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Sì, avrebbe saputo spezzarla, quella catena.

«Com’è che sei diventato mago?» gli chiese, improvvisamente curiosa. «Sei nato con gli occhi già pieni di magia?»

Seduto di fronte al sole, Lyo aveva gli occhi pieni di luce. Sorrise: «La magia è come la notte, la prima volta che l’incontri.»

«La notte?» commentò Fiord, dubbiosa. Un colpo di remo le andò a vuoto, e il “Riccio” girò di mezzo cerchio.

«Un vuoto tenebroso, pullulante di forme…» fece scorrere le dita nell’acqua e il “Riccio” tornò a rivolgere la prua verso l’orizzonte. «Piano piano impari a convertire il buio in forme, in colori… Vedi cose che la maggior parte della gente non vede, e tuttavia sembrano nitide come il naso che hai sulla faccia. Non c’è nulla, al mondo, che non abbia la sua parte di magia: anche una conchiglia vuota, un grumo di piombo, una vecchia foglia morta… tu le guardi e impari a vederle, e poi a usarle, e dopo un po’ non ricordi più di aver mai visto il mondo in modo diverso. Ogni cosa si connette a qualcos’altro. Come quella catena d’oro, che congiunge l’aria con l’acqua. Dov’è che comincia, realmente? Sopra il mare? Sotto il mare? Chi lo sa, a questo punto? E quando l’avremo scoperto, non saremo più in grado di guardare il mare nello stesso modo. Capisci qualcosa, delle mie chiacchiere?»

Fiord annuì. Poi scosse la testa, e avvampò, pensando alle sgangherate ragnatele di filo e rametti che aveva gettato nel mare. Come aveva potuto illudersi che possedessero un briciolo di potere magico? Non c’era più magia in lei che in una scopa.

«Dov’è che hai imparato?» chiese, con tono aspro.

Gli occhi del mago erano di nuovo fissi su di lei, curiosi, come se le frugassero nella testa, in cerca di quei suoi puerili “malefici”.

Lo vide aprire la bocca per rispondere, e poi bloccarsi, spostare gli occhi in un punto alle sue spalle, le mani strette ai bordi della barca, la faccia immobile. Fiord capì quel che stava guardando. Ritrasse i remi sugli scalmi, e si voltò.

Poi Lyo si mise in piedi, sotto il vasto sguardo infuocato del drago. La flottiglia dei pescherecci distava un quarto di miglio, ma il drago era uscito a salutare loro due, la gran testa lucente a pelo d’acqua, il corpo che ondeggiava sotto la superficie come una fiamma.

Lyo mandò un fischio, e le pinne sopracciliari del mostro ebbero un fremito, a quel suono. «Ignus Dracus» mormorò. «Il drago di fuoco dei Mari del Sud. Sembrerebbe che si sia perso. No…» Tacque altri momenti, pensieroso. Il drago continuava a fissarlo, nel fulgore accecante della sua catena d’oro, un fulgore che faceva impallidire il sole di mezzogiorno.

Il mago tornò a sedersi, lentamente. La sua faccia aveva assunto un colore nuovo: probabilmente per i riflessi dell’oro, pensò Fiord. I pescatori stavano tirando a bordo le reti; conoscevano il “Riccio di mare”, e sapevano che solo qualcosa di terribilmente importante poteva spingere Fiord a una tale distanza dalla costa.

Nell’imminenza della magia. Fiord si sentì invadere da un fremito d’eccitazione: «Puoi spezzarla, quella catena?»

Lyo la guardò, senza vederla.

«La catena…» mormorò, dopo una lunga pausa. «Oh, sì. La catena è semplice.»

«Davvero?»

«È solo…» agitò una mano, stranamente floscia. «C’è solo un paio di… Qualcuno di voi ha pensato di chiedersi dove ha inizio quella catena? Chi l’abbia fatta, e perché?»

«Sì.»

«Allora?»

Fiord si strinse nelle spalle, evitando il suo sguardo: «Vogliono l’oro.»

«E il re? L’ha vista?»

Fiord lo fissò, sorpresa. Lo vide turbato: il colore dei suoi occhi aveva assunto una tonalità cupa. Kir, pensò, e mentre cercava di nascondere il pensiero le tornarono alla mente le sue parole: «La catena comincia nel cuore di mio padre». Ma era un segreto di Kir: non poteva rivelarlo.

«No» rispose, brevemente. La faccia del mago tornò a irrigidirsi, gli occhi puntati su di lei. Come faceva a sapere? si chiese Fiord, rituffando i remi nell’acqua; diede qualche colpo, per tenere la barca in posizione. Perché le aveva fatto quella domanda?

«Fiord» sussurrò Lyo. «Certe volte due grandi reami che dovrebbero esistere in tempi separati, su piani separati, s’intrecciano l’uno all’altro. È lì che iniziano le leggende. Si cantano canzoni, si ricordano nomi… Questa non è la prima volta.»

Fiord distolse lo sguardo, lasciando che il vento le soffiasse i capelli sul viso, la nascondesse agli occhi magici di Lyo. Pensò a Kir, al suo sangue che cercava di palpitare coi palpitare della marea, al suo segreto dolore, al segreto bisogno che tremava nei suoi occhi…

«Spezza quella catena, ti prego.»

«E poi?»

«Non lo so…» E aggiunse: «Ti pagheremo.»

Lyo la studiò a lungo, mentre i pescherecci si avvicinavano adagio, circondandoli: «È soltanto l’oro che vogliono, dunque?»

Fiord annuì, lo sguardo perso su un gabbiano di passaggio.

«Così diventeremo ricchi… E anche tu» gli ricordò, e Lyo ebbe uno strano gorgoglio nella gola.

Poi, in tono grave, disse: «Farò del mio meglio per renderci ricchi tutti quanti.» Si alzò di nuovo e cominciò a cantare: al drago.

I pescherecci si erano ormai raccolti intorno al “Riccio”, vicinissimi. I grandi, tondi occhi del drago non si mossero un momento dal viso di Lyo. Gli uccelli gli atterravano sulla testa, si tuffavano a cercare i pesci che costantemente l’accompagnavano: ma lui sempre immobile, ad ascoltare Lyo. Un paio di ondate investirono il “Riccio”, facendolo oscillare paurosamente: ma Lyo si limitò a spostare i piedi, come se fosse nato sulla barca e non l’avesse mai lasciata.

Le sue canzoni erano in strani linguaggi, parole e melodie che s’intrecciavano misteriosamente col vento e le onde e le strida degli uccelli. I pescatori aspettavano in silenzio, e di quando in quando davano di piglio ai remi, per non entrare in collisione tra loro: perché il fondale s’era inabissato, lontanissimo dal mondo in cui galleggiavano, e non c’era altro che il buio a cui ancorarsi.

A poco a poco i canti si fecero comprensibili. Erano filastrocche per bambini, notò Fiord, stupefatta. Filastrocche per insegnare l’alfabeto, le paiole, i versi degli animali. í pescatori si scambiavano occhiate dubbiose. Il drago scivolò più vicino: e ora i suoi occhi incombevano sul “Riccio” come tondi portali scarlatti.

E infine il mago tacque, rauco e sudato. Bevve un bicchiere di birra materializzatosi dal nulla, e i pescatori sorrisero: costui non era certo un pidocchioso indovino da quattro soldi.

«Il mio nome è Lyo» disse. «Quanto a lui…» indicò il mostro «… supporremo per il momento che si tratti di un Ignus Dracus, una specie di draghi che hanno origine nelle acque dei Mari del Sud, dove abbondano alghe e plancton. Questo esemplare, presumibilmente, è stato risucchiato nei gorghi del maelstróm che si forma per l’incontro fra le correnti calde provenienti da sud e quelle fredde che scendono dal nord» s’interruppe per bere un sorso di birra. I pescatori l’ascoltavano rispettosamente: alcuni si erano addirittura tolti il berretto. «In altre parole s’è perso… o almeno così supporremo per il momento: e questo spiegherebbe perché si trova da queste parti. Quanto alla catena, non è certo un tratto distintivo dell’Ignus Dracus; così come, del resto, non è una normale caratteristica di nessun tipo di animale marino che io abbia mai visto. Dato che ci tenete, provvederò a levargliela. Per un modesto compenso, naturalmente. Un compenso nominale. Un quarto del peso complessivo di quanto riuscirò a recuperare.»