All’avvicinarsi di Kir, la sua espressione mutò, le sopracciglia s’inarcarono di scatto: «Cosa stai facendo?» bisbigliò. Ebbe un lungo brivido, col freddo della notte che penetrava nella sua forma umana. «Ti stai avvicinando a me.» Poi la sua faccia si distese, assumendo un’espressione di meraviglia che Fiord non gli aveva mai visto. Come un mago, evocò dal nulla una parola: «Kir!»
Kir si fermò. Fiord lo vedeva tremare. Le loro facce, di profilo contro lo scintillio delle onde, sembravano l’una lo specchio dell’altra. Poi Kir si portò le mani alla gola, sganciò la fibbia del mantello e lo posò sulle spalle del drago.
«Cosa stai facendo?» ripeté il drago: sembrava supplicarlo, sembrava invocare la voce di Kir, una voce umana che rispondesse alla sua, in tutto quel silenzio.
E allora Kir parlò, con voce rotta: «Guardo mio fratello.»
Fiord chiuse gli occhi. Si sentì come tirare da mani invisibili e scivolò a terra; corse da Kir, nascose il viso sul suo petto, tremando di sollievo: «Non sei arrabbiato.»
«Da quanto tempo… da quanto tempo…»
«Dalla notte che sei partito. Il drago… lui… è uscito dal mare, per la prima volta. La catena era scomparsa. Io… non ho avuto modo di dirtelo.»
«No» bisbigliò Kir. Stava ancora tremando. «Avrei dovuto immaginarlo. La catena…»
«Catena» ripeté il drago. Incerto, indugiava sul ciglio della marea, osservandoli.
«Come si chiama?» domandò Kir.
«Non penso che nessuno gli abbia mai dato un nome. Può restare fuori dall’acqua solo per poche ore, la notte, e poi deve riprendere la sua forma di drago.»
«Lo sa, mio padre?»
«Lyo si prepara a dirglielo.»
La guardò un momento. «Lyo» disse, asciutto. «Lyo. Ma chi è, esattamente, questo mago che ama i fiordalisi e non ha paura di raccontare a mio padre una storia come questa?»
«Non lo so» rispose lei, nervosamente. «Venite in casa. Accenderò il fuoco.»
Seduti davanti al focolare — il drago ancora avvolto nel mantello di Kir, chiuso alla gola da una fibbia di perle — i due principi si studiavano l’un l’altro, in silenzio; Fiord li osservava entrambi, uno biondo, uno bruno, e notava tra loro una somiglianza sorprendente. Avevano identica struttura fisica, identica statura. Ma gli occhi del drago erano azzurri, mentre Kir li aveva d’un colore blu cupo. Sì, gli occhi erano diversi, pensò Fiord, come diversa era la loro espressione. Dopo anni di burrasche invernali, affrontate senza paura dal suo corpo possente, avendo come unico ostacolo una catena, il drago appariva molto più placido e disteso. Il volto di Kir, invece, era mutevole come il mutevole volto di una fiamma.
Fiord aprì il libro di Lyo e mostrò a Kir gli opalescenti giardini del mare: la donna si allontanava adagio lungo il sentiero di perle finché le correnti sollevarono un turbinio d’alghe, mutando il disegno in un nuovo paesaggio. Il drago emise un breve mugolio, e Kir si volse a guardarlo:
«Tu conosci questo posto.»
«Quando… quando ero piccolo, catena era piccola» disse il drago, faticosamente. «Poi catena diventata grande, più grande. Ma sempre cominciava qui.»
Kir guardò di nuovo la pagina: Fiord non gli vedeva gli occhi, ma leggeva sul suo viso un desiderio struggente.
«È come il chiaro di luna» bisbigliò, mentre il disegno mutava un’altra volta. «Puoi vederlo, ma non puoi catturarlo: traccia un sentiero attraverso il mare, ma non puoi camminarci. Potrei cercare tutta la vita e poi morire, prima di trovare questo posto, e lui… lui vuole fuggirne.»
Il drago l’ascoltava attentamente, sforzandosi di comprenderlo. Gli occhi di Kir vagarono sulle parole scritte che accompagnavano l’illustrazione; il drago le copri con una mano: «Che cosa vedi?» gli chiese.
«Un mondo che voglio.» Il viso di Kir si addolcì, vedendo la sua espressione meravigliata. «Non capisci, vero?»
«Io capisco tue parole. Non capisco…» fece un piccolo gesto d’impazienza «… non capisco tuoi occhi. Tu guardi sempre il mare. Anche con Fiord, tu guardi il mare.»
Kir non rispose; forse cercava di vedere se stesso sulla spiaggia, attraverso gli occhi del drago.
«Sì» mormorò infine. «Io lo guardo. Io voglio essere qui» batté col dito sulla pagina, dove di nuovo tremava il misterioso fondale di perle. Un guizzo di dolore attraversò il volto del drago.
«Tu non devi. Tu…» scosse la testa, sbigottito. Poi una folla di ricordi parve turbinargli nella mente, a formare un quadro: e nel vederlo, sgranò gli occhi. «C’era una volta un re. Un re che aveva due figli: uno avuto da una giovane regina, sua sposa, e l’altro da una donna del mare… Tu» disse a Kir, improvvisamente. «Tu» e gii sfiorò il viso, vicino agli occhi. Poi toccò la donna con le stelle marine nei capelli e gli ardenti occhi blu-neri: in quegli occhi aveva guardato, quando dimorava negli abissi. «Tu sei il figlio venuto dal mare.»
«Sì» bisbigliò Kir. «Sì.»
«Io no.»
«No. Non lo sei.»
Il drago parve di nuovo sbigottito: «Allora perché io sono nel mare?»
Kir alzò gli occhi su Fiord, come a cercare il suo sostegno. «Sono successe delle cose» disse. «Non le capisco tutte, neppure io. So solo che tu appartieni alla terra e io appartengo al paese in fondo al mare, con la donna che cammina su quei sentieri di perle.»
Il drago rimase in silenzio. Spostò lo sguardo sul fuoco: lo fissò a lungo, finché Fiord lo tirò per un braccio, lo fece voltare. Appariva turbato: una nuova espressione, un nuovo movimento per il suo corpo d’uomo.
«Kir» disse, gli occhi sul viso del fratello. Fece una pausa, lottando per trovare le parole; poi si protese verso di lui, gli posò una mano sulla spalla. «Io posso vederti. Posso parlare con te. A te. Io vengo… io sono venuto dal mare per te. Resta. Qui con Fiord. In questo mondo dove posso vederti.»
«Non posso restare.» La sua faccia era bianca, rigida. Fiord, che lo scrutava ansiosamente, vi colse un represso luccichio di lacrime. Poi si ricompose, e afferrò il drago per i polsi. «Tu puoi vedermi» disse, con voce roca. «Fiord può vedermi. Nessun altro al mondo può vedere chi sono, realmente. Ma non posso restare con voi, qui. Morirò se non trovo la mia strada per raggiungere il mare.»
«Morire?»
«Non più vivere. Non più vedere.»
Il drago si sciolse dalla stretta delle sue mani, quasi con riluttanza: «Come?» chiese. Erano tante le domande che poneva, una dopo l’altra, che Kir dovette sorridere.
«Non lo so, come» rispose. «Forse il mago mi troverà un sentiero. Sembrerebbe la sua specialità, trovare le cose…» Il disegno del mare gli vibrò sotto le dita: abbassò gli occhi sul libro, come se avesse percepito il mutamento. «In queste pagine» aggiunse in un soffio «in queste pagine c’è scritto il modo.»
«Ma Lyo ha detto di non…»
«Lyo non ha bisogno di scendere nel mare.»
«No» ammise Fiord, paziente. «Ma dice che gli incantesimi sono pericolosi.»
«Tu credi che m’importi?» ribatté lui, con altrettanta pazienza, e Fiord si sentì agghiacciare le mani.
«Tu non sei un mago.»
«Ma so leggere» disse, troncando la discussione. E così fece, a voce alta, mentre il drago lo guardava meravigliato, e Fiord si metteva a sbatacchiare pentole e cucchiai, sperando di disturbare la sua lettura. Alla fine si arrese e lo raggiunse, chinandosi sulla sua spalla a vedere ciò che stava leggendo.
«Per trovare il sentiero che sprofonda negli abissi del mare, trova prima il sentiero dei tuoi desideri» diceva misteriosamente il libro degli incantesimi. L’illustrazione mostrava una giovane donna, immobile nella risacca, gli occhi fissi sul mare; aveva i capelli lunghi, agitati dal vento; i piedi nudi; una lacrima scivolava sul suo viso disperato. Fiord ebbe un sussulto. Così sarebbe stata lei, una volta che Kir l’avesse lasciata? Il suo sguardo tornò alla didascalia: lesse muovendo le labbra, sforzandosi di memorizzare la formula magica, nel caso le fosse servita.