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«Ricordo.»

«Sembra strano, adesso, guardando il tuo viso immutato, che io non sia più quel giovane che camminava lungo il mare, in una notte d’estate, quando l’intero firmamento pareva caduto nell’acqua, e tu mi sei apparsa tra la spuma, scuotendo dai capelli grappoli di stelle…»

La donna sorrise: un delicato, guardingo sorriso in cui, questa volta, c’era più calore. «Sì, ricordo. Il tuo cuore cantava, quella notte, cantava al mare. E quel canto è arrivato fino a me, nella mia torre di corallo, e sono salita a raggiungerlo. Gli uomini dicono che il mare leva il suo canto verso di loro per incantarli, ma certe volte è il canto umano che imprigiona il mare. Chi lo sa dove finisce la terra e comincia il mare?»

«La terra inizia dove inizia il tempo» disse il re. «Ed è tempo che Kir mi lasci. Riuscirà a penetrare nei tuo mondo, o per lui è troppo tardi?»

La donna volse la testa, e per la prima volta posò gli occhi su suo figlio. Kir vacillava un poco, come se lo sguardo della madre gli facesse perdere l’equilibrio; o forse era l’urto della risacca? Ancora non riusciva a liberarsi dal magico labirinto. E il sorriso s’era spento sulle labbra della donna, quando tornò a guardare il re.

«A malapena scorgo la sua forma umana, tanto è già viva in lui la sostanza dei mare. Il suo corpo è un’ombra, e le sue ossa fluide come l’acqua.»

«È troppo tardi?»

«No, non è tardi. Ma è urgente per lui lasciare il vostro tempo. Ora capisco perché il suo grido mi arrivava come un canto di marea.» Parve afflosciarsi, stremata dalla gravità terrestre; anche i capelli sembravano troppo pesanti, e l’avvolgevano come una cappa appena sopportabile. «Devo andarmene — sussurrò.»

«Portalo via con te.»

«Sì. Ma tu devi lasciarlo libero» indugiò ancora, mentre le onde frusciavano ai suoi piedi, coprendo e scoprendo il labirinto.

Per un attimo, parve a Fiord che il re si avvicinasse, o che si avvicinasse la donna, o forse era soltanto il turbinio della marea a creare l’impressione che si accostassero l’uno all’altra: ma per un attimo i loro volti furono pieni di pace. La donna bisbigliò qualcosa, ma la sua voce era troppo bassa per varcare la soglia del labirinto. Poi si voltò, entrò in mare e si dissolse nella spuma.

Kir lanciò un tale grido di strazio e disperazione che Fiord si sentì fermare il cuore. Lottava furiosamente per uscire dalla ragnatela, ma ancora ne sembrava intrappolato: immerso nell’acqua fino alla cintola, le onde io investivano e lo sommergevano tutto, senza trasformarlo: era ancora umano.

«Fa’ qualcosa, Lyo!» gemette Fiord, il viso rigato di lacrime.

«Fa’ qualcosa, mago» ordinò il re con voce aspra d’angoscia. «Ha detto che dovevamo liberarlo. Lascialo libero, dunque.»

Lyo abbassò gli occhi sull’ultima ghirlanda che gli rimaneva in mano: «Sono così imprevedibili…» mormorò, sconcertato. «Dimmi, Fiord, mentre le facevi hai per caso pronunciato qualche formula magica? Hai detto qualcosa, mentre le gettavi in acqua?»

«N… non lo so. Io…» balbettò lei, sconvolta. «Io credo… sì, ho gridato. Ho gridato contro il mare.»

«E che cosa hai gridato?»

«Non lo so. Qualcosa… ero così arrabbiata!» s’interruppe. Il mondo tacque improvvisamente intorno a lei, tanto era concentrata a pensare… Una bassa marea, onde pigre che s’acquattavano dietro le guglie… un mare perfido che bisognava maledire… Come la madre di Kir, anche lei aveva dato una forma alla sua rabbia… Sentì freddo, un gelo che sapeva di notte, che sapeva di magia. «L’ho fatto!» bisbigliò. «Oh, Lyo, ci sono riuscita!»

«A far che cosa?» domandarono insieme Lyo e il re.

«A maledire il mare!» Inspirò a fondo e poi gridò a pieni polmoni: gridò così forte che pareva dovessero aprirsi tutti gli usci e le finestre del villaggio, e la gente affacciarsi insonnolita: «Sciolgo la mia maledizione, Mare! Ti libero dai miei malefici! Riprendo tutto ciò che ti ho gettato mentre ero preda dell’odio!» cercò disperatamente di ricordarsi il resto del sortilegio. «Che i tuoi incantesimi possano di nuovo intrecciarsi, e la tua magia torni limpida, non più confusa! Spalanca la porta fra la terra e il mare, e prendi con te quest’ultima cosa che amo, che appartiene alla terra e al mare, a noi e a te!»

Volò nell’aria l’ultima ghirlanda. Cadde sulla grande ragnatela sospesa tra le guglie, i cancelli del mare: i fili cedettero, si strapparono, rivelando una manciata di stelle, una porzione di luna, sbrindellati frammenti del sentiero di luce. Un’onda si rovesciò su Kir, sommergendolo, si arricciò sopra di lui, si ritrasse. Quando lo rividero, stava nuotando, libero, in direzione delle guglie.

Non si voltò a guardarli. S’immerse, e quando riaffiorò in superficie aveva movimenti di foca, agili, eleganti, aggraziati. Si tuffò di nuovo e rimase sott’acqua così a lungo che anche Fiord e gli altri, sulla spiaggia, trattennero il respiro. Caddero altre maglie della ragnatela, disfacendosi come una vecchia rete marcia: nodo dopo nodo, filo dopo filo, si sgretolavano nel mare, e la bianca luce di fuoco era sempre più tenue.

Poi Kir riapparve, pericolosamente vicino alle guglie. Poteva essere scaraventato contro le rocce, sballottato dai flutti impietosi: e invece scivolava leggero di onda in onda, lontra, o pesce, non più umano. Guardò i residui della ragnatela sulla sua testa, sospesi tra lui e l’ampio oceano nero. Cadde un altro filo, bianco, palpitante: Kir si protese ad afferrarlo e s’immerse un’ultima volta, trascinandolo con sé negli abissi. I lembi della ragnatela si staccarono dalle guglie, in un selvaggio dipanarsi, e la ghirlanda cadde con un’ultima vampata nell’ardente sentiero della luna.

A lungo frugarono il mare — Fiord, Lyo, il re — cercando Kir, ma non lo rividero più. Di tutte quelle luci di cristallo rimaneva solo la luna, che ancora tesseva la propria ragnatela fra le guglie.

Erano immersi nella risacca, come se avessero tentato di seguire Kir in quel suo ultimo viaggio. Fiord si trovò stretta fra le braccia di Lyo; era intorpidita dal freddo, troppo intorpidita per provare dolore, e le parve che il freddo non l’avrebbe mai più lasciata. Lentamente uscirono dall’acqua. Il re chiuse fra le mani il viso di Fiord, e le baciò la fronte.

«Grazie» disse. Poi guardò Lyo: «Grazie anche a te.»

Non c’era molta felicità nella sua voce: solo una vuota stanchezza, che Fiord comprendeva acutamente. Kir era partito. Kir era… Un movimento improvviso nella risacca la fece sussultare.

Era il drago, che affiorava tra le onde.

«Sta camminando!» bisbigliò Fiord. «Sta uscendo dal mare!»

Il principe camminava adagio nel suo corpo d’uomo, emergendo dall’acqua passo dopo passo, paziente come quando trascinava fuori il suo corpo di drago; si fermò una volta a raccogliere qualcosa — pareva un frammento di spuma, o una scheggia di luce. Finalmente li raggiunse, scosso dai brividi, le sopracciglia aggrottate.

«Kir è andato via» disse. Il re si tolse il mantello e lo adagiò sulle spalle del principe.

«Sì.»

«L’ho guardato andar via. E ora vado anch’io.»

«No» disse Fiord. «Tu hai lasciato il mare per sempre. Ora sei qui.»

«Sono qui.» Guardò il padre, con espressione incerta, complessa. «I tuoi occhi vogliono vedere Kir.»

«Kir desiderava partire. Era necessario, per lui.»

«Tu sei il re che aveva due figli.»

«Sì.»

Il drago scrollò lievemente le spalle, come se per un’ultima volta avvertisse il peso della catena: «Il mare non mi voleva. Se tu non mi vuoi, forse Fiord mi vuole.»

Fiord annuì, mentre Lyo scuoteva la testa. Il re sorrise, sfiorando la guancia del drago in una breve carezza: «Quanto assomigli a tua madre! I suoi occhi gentili, il suo sorriso… Potrà essermi utile, quando mi toccherà spiegare dov’è andato Kir, e perché ci sei tu al posto suo.»