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«Fiordi» esclamò Marli. «Stai crollando dal sonno!»

«Scusa.»

«Cos’è che hai fatto stanotte, ragazzina? Un appuntamento con amanti fantasma?»

«Sì» disse lei, sbadigliando. Inaspettatamente, Carey scoppiò a ridere.

La capanna era vuota quando Fiord vi fece ritorno, quel pomeriggio. Seduta sul gradino del focolare, fece una frugale cena a base di pane e formaggio, e ancora prima che il sole tramontasse s’infilò a letto, con un sospiro di sollievo. Dormì profondamente, senza sognare, e riapri gli occhi nel cuore della notte, convinta che fosse già mattino. Si chiese come mai fosse ancora buio.

Udì qualcuno che si muoveva nella casa. «Kir?» domandò. «Lyo?»

Insonnolita, si guardò intorno; l’uscio era aperto e la luna pendeva sulla soglia come una lanterna. A quel punto si svegliò completamente.

Una mano le sfiorò il viso in una leggera carezza: «Uccellin che vai sul mare, che paese vuoi cercare? Vado al sol di Gibilterra. Facciamo un salto e tutti giù per terra!»

«Sei tornato!»

«Sei tornato!» ripeté il drago. Aveva già provveduto ad avvolgersi nella coperta; e ora, con un lembo, si asciugava i capelli. «Fiord!» disse, e lei ebbe un sussulto.

«Chi ti ha insegnato questo nome?»

Seppellendosi nella coperta, il drago allungò una mano sul focolare freddo. Fiord scese dal letto e accese il fuoco: le fiamme servirono a snebbiarle la mente e a scacciare le tenebre dalla stanza. «È stato Lyo!» esclamò, mentre il drago s’inginocchiava a scaldarsi. «È stato con te sul mare?»

Il drago si toccò la bocca, come a tastarvi le parole. Poi, con voce solenne, da studioso, disse: «Un Ignus Dracus, una specie di draghi che hanno origine nelle calde, luminose acque dei Mari del Sud… Oops! Scusate.»

Fiord sorrise: «È per opera sua che hai ripreso la forma umana? Se è così, non si può certo dire che il suo incantesimo abbia funzionato molto, ieri notte… Ma forse questa volta conserverai il tuo corpo d’uomo…» Appena in tempo gli tolse di mano la spazzola, che stava per gettare tra le fiamme. «Ma io non posso fare molto per te, sai: posso solo insegnarti delle parole…» esitò, come stentando lei stessa a trovare parole in grado di spiegargli quel che intendeva. «Come potrai capire quel che significano? Come potrai usarle per dirmi dove sei stato? Cosa mi potrai dire?»

«Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare» sentenziò. «Dire, fare, baciare, lettera, testamento…»

Fiord si voltò a guardarlo, e il drago s’interruppe. Ma qualcosa parlava, nei suoi occhi: quando le avesse insegnato il linguaggio, dicevano i suoi occhi, lui avrebbe avuto ben altro da raccontarle che non parlare d’alghe e gamberi o snocciolare filastrocche infantili. Improvvisamente si cinse il collo tra le mani.

«Catena» disse Fiord.

«Catena.» E vide nei suoi occhi un lampo di umana sofferenza.

Gli prese le mani, avvicinandole al bagliore delle fiamme: «Questo è il fuoco.»

«Fuoco.»

Lo fece alzare, lo condusse sulla soglia: «Quelle sono le stelle. E quella è la luna.»

«Stelle. Luna.»

«Sabbia» disse ancora, indicando la spiaggia. «Mare.»

«Sabbia» ripeté lui. Fece una pausa, scrutando l’irrequieta risacca, e poi bisbigliò: «Mare.» Un’onda di fuoco gli comparve negli occhi, e Fiord si chiese se nascondesse odio o amore.

Continuò a vagare per la stanza toccando tutto quel che vedeva e ricordando gran parte delle parole che Fiord gli diceva. A un certo punto, volgendosi a guardarla con la stessa attenzione con cui esaminava il resto, le posò una mano sull’aggrovigliata massa di capelli.

«Capelli» disse lei.

«Capelli.» Si chinò a scrutarla negli occhi, e poi le studiò il naso con tale serietà da strapparle una risata. Ebbe un sussulto, e guizzò via con l’eleganza di un pesce. Poi sorrise anche lui.

«Naso.»

«Naso.»

«Occhi.»

Si avvicinò di nuovo. Anche le ciglia erano d’oro, notò Fiord, su una pelle color latte che il sole non aveva mai sfiorato.

Con un sospiro, la fanciulla cercò di staccarsi da quel suo azzurro sguardo d’estate, e richiamò la sua attenzione sul pavimento: «Piedi.»

Non rispose. Stava ciondolando dal sonno, come la notte prima. Metteva a dura prova le sue forze spingere sulla terra asciutta quel suo colossale corpo di drago, intuì Fiord. Lo fece sdraiare accanto al fuoco; e lui, prima di addormentarsi, le raccontò una storia.

«C’era una volta un re» disse, con la voce di Lyo. «Un re che aveva due figli: uno avuto da una giovane regina, sua sposa, e l’altro da una donna del mare. I due bambini nacquero nello stesso tempo, e la regina mori poco dopo aver dato alla luce il suo figlio umano: e questo venne rapito dalla culla, e al suo posto fu messo il figlio marino… Perché? Nessuno lo sa veramente: solo la donna nascosta in fondo al mare, e il re. E forse neppure il re lo sa. Perché?… Perché c’è il vento, perché c’è il mare, perché c’è tutto da imparare…» Tacque, notando l’espressione mutata sul viso di Fiord. Allungò una mano a toccare la sua, e subito s’addormentò.

Quando Fiord si svegliò, il mattino dopo, il drago non c’era più. Andò al lavoro con la mente in subbuglio: non riusciva a capire quella sua strana metamorfosi che durava solo poche ore.

Camminando lungo la spiaggia, verso la locanda, continuò a cercare segni del drago; e così fece la sera, rincasando. Lasciò la porta spalancata, perché vi entrasse la mite brezza primaverile, e si accinse a preparare la cena. Poco dopo un’ombra si disegnò sulla soglia, cadendo sulla padella dove friggevano patate e salsicce.

«Lyo!»

Il mago s’appoggiava allo stipite, sorridendo: «Continuava ad arrivarmi un odorino fantastico. Ho seguito il mio naso.»

Fiord lo vide più magro e sottile di come se lo ricordava, e si domandò che cosa e dove mangiasse. Certo non al villaggio. Levò la padella dal fuoco e gliela porse. Lyo prese una patata sfrigolante, la fece saltellare tra le dita e se la mise in bocca.

«Hmm… è così buona che dev’essere magica.»

«Lyo, dov’è il drago?»

«In m-mare» farfugliò lui, a bocca piena. Fiord gli gettò uno sguardo perplesso, giocherellando col forchettone.

«Bene, e perché, per una volta, non potresti fare un incantesimo che funziona?»

Lyo inarcò le sopracciglia, sorpreso; non disse nulla, perché stava masticando una salsiccia. «Cos’è che mi stai chiedendo?» disse poi, quando poté parlare.

«Ti chiedo perché non riesci a trasformarlo in principe per più di due o tre ore di seguito.»

«Perché non…»

«Prima trasformi l’oro in fiordalisi, poi trasformi il drago in uomo. Solo che…»

«Non sono stato io.»

«Non sei stato tu a trasformarlo?»

Lyo scosse la testa, allungando le dita a catturare un’altra salsiccia. Allora Fiord si decise a posare sul tavolo la padella, e si sedettero entrambi.

«Ma allora… chi è stato?»

Scosse di nuovo la testa. «Non ne ho idea. Non capisco. Anzi, è proprio questo che sono venuto a chiederti, in realtà.» Lyo appariva sconcertato quanto lei.

«Chiederlo… a me?»

«Volevo chiederti se sapevi come mai si fosse trasformato così di colpo. E in un momento così strano, di notte. Hai per caso visto qualcuno? Hai sentito qualcosa?»

«Ero sulla spiaggia, quand’è successo. Stavo guardando il mare… e lui se n’è uscito, semplicemente. Nessuna magia. E… paff… eccolo trasformato. È un ragazzo… oh, Lyo…» esitò, come a cercare le parole «… è così… così…»

Lyo pescò un’altra salsiccia: «Sua madre era molto bella, a quanto dicono.»

«E allora perché il re amava una donna del mare? Se aveva una moglie così?»

«Be’…» Lyo masticò per qualche momento, pensieroso. «Da quel che ho saputo, quasi non si conoscevano, prima di sposarsi. Mentre sospetto che da tempo il re conoscesse l’altra… la creatura del mare. Non era un semplice capriccio, credo, e lei l’amava veramente. E il re non immaginava, allora, che si sarebbe profondamente innamorato di sua moglie… Bene, si sposò e dimentico la donna del mare. Ma prima… poco prima del matrimonio, ebbero un ultimo incontro. Un incontro di troppo… Nove mesi dopo la regina morì, e il suo bambino fu portato negli abissi, e l’altro bambino… il figlio del mare… messo al posto suo, nella culla regale.»