«È bellissima!» disse, facendo un fischio.
«Lyo!»
«Be’, prova a immaginarti come doveva essere grande l’ostrica che s’è affannata a costruirla, ciecamente, nel silenzio del suo guscio, intorno a un granello di sabbia…» La gettò in aria, pensosamente, e la riprese al volo, gli occhi stretti sul luminoso mare del mattino.
«Lyo, non era certo un’ostrica quella che se n’è uscita dall’acqua per portarla da me! Era lei! Lei sa che il drago viene qui ogni notte! Lo troverà, lo rimetterà in catene…»
«No, non lo farà.»
«Ma…»
«Ti ha mandato un messaggio.»
«Sì?!»
«Un messaggio per dirti: «Io so di te, tu sai di me». Se voleva indietro il drago se lo sarebbe ripreso, senza preoccuparsi di lasciare perle sulla porta di casa tua. Lei consente che il drago venga qui. Anche se…» aggiunse, deviando dai suoi stessi pensieri «… anche se resta un mistero perché mai debba trasformarsi in uomo solo per poche ore ogni notte. È inspiegabile. La magia appare così confusa…»
Anche Fiord era confusa: «Ma allora… cosa vuole? Oh, Lyo, cos’è che vuole? Il drago l’ha riconosciuta, stanotte… lei, o una creatura come lei… Camminava in uno dei disegni del tuo libro. Qualcuno deve averla vista, per poterla ritrarre in quel modo: dev’essere sceso negli abissi, per poi tornare su! E allora perché non può farlo Kir? Perché non puoi farlo tu? Scendi, Lyo, e chiedile che cosa vuole.»
«Hai mai visto una sirena?»
«No.»
«Ma sapresti disegnarla?»
«Be’, sì.»
«E come? Se non ne hai mai viste?»
«Non lo so. Tutti sanno com’è fatta una sirena. E adesso» sospirò «… continuano a vederne…»
«Ma già conoscevano la parola, prima di vedere la sirena.»
Fiord annuì, perplessa: «La gente racconta tante storie…»
«E parole» aggiunse Lyo. «Come tesori che si tramandano attraverso il tempo. Sono poche, pochissime le persone che penetrano davvero negli abissi del mare. È un viaggio fuori dal mondo. Ma chi racconta, o ascolta, la storia di un simile viaggio, può scendere laggiù e poi tornare indietro senza correre rischi. Perciò non è necessario supporre che il pittore sia sceso di persona a vedere quel mondo coi propri occhi: forse ha dipinto il viaggio che ha compiuto con la mente, la prima volta che ne ha udito la storia.»
«Sì, ma… Lyo, il drago l’ha riconosciuta!»
Lyo grugnì un breve assenso. Si passò le dita fra i capelli, nervoso, raccogliendone un ultimo residuo di sterpi. «Bene» ammise «forse hai ragione. Tanto tempo fa, il disegnatore è sceso negli abissi, portandone indietro un tesoro di strane conoscenze… Ma né a te né a me toccherà fare altrettanto.»
«E allora come potrai parlare con la madre di Kir?»
«Tutti e due le parleremo, non io soltanto. Be’, andremo a fare una piccola battuta di pesca coi pescatori.»
«Non c’è quasi più nessuno disposto a prendere il mare, adesso come adesso» obiettò Fiord. «Diranno che è scoppiata una burrasca, e aspettano che passi.»
«Qualcuno ha subito danni, finora?»
«No, ma…»
«Allora andiamo. A meno che tu non preferisca aspettare, per vedere che cosa troverai domattina sulla tua porta.»
«No» bisbigliò lei. «Non lo farò.»
Quando raggiunsero il porto, i pochi pescatori disposti ad affrontare i capricci del mare erano già usciti. Nessuno vide arrivare il mago — tanto sospirato dall’intero villaggio — tranne una mezza dozzina di gabbiani che sonnecchiavano sulle bitte.
Dopo aver pronunciato una breve formula per eliminare eventuali incrostazioni, Lyo sciolse il “Riccio” e tuffò i remi nell’acqua. Fiord capì subito che questa volta avrebbe fatto ricorso alla magia: e infatti uscirono dal porto e si trovarono al largo molto più rapidamente di quanto fosse normale per una piccola barca da pesca. Ma invece di ricongiungersi ai vaghi puntolini dei pescherecci, sparsi sull’orizzonte, Lyo seguì una propria rotta, parallela alla riva: puntava verso le guglie.
Fradicia di spruzzi e un tantino stordita, Fiord osservava i due affilati scogli che spuntavano alti dall’acqua e sembravano avvicinarsi sempre più. Non li aveva mai visti da quella angolazione. Li aveva sempre guardati dalla spiaggia, aveva sempre guardato le onde che s’insinuavano tra loro: non li aveva mai visti incorniciare la costa come pilastri spezzati di un antico cancello fra terra e mare. Man mano che Lyo si avvicinava, il paesaggio compreso tra le guglie pareva trasformarsi: ora una vuota, scintillante distesa d’acqua; ora un’onda che si frangeva su uno sgretolato spuntone di roccia; ora candida sabbia e verde muraglia di ginestroni; ora la capanna della vecchia, minuscola e sbiadita ai piedi della scogliera, così come poteva apparire a un drago… o a qualcuno che nuotasse in direzione delle guglie, portando una perla nera quale messaggio del mare… Fiord batté le palpebre, incerta. Quelle guglie erano una porta d’ingresso alla terraferma o al mare? Su che cosa s’affacciavano, verso l’interno o verso l’esterno? Qual era il vero paese?
Batté ancora le palpebre, e in quell’attimo calò su di loro una nuvola bianco-perla, abbagliante. Lyo smise di remare. Si scambiarono un lungo sguardo, i capelli imperlati di nebbia.
Il mare, che poco prima rifletteva un cielo azzurro e terso, adesso era di seta grigia. Si udì una lieve risatina, quasi il suono che potrebbe fare l’acqua frusciando sotto la chiglia. Fiord si acquattò sul fondo della barca, tremando di freddo. Qualcosa fece vibrare la prua del “Riccio”, come una mano di gigante che giocasse con una barchetta giocattolo. Fiord si appiattì ancora, cercando di farsi piccola piccola. Lyo era impallidito: un bizzarro pallore, come di latte, che pareva confondersi con quella strana foschia. In silenzio si alzò, e gettò in mare la perla nera.
Una mano affiorò a prenderla. Un viso di donna li guardava da sotto la fredda, tranquilla superficie dell’acqua. Lunghe chiome si avvolgevano e svolgevano, morbidamente; erano ornate di piccole stelle marine e anemoni e lunghe, sinuose collane di perle multicolori. In quel viso, pallidissimo, spiccavano due ardenti occhi a mandorla: occhi bruni, di madreperla scura… Gli occhi di Kir.
Era molto vicina, e tuttavia più remota di un sogno, con le onde che scivolavano leggere sul suo viso. Teneva la perla nel palmo aperto della mano, sott’acqua, e parve a Fiord che fosse in attesa di qualcosa. Non accadde nulla. Lyo sembrava pietrificato. Ondeggiando nell’acqua, lei continuava a scrutarli, gli occhi inespressivi, o troppo strani per poterli decifrare. Finalmente disse qualcosa: colonne di bollicine salivano verso l’alto. E le parole schioccarono in superficie, lievissime, come se provenissero anche quelle da remote lontananze. Lyo sorrise. Dalla nebbia raccolse dei fiordalisi, e li sparpagliò sull’acqua. Alcuni affondarono lentamente, altri si posarono sui capelli della donna. Sorrise anche lei, allora, un piccolo, guardingo sorriso senza allegria.
«Cosa ha detto?»
«Ha detto che sono molto forte» spiegò Lyo.
«Che cosa strana da dire» commentò Fiord, cupamente.
«Non proprio» la voce di Lyo tremava. Quella che gli imperlava la faccia non era soltanto nebbia, notò Fiord: era sudore. «Al momento stiamo discutendo che cosa fare del “Riccio”…»
Fiord chiuse gli occhi: «Vorrei essere al lavoro» bisbigliò. «Vorrei essere alla locanda, a strofinare pavimenti. Vorrei essere…»
«Dov’è il tuo senso dell’avventura?»
«Mai avuto. Che succede, se perdi?»
«Non credo certo che sarò io a vincere…»
Un pensiero improvviso folgorò la mente di Fiord. Aprì gli occhi, fissando la piccola pozzanghera d’acqua che s’era formata sul fondo della barca; stava ancora tremando di freddo, ma non aveva più alcuna paura. Si rivolse a Lyo: «Chiedile…» disse, con fermezza «chiedile se ha mai provato a distruggere questa barca. Chiedile se la riconosce.»