«Come faceva a chiamarla, prima?»
«Non è che la chiamassi… o almeno, non coscientemente. Ci chiamavamo l’un l’altra, penso. Camminavo lungo la riva, desiderandola, ed ecco che la vedevo scivolare tra le onde, con quei suoi lunghi, pallidi capelli che brillavano sotto la luna.» Guardò il figlio, immobile nella risacca. «Se ora non può più sentire me, forse potrà sentire lui. Forse il suo desiderio potrà raggiungerla.»
«Sì» disse Lyo, gentilmente. Una delle ghirlande parve incendiarsi: un fuoco bianco gli divampava fra le dita.
Il re ne fu sorpreso: «Cosa intendi farne?»
«Non lo so ancora con certezza… Penserò a qualcosa.»
«Sei giovane, per essere così esperto di arti magiche.»
«Sono attento alle cose. Tutto qui» disse lui. Fiord e il re lo fissavano, in un silenzio trepidante.
“Deve accadere qualcosa” pensò Fiord, e di nuovo volse lo sguardo al mare, incantata dal sentiero di luna che scintillava sull’acqua e s’allungava, s’allungava, per andare… dove? Sì, qualcosa sarebbe accaduto, ne era certa.
Lyo fissava l’intreccio di luce che gli tremava tra le mani. «Non è fuoco» bisbigliò. «Qui c’è luce. Qui ci sono lune e chiari di luna.» Improvvisamente sollevò una ghirlanda e la gettò in aria: volò verso le guglie, trasformandosi in una enorme ruota sfolgorante che si specchiava sull’acqua. Poi cadde in mare, ma non affondò: galleggiava, ancora irradiando il suo riflesso sulle onde. E poi l’angolo di luce mutò; qualcuno l’aveva afferrata, pensò Fiord. Il riflesso non seguiva più il movimento del mare: s’infilava tra le guglie, sollevandosi in una gigantesca ragnatela sospesa tra l’uno e l’altro scoglio, appena sopra la superficie. E dalla spiaggia non si vide più il sentiero di luce.
Lyo fece un borbottio di sorpresa. E il re, sbigottito, gli domandò: «È opera tua?»
«No.»
Kir si stava muovendo; incurante degli spruzzi che gli turbinavano sui piedi e poi sulle ginocchia, avanzava verso la ragnatela. Già sembrava averli lasciati, pensò Fiord, lei, suo padre, tutti. Se il mare non l’avesse accolto, sarebbe comunque cambiato; anche in terraferma, la marea avrebbe continuato a ruggirgli nella mente, col suo incessante invito, più forte di ogni voce umana. Lo seguì con lo sguardo, e un brivido improvviso le gelò il sangue: qualcosa si agitava attraverso la fiammeggiante ragnatela sospesa ira le guglie, qualcosa scivolava oltre i flutti…
Il re mandò un grido soffocato. Le onde continuavano a rotolare, ad avvicinarsi in lunghe volute d’argento, a infrangersi fremendo sulla spiaggia, a ritirarsi. L’acqua spumeggiava intorno a Kir, torcendogli il mantello; Kir se lo tolse e lo gettò sul mare come un’ombra. Continuò ad avanzare, in acque sempre più profonde. Nella risacca appariva e spariva una testa di donna: un baluginare di capelli pallidi, lisci; un luccichio di perle, di squame… Lyo gettò un’altra ghirlanda. Cadde sulla sabbia, formando un vibrante labirinto di luce, che la marea non poté cancellare. E verso il labirinto avanzò la misteriosa figura: affiorarono le spalle, e la lunga chioma lucente, fradicia d’acqua. L’abito, che prima fluttuava vaporoso nelle correnti, le ricadeva ora sul corpo, appesantito. E la donna emerse dalla risacca, lentamente.
Il re le andò incontro, fermandosi sull’orlo della grande ragnatela di fuoco; un’onda vi rotolò sopra, e, quando si ritrasse, la donna era ferma nel centro luminoso del labirinto.
Dal mare, Kir si volse a guardarla. Lyo gli gettò un’altra ghirlanda: cadde davanti a lui, dilatandosi, proprio mentre si accingeva a tornare sulla spiaggia per raggiungere sua madre. Ma invece di aiutarlo parve chiuderlo in una trappola, e imprigionarlo, impotente e sbigottito, nel cuore di quel nuovo labirinto. Lyo mormorò qualcosa. In preda all’orrore, Fiord gii afferrò un braccio: «Lyo!»
Il mago borbottò qualcos’altro, esasperato; poi parve placarsi. «Sshh…» bisbigliò, un dito sulle labbra. «Aspettiamo. Il mare sta creando e sciogliendo i propri incantesimi.»
La donna del mare aveva i capelli lunghi fino ai piedi, e le spalle curve sotto il peso delle perle. Mentre studiava il re, i suoi grandi occhi blu-notte parevano inespressivi. Poi mormorò qualcosa, e Fiord avvertì il respiro di sollievo di Lyo.
«Cos’ha detto?»
«Ha detto «Sei cambiato».»
«Succede» disse il re «agli esseri umani.»
La donna parlò ancora. Fiord guardò Lyo, e con sorpresa vide che si chinava a raccogliere una conchiglia.
«Prendi.»
«Cosa dovrei…»
Pazientemente, Lyo si toccò un orecchio: «Ascolta.»
Fiord si accostò all’orecchio la conchiglia, e udì la voce del mare.
«Allora è da molto tempo che sono arrabbiata» disse la madre di Kir. Passando nelle circonvoluzioni interne del guscio, la sua voce sembrava lontana, come in un sogno.
«Sì.»
«Non mi sono resa conto di quanto tempo fosse trascorso finché non ho sentito il grido di mio figlio, il suo desiderio di tornare nel mare… È molto, secondo il tempo degli uomini?»
«Sì» bisbigliò il re. «Molti anni.»
«Allora, molti anni fa, per molte notti, io ti ho aspettato nella marea, ma tu non sei venuto né mi hai detto perché.»
«Per me eri come un sogno. Dovevo lasciarti, dovevo tornare al mio mondo. Lo so, avrei dovuto dirtelo.»
«Sì.»
«Avrei dovuto dirti che allontanarmi da te era come rinunciare al vento e alla luce. Ma dovevo farlo. Puoi perdonarmi?»
La donna sollevò un poco le mani e le apri, come se lasciasse cadere degli oggetti invisibili: «Ho rapito il tuo bambino nato sulla terra perché volevo che al posto suo tu avessi il mio, il nostro bambino. Perché tu amassi lui, visto che non potevi più amare me. E perché tu potessi ricordarti sempre di me, ogni volta che lo guardavi.»
«Così è stato» sussurrò il re.
«Ma ho preso l’altro tuo figlio. Ero arrabbiata con te, e ho fatto della mia rabbia una catena, e ho trasformato il tuo biondo bambino in qualcosa che tu non avresti mai visto, mai riconosciuto. Puoi perdonarmi, per questo?»
«Come potrei non perdonarti, quando io stesso ti ho aiutata a forgiare quella catena? Anello dopo anello, la mia colpa, la tua colpa…»
«L’ho tenuto così a lungo in quella forma che quasi mi ero dimenticata chi fosse. Solo la catena mi ricordava la mia rabbia. Ma un giorno la catena si è allungata oltre i confini della mia magia, affiorando sulla superficie del mare. Non potevo più nascondere il tuo figlio-drago. Nuotava fra i pescatori, finché i loro occhi ingordi furono attratti dall’oro. E poi svanì anche l’oro, scomparve la catena.»
«E così hai consentito che il drago venisse in terraferma a riprendere la sua forma d’uomo?»
«No. Non ho fatto nulla. La magia mi era ormai sfuggita dalle mani: era diventata confusa, inestricabile. E proprio allora avevo cominciato a sentire mio figlio che mi chiamava, mi chiamava, e io lo cercavo, ma non riuscivo a raggiungerlo. Non potevo far altro che disturbare i pescatori con piccoli incantesimi, sperando che si rivolgessero a te per avere un aiuto, e che tu finalmente mi trovassi.» Sospirò una piccola onda lontana. «E finalmente sei venuto.»
«Per ridarti tuo figlio. E per prendere il mio dal mare, e riportarlo nel mondo al quale appartiene.»
«Spero di non averlo trattenuto troppo a lungo, che per lui non sia troppo tardi per entrare nel vostro mondo.»
«Non credo. Ma…» la sua voce lenta, sommessa, s’insinuava nell’alterno fruscio delle onde «… ho molto amato il tuo irrequieto figliolo: e ora, prendendolo, tu mi prendi un altro pezzo di cuore. Se c’è un prezzo da pagare, per questo passaggio, non ho altro da darti.»
«Non c’è nessun prezzo» la voce della donna parve incrinarsi. «Il suo desiderio è il suo sentiero. Ma tu devi lasciarlo libero…»
«Lo mando a te liberamente…» s’interruppe, accarezzando con lo sguardo il suo volto lunare, il pallido luccichio di seta delle perle. «Ero così giovane, pochi anni più di Kir, la prima volta che ti ho vista…»