«Succede a volte, quando non si fa attenzione. Mi permetterai di aiutarvi entrambi?»
«Per il momento va tutto bene. Sta partendo per conoscere la figlia di un lord.»
«Tornerà.»
«Quasi vorrei che non lo facesse. Quasi vorrei che si spingesse il più lontano possibile e non tornasse più…» Vide la faccia di Kir nell’acqua scura; sentì il tocco delle sue mani, delle sue labbra, invitarla negli abissi con baci gelati e promesse di perle e fiori marini; e lo rivide, abbandonato nella risacca, piangere e aggrapparsi a lei sulla terraferma, così come lei gli si sarebbe aggrappata nel mare.
Ricordando il suo tormento, gli occhi le si riempirono di nuove lacrime.
E Lyo ripeté gentilmente: «Mi permetterai di aiutarvi?»
«Sì» bisbigliò Fiord. «Ma fai attenzione. Bisogna sempre fare attenzione, col mare.»
E ancora lo stava guardando, il mare, molto tempo dopo che Lyo l’aveva lasciata. La luna adesso era sospesa sulle dune, regina dei pesci in un cielo fitto di stelle. La marea s’era acquetata. Lunghe, lentissime onde le sussurravano di magie nascoste in quelle tenebre: grandi isole galleggianti che scivolavano appena sotto la superficie, aguzze torri d’avorio percorse da spirali, come il corno del narvalo. Il mondo di Kir, il mondo tanto desiderato che sempre gli sfuggiva, elusivo come il chiaro di luna, come l’acqua…
«Oh!» Un nodo le pungeva la gola, le stelle si appannavano nei suoi occhi. «Vorrei che tu fossi un po’ più umano!» Cercò di scacciare le lacrime. «No» sospirò, parlando alle onde, visto che non aveva nient’altro di Kir. «No, se tu fossi umano non mi avresti mai dedicato un pensiero. Una ragazza che lavora alla locanda… non avresti neppure saputo il mio nome. Vorrei… ecco, vorrei solo che tu fossi un po’ più umano. Perché tu non continui a staccarti da me per rivolgerti al mare…»
Qualcosa si mosse nel buio. Qualcosa saliva dall’acqua, le invadeva il campo visivo fino a coprire una stella, e poi un’altra. La pelle percorsa da brividi pungenti, Fiord sgranò gli occhi: era il paese del mare che sorgeva dagli abissi? Era un’isola che vagava nella notte? Era un’onda, una nera onda colossale che ingigantiva sul ciglio della marea? No, le onde della risacca continuavano a infrangersi uniformi, serene, sulla sabbia. E quella massa di tenebre saliva, saliva… finché, dal nero profilo stagliato contro le stelle e la spuma, Fiord capì che cos’era.
Si alzò lentamente. Il drago nuotava nella risacca, più vicino alla riva di quanto l’avesse mai visto. Lyo l’aveva liberato, e tuttavia indugiava, solo nella notte, con la nostalgia dei pescatori. L’aveva forse attirato la lampada della capanna? Di colpo si ritrovò a correre attraverso la spiaggia: uno strano impulso la spingeva verso il mostro, desiderosa di vederlo più chiaramente. Eccolo inghiottire altre stelle. Dietro la sua schiena gigantesca spari una guglia, poi l’altra. Fiord continuava a correre: e poi, bruscamente, si fermò.
Il drago stava uscendo dal mare.
Dalla gola le sfuggì un gemito, ma rimase ferma, incapace di muoversi, come paralizzata. Vedeva il riflesso della luna nei suoi grandi occhi, la montagna del suo dorso, le enormi pinne laterali che lo spingevano attraverso le acque basse. «Lyo!» mormorò, ma come in un sogno, senza voce. Stava uscendo per morire, si chiese, come talvolta facevano le balene? O usciva come i leoni marini, solo per allungare il grande corpo sulla sabbia asciutta, e dormire?
Puntava diritto verso di lei: i suoi occhi fiammeggianti l’avevano vista. Fiord cominciò ad arretrare, passo dopo passo; il mostro lanciò un grido lamentoso, come una sirena da nebbia, e lei si fermò di nuovo. “Non può divorarmi” pensava freneticamente. “Potrebbe travolgermi, ma io sono più svelta. Che cosa vuole?”
Sorretto dalle grandi pinne laterali, si rizzò sull’acqua. Le onde giocavano coi suoi filamenti, li arrotolavano, li distendevano, delicati nastri di fumo. E ancora avanzava, spinta dopo spinta, finché nella risacca non rimase che l’enorme, piatta pinna caudale, e poi solo le ultime volute dei filamenti posteriori.
E infine, con un ultimo strappo, fu completamente fuori. A meno di sei metri da lei. Fiord aveva le mani premute sulla bocca, pronta a gridare, pronta a correre verso il villaggio, se lui avesse deciso di acquattarsi sulla capanna. Ma il drago afflosciò le pinne, ritrasse i filamenti: era completamente immobile, tranne il soffio di immensi respiri che gli uscivano dalle fauci.
Poi chiuse gli occhi, e scomparvero le due grandi lune scarlatte. E poi tutto scomparve.
Un giovane, nudo come un pesce, se ne stava carponi sul sentiero che il drago aveva tracciato uscendo dal mare.
Capitolo settimo
Fiord mandò un grido. O meglio, cercò di gridare: ma aveva ancora le mani premute sulla bocca, e ne uscì un suono soffocato. Il drago-uomo sollevò la testa. La fissò come stordito, battendo le palpebre, l’acqua che gli ruscellava dai capelli. Si scrollò selvaggiamente, e riprese a fissarla. Fiord restò immobile come una delle guglie, come una roccia su cui molluschi e ricci potevano abbarbicarsi. Ma lui non la scambiò per uno scoglio; volse lentamente la testa a scrutare le stelle, le onde, la sabbia, e infine si guardò le mani.
Si toccò la bocca con le dita. E rapidamente, come se saggiasse le proprie corde vocali, disse: «Un pesce sta nella tana, due pesci filan la lana, tre pesci…» esitò. «Tre pesci… tre pesci…» sembrava spaventato, e poi addirittura disperato, come se si stesse dimenticando una formula magica essenziale per tenere in vita quel nuovo corpo. I suoi occhi tornarono su Fiord. Dopo un momento lei scostò le mani dalla bocca: si sentiva le ossa fragili come corallo secco. Il cuore le batteva disordinatamente.
«Tre pesci guardan la luna» disse. La voce sembrava provenire da qualche altra parte, dal pozzo sotto i ginestroni, forse. Le parve di varcare la soglia di un sogno, dove poteva accadere di tutto: la sua testa volar via e perdersi nella luna, le stelle marine rizzarsi sulla sabbia e danzare un minuetto…
Il terrore svanì dal volto del drago-uomo.
«Tre pesci guardan la luna, quattro pesci salgon la duna…» Era una delle filastrocche per bambini che Lyo gli aveva salmodiato quel mattino. «Cinque pesci restano a palla…» Cominciò a rabbrividire.
«A galla…» mormorò Fiord. «Cinque pesci restano a galla.»
«Sei pesci giocano a palla.»
Fiord avanzò d’un passo, sciogliendosi da quell’incantesimo che lui stava tessendo intorno a loro con la sua filastrocca: «Hai freddo!»
A quelle ignote parole il drago-uomo restò silenzioso, gli occhi sgranati. In quel momento, con la sua faccia immobile, i capelli neri d’acqua, assomigliava spaventosamente, misteriosamente a Kir.
Fiord chiuse gli occhi: improvvisamente anche lei si sentì di ghiaccio, il figlio perduto del re. Era strisciato fuori dal mare, faticosamente, aveva ritrovato il proprio corpo e la propria voce, e ora se ne stava carponi sotto le stelle, nudo come un verme, a contar pesci.
«Sette pesci entrano in stalla…» la sua voce appariva di nuovo tesa, come se il silenzio di Fiord lo sgomentasse «… otto pesci montano in sella, nove pesci…»
Fiord fece un altro passo, e lui smise di parlare. Avanzò ancora, e lui smise di respirare: irrigidito nella sabbia, la guardava avvicinarsi.
E infine lo raggiunse. Lui si accoccolò sulle ginocchia, alzando gli occhi. Raggi obliqui di luna gli illuminavano il viso: non sembrava spaventato. Quando era nel suo grande, massiccio corpo subacqueo, non poteva aver appreso la paura. La mano di Fiord si mosse automaticamente — un altro frammento di sogno — e gli sfiorò una spalla.
Al suo tocco, riprese a respirare. Aveva la pelle gelata. E ancora la scrutava, con faccia curiosa, tranquilla. Ma quando lei sollevò la mano, qualcosa gli guizzò negli occhi: e il drago posò la mano nel punto dov’era stata la sua.