fra le braccia. Chiusi gli occhi, esausto, contento di poter dormire. Ma l’abbraccio di Jan si fece più intimo, mi attirò al suo corpo, e io sorrisi, sorpreso: quando Jan si addormentava, strapparla al sonno prima del mattino era difficile come svegliare un bambino. Credevo di essere esausto, ma Jan mi lasciò stupefatto, e scopersi di non essere affatto esausto. Ma quando ci coricammo di nuovo fianco a fianco, col mio braccio attorno alla vita di Jan, mi sentii precipitare nel sonno come stessi correndo su una pista per toboga, e ne fui lieto: ciò che era accaduto in soggiorno richiedeva una mole di riflessioni al momento del tutto impossibili. E mi sentivo anche felice, più di quanto fossi da parecchio tempo. Ultimamente, le cose fra Jan e me non erano andate bene come avrebbero dovuto, e non sapevo perché. Niente di serio, però non riuscivamo a trovare un rimedio, e ovviamente problemi del genere te li porti anche a letto. Ma quella sera la tensione fra noi era sparita, di colpo; realmente sparita. Mi sentivo felice e, per quanto insonnolito, quasi esuberante. Che serata straordinaria, pensai, sorridendo nel buio; poi, wham!, caddi addormentato.
3
Il mio ufficio è semplicemente un ufficio, non piccolo ma tutt’altro che grande. Ho un tappeto di un bel verde foresta, una scrivania e una poltroncina decenti, una sedia per i visitatori, un tavolo sul quale mettere le cose. E alla parete ho appeso un paio di articoli personali. Uno è una stampa di Brueghel intitolata La torre di Babele, che mi piace guardare perché è piena zeppa di persone piccole piccole impegnate a fare un’infinità di cose per costruire una torre che arriva fino alle nuvole. Mi ricorda le copertine di Boy’s Life di quando ero ragazzo, piene di ragazzi che nuotano, corrono, giocano a calcio, si arrampicano sugli alberi.