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«Andare fin laggiù?» sussurrò Fiord, sgomenta e affascinata al tempo stesso.

«C’è gente che lo fa. Qualche volta. Ma non senza fatica, e spesso a un prezzo straordinario. Il tempo scorre diversamente, nel mondo sotto il mare. Gli uomini possono perdere anni, memorie, amori, e tutte le cose più preziose. E tornare indietro è ancor più difficile.»

«Oh!» le sfuggì un sospiro, lento e sommesso. «Ma allora che cosa…»

«C’è una sola cosa che potrebbe esserci d’aiuto, o per lo meno è l’unica che riesco a immaginare: e cioè parlare con la madre di Kir.»

«Sua madre» mormorò Fiord, guardandolo di sottecchi.

«Ha rapito e incatenato il figlio umano del re. E ha concepito il figlio marino del re. Forse è lei la responsabile di quanto sta accadendo ai pescatori: forse questo è il modo in cui cerca di parlare al re, di mandargli un messaggio, di attirare la sua attenzione sul mare.»

«Solo che lui non c’è.»

«Ma ci siamo noi. Noi la stiamo ascoltando.»

«Credi che accetterebbe di parlare con te?»

«Con noi.»

«Con te. Non ha mai parlato neppure con Kir.»

«A volte la gente è così arrabbiata che non sa udire altro che la propria rabbia.»

«Con chi è arrabbiata?»

«Col re.»

«Ancora? Dopo tutti questi anni?»

«Suppongo che lo ami ancora.»

«Come può amarlo ed essere arrabbiata con lui allo stesso tempo?» chiese Fiord, sconcertata.

«Accade spesso» disse Lyo. S’interruppe per raccogliere un piccolo frammento d’agata e l’alzò davanti agli occhi, guardando il sole attraverso la sua delicata superficie. «Amore e rabbia sono come la terra e il mare: s’incontrano in molti luoghi diversi. Dunque, il re ha due figli. Quello che conosce e quello che non sa di avere. È tempo che conosca il figlio della sua vera moglie.»

«Ma assume l’aspetto umano solo per un paio d’ore ogni notte! Per il resto appare in forma di drago. Non puoi mettere in barca un re e portarlo in alto mare per presentarlo a un drago!»

«Effettivamente no.»

«E allora? Come pensi di…» la voce le morì in gola. «Oh, no, Lyo. No!»

«Non c’è altro modo.»

«Lyo, ti prego!» l’afferrò per un braccio, supplichevole. «No… non puoi portare il re a casa mia!»

«Fiord, deve saperlo che ha un secondo figlio. E se non facciamo subito qualcosa, i pescatori non usciranno mai più in mare. Oppure il drago sarà di nuovo incatenato, e ricacciato in abissi così profondi che sarà perso per sempre. O credi forse di potergli insegnare abbastanza parole perché trovi da solo la strada per andare da suo padre?»

Fiord scosse la testa, confusa: «Non lo so. Non ci ho mai pensato. Ma chissà quando torneranno, Kir e il re!»

«Kir non lo sa ancora che ha un fratello?»

«Se n’è andato prima che il drago si trasformasse. Non ha ancora intuito quella parte della storia.»

Lyo annuì, pensieroso: «Diglielo, quando torna. E io lo dirò al re.»

Fiord sgranò gli occhi: «Non hai paura? Entrare difilato nella reggia e dirgli che ha un figlio segreto in forma di drago marino?»

imperturbabile, Lyo si strinse nelle spalle: «Qualcuno deve pur dirglielo. Tre persone lo sanno: tu, io e la madre di Kir. E così tocca a me.»

Altri fatti enigmatici continuarono a susseguirsi, il giorno dopo e quello successivo. Ci fu il caso del pescatore che aveva trovato nella rete una strana creatura viva: e questa gli si era avvinghiata al collo in un abbraccio amoroso, quasi trascinandolo sott’acqua. Oppure la grande nuvola che era comparsa misteriosamente in un cielo limpidissimo, inghiottendo alcune barche, e i pescatori, accecati dalla foschia, si erano persi e avevano vagato per ore e ore, senza meta, e nel buio udivano rintocchi di campane, piccoli scrosci di risate e addirittura un dolce, incredibile suono d’arpa, fioco e leggero come un improvviso picchiettare di pioggia. Uscirono dalla nuvola quand’era già sera inoltrata: senza un solo pesce nella rete, e così lontani dal porto che vi approdarono solo a notte fonda.

Dopo tali episodi si diffuse nel villaggio un vero terrore: i pescatori si sentivano perseguitati da chissà quali stregonerie, e mandarono frenetici messaggi su e giù lungo la costa, invocando il ritorno del mago.

«È come se riprendessero vita tutte le vecchie leggende del mare» osservò Marli, pensierosa. Avevano finito la loro giornata di lavoro, e le tre ragazze si trovavano nel ripostiglio a riporre scope e strofinacci. «Mi chiedo chi è che abbiamo offeso, facendo scomparire quella catena…»

«Senza ricavarne una soia moneta d’oro, fra l’altro» sospirò Carey. «Non è giusto. Probabilmente è il mago che l’ha rubata; probabilmente ha raccolto dall’acqua tutti quei fiordalisi e li ha di nuovo trasformati in oro. Figuriamoci se si farà vivo!»

«Oh, non dirlo neppure per scherzo! È la nostra unica speranza…»

«Forse. O forse il re può fare qualcosa, quando torna.»

«E cosa potrebbe fare? Anche ammesso che creda ai racconti dei pescatori? Non me lo vedo proprio, a saltar giù dalla sua grande nave, con tanto di stivali addosso, per nuotare all’inseguimento di una foca! Lui le onde le osserva dall’alto della sua bella casa; lui naviga di isola in isola sulla sua comoda nave, e gli unici pesci che vede sono coperti di salsa, nel suo piatto. Cosa ne sa, lui, del mare?»

«Qualcosa» mormorò Fiord, senza pensarci.

«Che cosa?»

«Qualcosa, ho detto. Forse qualcosa la può fare. Forse.»

Ci fu una gran burrasca, quella notte. Nere nubi gonfie di pioggia si radunarono sull’orizzonte, al calar del sole, e rapidamente mossero verso la costa. Poco dopo già diluviava. Svegliata nel cuore della notte dallo scoppio di un tuono, Fiord si alzò giusto in tempo per vedere il drago che si dibatteva tra le onde selvagge; il mare lo depositò a riva più in fretta del solito. E quando raggiunse l’uscio della capanna era fradicio d’acqua.

«Ho visto una barca» disse.

«Una barca?» ripeté Fiord, inorridita. «Una barca di pescatori? Con una simile burrasca?»

Lui scosse la testa, strizzandosi l’acqua dai capelli: «No barca. La parola è troppo piccola. Era più grande di una barca. Dopo calato il sole. Lontana lontana. E io nuotavo così lontano che la terra era sottile.»

«Una nave?»

«Una nave» convenne lui. «Nella pioggia. E io ho nuotato vicino, per ascoltare le voci.»

«Notte tremenda, per starsene in alto mare. Anche per una nave» disse Fiord, accigliandosi. Si preparava a fargli una domanda difficile, e ciò la rendeva nervosa. Improvvisamente il drago le posò una mano sulla fronte, dove le sopracciglia tendevano ad avvicinarsi.

«Cosa stai facendo?»

«Cosa sto… Oh!» le sopracciglia si distesero di colpo. «Stavo aggrottando la fronte.»

Cercò di imitarla, con la mano che ancora indugiava sul suo viso. Scoppiò a ridere. Poi, vedendo che lei non rideva, prese a scrutarla intensamente: «La tua faccia parla. Ma io non posso sentire cosa dice.»

Fiord respirò profondamente, come per farsi coraggio, e gli chiese: «Quando tu… quando tu nuoti nel mare, hai un nome?»

Il drago s’irrigidì, lasciando cadere la mano, e spostò gli occhi sul fuoco. Si strinse nelle coperte.

Comprendendo che non voleva o non poteva rispondere, Fiord tentò un’altra strada: «Chi è che ti ha messo al collo quella catena?»

Ancora non rispose. Tenne gli occhi fissi sulle fiamme, come se ne ascoltasse la voce. Lentamente, la fronte di nuovo aggrottata, lei aggiunse: «È questo il mondo che ti appartiene. Non il mare. Tu fai parte di questo mondo, fatto di aria e di fuoco; tu sei nato per camminare su questa terra. Tu appartieni a tutto ciò che si trova sopra il mare. Rispondimi. Se puoi. Se ricordi. Chi ti ha incatenato al mare?»

Si volse a guardarla, finalmente, in silenzio. Lacrime venate di fuoco gli rotolavano sul viso. Straziata, la gola stretta in una morsa, Fiord gli posò le mani sulle spalle. Dopo un momento, lui sollevò una mano, se la passò sulla guancia, e poi restò a fissare le dita inumidite. Era sorpreso: «Cosa sto facendo?» domandò.