Ero lì in piedi nudo come un verme dalla cintola in giù e lei si era sporta leggermente in avanti, con le gambe incrociate e le mani ancora in grembo. — Togliti quella roba — dissi.
Per un attimo non si mosse, e pensai che volesse cacciarsi nei guai. Ma poi allungò le mani dietro la schiena e si slacciò il reggiseno. Poi si piegò all’indietro e si tolse le mutandine.
All’improvviso non sembrò più spaventata. Mi guardava molto attentamente, e allora potei vedere che aveva gli occhi azzurri. E adesso viene la cosa più strana.
Non potevo farlo. Voglio dire, non proprio. Voglio dire, io volevo scoparla, vedete, ma lei era tutta così morbida e carina, e continuava a guardarmi e, nessun singolo mi crederebbe, ma mi trovai a parlare con lei, sempre lì in piedi come uno scemo, senza una scarpa, e i jeans arrotolati alle caviglie. — Come ti chiami?
— Quilla June Holmes.
— È un nome buffo.
— Mia madre dice che è un nome comune, nell’Oklahoma.
— È da lì che vengono i tuoi?
Lei annuì. — Prima della Terza Guerra.
— Devono essere abbastanza vecchi, adesso.
— Sì, ma sono okay. Credo.
Eravamo lì impalati, a parlarci. Sapevo che aveva freddo perché stava tremando. — Be’ — dissi, preparandomi a sdraiarmi vicino a lei, — credo che faremmo meglio…
Dannazione! Dannazione a Blood. Proprio in quel momento entrò a razzo. Corse slittando tra le assi e i calcinacci, sollevando nuvole di polvere e con una lunga scivolata si fermò vicino a noi. — E adesso cosa c’è? — chiesi.
— Con chi stai parlando? — domandò la ragazza.
— Con lui. Blood.
— Il cane?!
Blood la fissò e poi la ignorò. Fece per dire qualche cosa ma la ragazza lo interruppe. — Allora è vero quello che dicono… che voi parlare con gli animali…
— Hai intenzione di stare ad ascoltarla tutta la notte o vuoi sentire perché sono entrato?
— Va bene, perché sei qui?
— Siamo nei guai, Albert.
— Avanti, piantala con queste fesserie. Che cosa c’è?
Blood indicò con la testa la porta principale dell’YMCA.
— Una banda. Hanno circondato l’edificio. Ne ho contati quindici o venti, forse di più.
— Come diavolo hanno fatto a sapere che eravamo qui?
Blood sembrò mortificato. Abbassò la testa.
— Allora?
— Qualche altro bastardo deve aver fiutato il suo odore nel cinema.
— Magnifico.
— E adesso?
— Adesso li facciamo fuori, ecco. Hai qualche altro suggerimento?
— Solo uno.
Aspettai. Lui ghignò.
— Tirati su i pantaloni.
III
La ragazza, quella Quilla June, era abbastanza al sicuro. Le avevo fatto una specie di riparo con i materassini, che erano circa una dozzina. Non avrebbe corso il rischio di prendersi qualche pallottola vagante e, se non fossero venuti a cercarla, non l’avrebbero vista. Mi arrampicai su una delle funi che pendevano da una trave e mi sdraiai là con la Browning ed un paio di caricatori di riserva. Avrei dato chissà cosa per avere un’arma automatica, un mitragliatore Bren o un Thompson. Controllai la 45, mi assicurai che fosse carica e misi i colpi di riserva sulla trave. Da quella posizione potevo dominare tutta la palestra.
Blood era sdraiato nell’ombra proprio vicino alla porta principale. Mi aveva suggerito di colpire prima i cani che erano con la banda, se ci riuscivo. Questo gli avrebbe permesso di agire liberamente.
Quella era l’ultima delle mie preoccupazioni.
Avrei voluto barricarmi in un’altra stanza, che aveva una sola entrata, ma non avevo modo di sapere se la banda fosse già nell’edificio, così feci del mio meglio con quello che avevo.
Tutto era tranquillo. Anche Quilla June. Mi ci erano voluti dei minuti preziosi per convincerla che le conveniva starsene rintanata senza fare rumore, che era molto più al sicuro con me che con venti di loro: — Se ti preme rivedere mamma e papà — la ammonii. Dopo di che non mi diede altre preoccupazioni mentre la barricavo con i materassini.
Silenzio.
Poi udii due rumori distinti, tutti e due allo stesso tempo. Dalla piscina sentii degli stivali che calpestavano i calcinacci. Molto piano. E dalla parte dell’ingresso principale udii un tintinnio di metallo contro il legno. Così stavano cercando di prenderci di sorpresa. Be’, io ero pronto.
Di nuovo silenzio.
Puntai la Browning verso la porta che si apriva sulla piscina. Era rimasta aperta dopo che io ero entrato. Calcolando che fosse ad una distanza di cinque o sei metri, dovevo abbassare la mira di cinquanta metri e l’avrei preso dritto al corpo. Avevo imparato molto tempo fa a non cercare di colpire la testa. Mirare al bersaglio grosso: stomaco e torace. Il tronco.
All’improvviso udii un cane abbaiare all’esterno e parte dell’ombra vicino alla porta principale si staccò e si mosse all’interno della palestra. Direttamente dalla parte opposta rispetto a Blood. Io non spostai la Browning.
Il tipo alla porta principale fece un passo lungo la parete, allontanandosi da Blood. Tirò indietro il braccio e lanciò qualcosa, forse un sasso o un pezzo di metallo, attraverso la stanza per attirare il fuoco. Io non spostai la Browning.
Quando l’oggetto che era stato lanciato colpì il pavimento, due della banda balzarono fuori dalla porta della piscina, uno su ogni lato, con i fucili pronti a sparare. Prima che potessero aprire il fuoco, sparai il primo colpo, mossi orizzontalmente l’arma e ne sparai un secondo dritto sull’altro bersaglio.
Caddero entrambi. Colpi secchi, dritti al cuore. Bang, ed erano giù; nessuno dei due si mosse. L’altro che era sulla porta si mosse e Blood gli fu addosso. Fuori dall’oscurità, così, riiip!
Blood saltò proprio sopra la canna del fucile spianato e affondò le fauci nella gola del malcapitato. L’uomo urlò e Blood mollò la presa, portandosi dietro un pezzo di gola. Quello emise dei tremendi suoni gorgoglianti e cadde in ginocchio. Gli cacciai un colpo in testa e lui si piegò in avanti.
Tornò il silenzio.
Niente male. Proprio niente male davvero. Tre tentativi e ancora non conoscevano la nostra posizione. Blood era tornato nell’ombra vicino all’entrata. Non disse nulla, ma io sapevo quello che stava pensando: forse erano tre su diciassette, o tre su venti o ventidue. Non c’era modo di saperlo: potevamo restare bloccati qui per una settimana senza sapere se li avevamo presi tutti, o solo qualcuno, o nessuno. Loro potevano rifornirsi e io mi sarei ritrovato a corto di munizioni e senza cibo e la ragazza, quella Quilla June, si sarebbe messa a piangere, obbligandomi a dividere la mia attenzione, e poi la luce del giorno… e quelli sarebbero stati ancora là fuori, ad aspettare che fossimo abbastanza affamati per tentare qualche pazzia o che avessimo finito le munizioni, e allora si sarebbero radunati e ci sarebbero piombati addosso.
Un altro entrò a razzo dalla porta principale, fece un balzo, atterrò con la spalla, rotolò, e si rialzò lanciandosi in un’altra direzione, sparando tre scariche in differenti angoli della stanza prima che riuscissi a prenderlo di mira con la Browning. A quel punto era abbastanza sotto di me da non farmi sprecare un colpo della 22. Afferrai silenziosamente la 45 e gli sparai nel collo. Il colpo andò a segno, uscì dall’altra parte portando con sé gran parte della testa. Lui cadde a terra.
— Blood! Il fucile!
Uscì dall’ombra, lo afferrò con la bocca e lo trascinò verso la pila di materassini nell’angolo più lontano. Vidi un braccio spuntare dal mucchio di materassi, una mano afferrò il fucile e lo nascose all’interno. Bene, almeno lì era al sicuro finché non ne avessi avuto bisogno. Piccolo bastardo coraggioso: sgattaiolò furtivo fino al corpo senza vita e cominciò a sfilargli la bandoliera con le munizioni. Gli ci volle un po’: avrebbero potuto colpirlo dalla porta o da una delle finestre, ma riuscì a farcela. Piccolo bastardo coraggioso. Dovevo ricordarmi di trovargli qualcosa di buono da mangiare quando fossimo usciti da quel pasticcio. Sorrisi nell’oscurità: se ne fossimo usciti. Non avrei dovuto preoccuparmi di trovargli qualcosa di tenero. Era sparso tutt’intorno sul pavimento della palestra.