— Mr. Harris! Mr. Harris! Laggiù! Quella magnifica struttura! — All’improvviso Ito si mise quasi a gridare: gli occhi luccicavano per l’eccitazione e stava sorridendo.
Stava puntando il dito verso sud, lungo l’East River. La sponda dalla parte di Manhattan era soffocata dal più orrendo progetto di case popolari che si potesse immaginare, e la sponda di Brooklyn era ancora peggio: una di quelle enormi aree cosiddette industriali, con bassi edifici senza finestre, magazzini geodesia, banchine, qualche rampa per vettori merci. C’era un’unica costruzione svettante, la sola cosa che Ito potesse indicare: la struttura che collegava le case popolari sulla sponda di Manhattan con l’area industriale di Brooklyn.
Mr. Ito stava indicando il Ponte di Brooklyn.
— Il… ah… ponte, Mr. Ito? — riuscii a dire mantenendo il viso impassibile. Per quello che ne sapevo, il ponte di Brooklyn aveva una sola pretesa di storicità: era l’oggetto di una serie di barzellette così vecchie che non erano nemmeno più divertenti. Era il Ponte di Brooklyn che tradizionalmente nelle vecchie comiche i truffatori vendevano ai turisti boccaloni, ai sempliciotti o ai contadini, come li chiamavano allora, insieme a inesistenti partite di uranio e mattoni verniciati d’oro.
Così non resistetti alla tentazione di pronunciare la battuta: — Vuole comprare il Ponte di Brooklyn, Mr. Ito? — Era meraviglioso: mi aveva fatto passare l’inferno ed era diventato maledettamente altezzoso e arrogante, e adesso io gli stavo dando apertamente del cretino e lui non lo sapeva.
In effetti, lui annuì deciso, proprio come quei sempliciotti delle vecchie barzellette e disse: — Credo di sì. È in vendita?
Ridussi la velocità del saltapicchio a sessanta chilometri, lo feci abbassare a trenta metri e soffocai un risolino mentre ci avvicinavamo alla vecchia mostruosità in rovina. Due massicce e tozze torri di pietra sostenevano i cavi arrugginiti a cui era sospeso il letto del ponte. I saltapicchi avevano reso inutile il ponte da anni; nessuno si era preoccupato della sua manutenzione e nessuno si era preoccupato di smantellarlo. Nel punto in cui i grandi blocchi di pietra grigio-scuro toccavano l’acqua, erano incrostati di una melma verde dall’aspetto putrido. Sopra il pelo dell’acqua le torri erano ricoperte da uno strato bianco, vecchio di almeno dieci anni, causato dallo sterco di uccelli.
Era difficile credere che Ito parlasse sul serio. Il ponte era una vecchia mostruosità, sporca, puzzolente e fatiscente. In poche parole, era proprio quello che Ito meritava gli venisse rifilato.
— Ma certo, Mr. Ito — dissi, — credo di essere in grado di venderle il Ponte di Brooklyn.
Feci librare il saltapicchio alla distanza di circa trenta metri da una delle vecchie e sudicie torri. Dove non erano ricoperte di guano, le pietre erano incrostate da una spessa patina di fuliggine nera. La strada era piena di buche e completamente ingombra di rifiuti, conchiglie e altro sterco di uccelli; il ponte doveva essere da anni abitato da colonie di gabbiani. Fui estremamente grato del fatto che il saltapicchio fosse a tenuta stagna: il fetore doveva essere terrificante.
— Eccellente! — esclamò Ito. — Proprio grazioso, non trova? Sono fermamente deciso ad essere l’uomo che comprerà il Ponte di Brooklyn, Mr. Harris.
— Non riesco a pensare a nessuno che sia più degno di questo onore della sua stimata persona, Mr. Ito. — dissi io con la più completa sincerità.
Circa quattro mesi dopo che l’ultima sezione del ponte era stata trasferita a Kyoto, ricevetti da Ito due pacchetti. Uno era una busta contenente una minicassetta e una diapositiva olografica; l’altro era un pesante involucro delle dimensioni di una scatola di scarpe e avvolto in elegante carta azzurra.
Sentendomi molto più ben disposto nei confronti di Ito ora che avevo un milione dei suoi yen accreditati nel mio conto in banca, inserii la minicassetta nel registratore e non fui certo sorpreso quando udii la sua voce.
— Saluti, Mr. Harris, ed ancora i più profondi ringraziamenti per aver accelerato il trasferimento del ponte nella mia tenuta. Esso è ora installato in modo permanente e procura a tutti noi un grande piacere estetico ed ha incommensurabilmente aumentato la tranquillità nella mia casa. Le accludo un’olografia del sacro luogo. Le ho anche inviato un piccolo segno della mia stima che spero vorrà accettare nello spirito con il quale viene donato. Sayonara.
Incuriosito, mi alzai e inserii la diapositiva nel mio visore a parete. Di fronte a me apparve una montagna ricoperta di alberi che si innalzava in due picchi gemelli di austera roccia grigio scura. Un’alta cascata si tuffava graziosamente nella gola tra i due pinnacoli, precipitando in un lago profondo ai piedi della montagna, e lì si abbatteva su di un pianoro di roccia formando un velo perenne di sottile foschia che trasformava il paesaggio in un’immagine che sembrava uscita direttamente da un dipinto cinese. Disteso attraverso la gola tra i due picchi, simile ad una ragnatela sospesa proprio sopra la cascata, le torri di pietra ancorate a degli spuntoni roccia sull’orlo del precipizio, c’era il ponte di Brooklyn, la sua massa imponente resa aggraziata ed esile dalle dimensioni massicce del paesaggio. La pietra era stata ripulita e brillava per il vapore umido, i cavi e la sede stradale erano ricoperti di edera lussureggiante. L’olografia era stata scattata proprio mentre il sole tramontava tra le torri del ponte, facendole risaltare su di uno sfondo rosso-arancione, e trasformando la nebbiolina in una cascata di luccicanti scintille color rame.
Era molto bello.
Ci volle un po’ prima che riuscissi a distogliere lo sguardo, ricordandomi dell’altro pacchetto di Mr. Ito.
Dentro l’involucro di carta azzurra c’era un mattone verniciato d’oro. Rimasi a bocca aperta. Poi risi. E poi lo guardai di nuovo.
Superficialmente, l’oggetto sembrava un vecchio mattone ricoperto di vernice d’oro. Ma non lo era. Era un vero lingotto di oro puro, una perfetta imitazione dell’originale, perfetta in ogni dettaglio.
Sapevo che Mr. Ito stava cercando di dirmi qualcosa, ma ancora adesso non sono ben sicuro di aver capito.