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«Se tu potessi amare non sceglieresti me» disse lei, con la sensazione di compiere un passo enorme, un passo che l’allontanava da se stessa, dalla sua semplice vita, proiettandola in un mondo infinitamente complesso.

Si sedette, sfinita, e subito rimpianse di non averlo più accanto a lei. In silenzio, Kir camminava su e giù per la stanza, guardando fuori. Poi si fermò alle sue spalle, si chinò ad abbracciarla, stringendola forte, la testa sepolta fra i suoi capelli.

Fiord gli prese le mani, se le portò al viso. Disse: «Promettimelo.»

«Cosa?»

«Abbi cura di te, dovunque tu vada. Non annegare.»

«No. Non volevo annegare, quella notte. Nuotavo oltre le guglie, cercando di seguire la luce: ma più nuotavo, più mi sfuggiva, si allontanava da me. L’ho seguita finché è scomparsa, e mi sono trovato solo in quelle acque profonde, nel mare sempre più buio. Penso… penso che per la prima volta, quella notte, mio padre… ha avuto il sospetto di quale figlio io sia. L’ho visto guardarmi con occhi diversi. Occhi che per un momento mi hanno visto davvero. Ma rifiuta di crederci» tacque. Fiord gli sentiva battere il cuore. «Quella notte tu mi hai tirato fuori dall’acqua… prima di quella notte non avevo mai pianto. Nemmeno da piccolo. Mai vere lacrime. Tu mi hai fatto ricordare che per metà sono umano.» S’inginocchiò davanti allo sgabello dove lei sedeva, le prese le mani e se le portò alla bocca.

Fiord chiuse gli occhi, con un sospiro: un istinto irresistibile, disperato, la spingeva verso di lui.

Kir era alla finestra, a guardare i riflessi della marea. Fiord rimase seduta ad osservarlo, confusa. Emozioni ancora incerte salivano dentro di lei — amore, paura, senso di abbandono — ma prima di poterle sentire compiutamente, Kir la guardò di nuovo. «Tu mi conosci» dicevano i suoi occhi. «Tu sai chi sono.» Niente di meno. Niente di più.

Finalmente Fiord si alzò, apri l’armadio, prese una forma di pane, il burro, un coltello. «Sono fortunata» disse, e si sentì tremare la voce.

«Perché?»

Si volse a guardarlo, i capelli neri contro il crepuscolo, gii occhi di un azzurro più cupo del crepuscolo. «Che tu abbia preso solo per metà da tua madre» bisbigliò. «Perché sarebbe molto difficile dire di no al mare.»

I suoi occhi mutarono, non più occhi di mare. Lasciò la finestra, avvicinandosi a Fiord, le tolse il coltello, le prese la mano, se l’appoggiò alla guancia:

«Sì» disse, con voce roca «sei fortunata. Perché io emergerei dalla marea portandoti in dono perle e coralli, e non avrei pace finché non conquistassi il tuo cuore, e quello lo porterei via con me, e ti lascerei così come sono io adesso, immobile su una spiaggia nuda, a piangere per quel che il mare si è preso, sapendo di non poterlo riavere se non in un unico modo.» Le lasciò la mano e le diede un rapido bacio sulla guancia, senza lasciarle vedere gli occhi. «Devo andare. Salperemo al sollevarsi della marea. Tornerò.»

Uscì. Improvvisamente la casa parve troppo silenziosa, troppo vuota. Fiord si sedette al tavolo, occhi spalancati, corpo immobile, a sentire Kir, passo dopo passo, che le portava via il cuore.

Qualche ora dopo, in piedi sulla soglia, guardava la luna nei suo lento vagare in un cielo indaco, guardava il continuo spezzarsi e ricomporsi del sentiero di luce sull’acqua: la strada verso i sogni, verso le isole d’estate. Ascoltava il respiro del mare e udiva, nella memoria, il respiro di Kir.

«Che cosa hai fatto?» si chiese, a voce alta. «Che cosa hai fatto?» E poco dopo si rispose: «Mi sono innamorata del mare.»

«Lo immaginavo» disse una voce accanto alla soglia, e Fiord si sentì pungere la pelle come da un’infinità di aghi.

«Lyo!»

Il mago uscì dall’ombra, o smise di essere un’ombra. Sapeva di erica e salvia; il chiaro di luna indugiava ora qua ora là sulla sua figura, imprevedibilmente.

«Dove sei andato?» gli chiese Fiord, sbigottita.

«Su per la scogliera.»

«Come… come sei riuscito ad arrivarci, quando ti trovavi con me sul “Riccio”, in mare aperto?»

«Come? Il più rapidamente possibile.» Un angolo della bocca gli si incurvò in un breve, obliquo sorriso. Poi, bruscamente, il sorriso si spense. Il suo viso era una maschera pallida, sotto la luna; gli occhi, pozze d’ombra. «Più facilmente di come hai fatto tu a lasciare il mare.»

In silenzio, Fiord rinunciò a cercargli gli occhi e si sedette sul gradino, rosicchiandosi un’unghia. Annodò i capelli sulla nuca, poi li sciolse di nuovo, irrequieta. «Credevo di avere più buon senso» disse infine. «Lo sai cosa vuol dire essere innamorati?»

«Sì.»

«È come avere dentro di te uno sciame di zanzare.»

«Oh!»

«Non stanno mai ferme, e non se ne vanno… Cosa ci fai, qui? Credevo che te la fossi squagliata…»

Lyo fece una risatina: «Aspetto di essere pagato» si sedette accanto a lei; Fiord sentì le sue dita, leggere come ali di falena, sfiorarle la guancia. «Hai pianto. È una cosa terribile essere innamorati del mare.»

«Sì» bisbigliò Fiord, gli occhi che vagavano sull’acqua. Le onde si raccoglievano e s’infrangevano invisibili nel buio, spingendosi verso di lei, ritraendosi. Non erano mai silenziose, né mai parlavano… Con la coda dell’occhio guardò il mago: «Tu sai di Kir.»

«So.»

«E come? Come puoi sapere una cosa così?»

Lyo si chinò a raccogliere un luccicante sassolino e con gesto distratto lo lanciò nell’acqua: «Io ascolto» disse, enigmatico. «Se ascolti con sufficiente attenzione, cominci a sentire le cose… il dolore che si nasconde dietro il sorriso, la voce che risuona dentro il drago di fuoco, il segreto nella voce della giovane sguattera e dietro a tutti i discorsi sull’oro…»

«Oro, già» disse lei, cupamente. «Non farti vedere dai pescatori.»

«No.»

«Se non altro ci hai provato. Se non altro hai fatto vedere un po’ di magia.»

«Forse» disse Lyo, ridacchiando di nuovo. «Ma non mi aspetto certo di essere soverchiato dalla loro gratitudine… Ma non solo so trasformare l’oro in fiordalisi, so anche pensare. E ciò che penso è: «Qui c’è qualcosa che manca».»

«Cioè?»

«C’è Kir. C’è suo padre, il re. Ci sono due mogli. Supponi questo: supponi che entrambe, nello stesso periodo, abbiano concepito un figlio del re. Il figlio della regina terrena le fu rapito alla nascita e un altro bambino, un figlio del mare, messo di nascosto nella sua culla. Poi la regina è morta. Ma che ne è stato del suo vero figlio? Il fratellastro di Kir?»

In silenzio, Fiord cercò di immaginarsi un’ombra riflessa di Kir. Un brivido le serpeggiò lungo la schiena: da qualche parte, nella notte, un figlio di re vagava senza nome, erede del mondo che Kir voleva così disperatamente lasciare…

«Forse è morto.»

«Forse. Ma io penso che sia vissuto. E penso che stia tuttora vivendo, unica prova dell’amore segreto del re. Lo sospetta, Kir, che potrebbe avere un fratello?»

Fiord scosse la testa, stancamente: «Non ci ha ancora pensato. Ha appena intuito chi è lui.»

«Perché te l’ha detto?» le chiese il mago, curioso.

«Non lo so. Perché continuavo a pensare al mare, e anche lui. Perché…» la voce le morì in gola; seppellì la testa fra le braccia, soffocando un singhiozzo. «… Una sera è quasi annegato. Appena in tempo l’ho tirato fuori dalla risacca. E un’altra sera ha lasciato impronte bagnate per tutta la casa… Perché aveva bisogno di parlarne con qualcuno, e c’ero io invece della vecchia. Perché io lavoro alla locanda, e lui può andare e venire quando vuole, e nessuno si sognerebbe di cercarlo qui. Qualche settimana fa tutto quel che facevo era sfregare pavimenti. Non so come mai le cose si siano così complicate.»