«E perché non possiedo nessun nome al mondo» aggiunse il drago. Poi tacque, fissando il mare: il freddo, semplice mondo che non avrebbe più rivisto.
«Ti mancherà, il mare?» chiese bruscamente il re. «Anche tu, come Kir, indugerai sull’orlo della risacca, sognando di mutare la tua forma, di tornare negli abissi?»
Il drago lo fissò. Un’espressione compiutamente umana gli era affiorata sul volto: una forza, un lampo di dolore, una solitudine che nessuno avrebbe mai condiviso: «Ho lasciato il mare» disse. Allungò la mano e mostrò la ghirlanda che aveva raccolto nella spuma: uno sbrindellato groviglio di fili neri, dove non ardeva più quella luce misteriosa. Ma c’era ancora, al suo interno, la minuscola luna di cristallo, da cui si sprigionava un fioco barlume.
Lyo prese la ghirlanda dalle mani del drago, e toccò la piccola luna: e quella si ravvivò, per un attimo, divenne luminosa, incandescente. Allora Lyo si rivolse a Fiord: «Ti rendi conto di cosa hai fatto? Sei riuscita a sciogliere, confondere, o comunque ingarbugliare la potente magia degli abissi…»
Fiord aveva il volto in fiamme: «Mi dispiace» sussurrò. «Non avrei mai creduto che funzionasse.»
«Ti dispiace? Quando hai gettato la tua maledizione e hai confuso la magia del mare, hai fatto sì che la catena si svincolasse dai suoi confini e spezzasse la superficie fra la terra e il mare, e il drago ha potuto finalmente dare un’occhiata al mondo.»
«Ma ho intrappolato Kir sulla terra; non poteva più raggiungere il mare.»
«Fiord…» insisté Lyo, pazientemente. «Non mi stai ascoltando.»
«Certo che ti ascolto.»
«Ma non fai attenzione.»
«Lyo, cosa intendi…» s’interruppe, guardandolo di sottecchi. «Non faccio attenzione» ripeté, in un bisbiglio.
«Brulichi di magia come un alveare, Fiordaliso.»
«Devo essere… Sarà il caso che controlli bene ciò che maledico.»
«È il minimo che tu possa fare.» Lyo abbozzò un sorriso. Poi i suoi occhi si strinsero un poco, scintillando nel chiaro di luna; Fiord ne fu quasi ipnotizzata. «E ora rispondimi. La notte che il drago è uscito dal mare per la prima volta, mentre tu lo guardavi, hai forse detto qualcosa per provocare la sua metamorfosi?»
«Ma no!» esclamò lei, sorpresa.
«Pensaci, Fiord.»
«Be’, stavo solo guardando il cielo e le onde, e pensavo a Kir, e desideravo…»
«Desideravi cosa?»
«Desideravo che fosse…» spalancò gli occhi su Lyo, senza vederlo: vedeva solo il mare nero, punteggiato di stelle. «L’ho detto! Ho detto: «Vorrei che tu fossi un po’ più umano». Ma intendevo Kir, non il drago!»
«Ecco spiegato» mormorò il re. «Il drago passava di lì, in quel momento, ed è uscito dal mare, e ogni notte diventava più umano…» Stava sorridendo, un sorriso simile a quello di Kir, un sorriso che non era mai completamente libero. «Possiedi strani e portentosi doni, Fiord. Con la tua magia hai aiutato entrambi i miei figli. E ancor di più li hai aiutati con la tua amicizia.» Sospirò. «Vorrei solo che tu fossi stata così potente da trattenere Kir qui con me: ma forse non esiste magia sufficiente, per questo, né sulla terra né in fondo al mare. Ma almeno mi hai ridato questo figlio.» Mise una mano sulla spalla del drago, e il drago sussultò.
«Mi stai toccando» disse, ansiosamente.
Con un sorriso, il re se lo tirò fra le braccia. «Sì, ti sto toccando» disse, e la sua voce era roca, commossa. «Ti sto abbracciando. Gli uomini lo fanno, sai. Se sono folli abbastanza, o saggi abbastanza. E ora vieni a casa con me, prima che tu cambi idea e torni a inseguire le onde.» Si rivolse a Lyo: «Mi servirà il tuo aiuto, per lui. Puoi rimanere?»
Lyo annuì, le labbra che s’incurvavano nel suo privato, obliquo sorriso: «Oh, sì. Ho ancora un affaruccio incompiuto, riguardo a certi fiordalisi.»
«Fiordalisi» ripeté il drago, senza capire.
«Piccoli fiori azzurri» spiegò Lyo. «Non sono pesci.»
E per la prima volta, tanto il re quanto il drago scoppiarono a ridere.
Capitolo tredicesimo
I giorni successivi parvero a Fiord incolori e deprimenti come l’acqua che rovesciava dal secchio ogni sera. Il cielo splendeva d’azzurro, ma lei non lo vedeva; i ginestroni, in piena fioritura, coprivano le scogliere d’una nuvola d’oro. I pescatori uscivano in mare regolarmente, ormai, e nessuno parlava più di incontri con sirene o vascelli fantasma. Per la prima volta, dopo settimane, Fiord poteva concedersi notti intere di sonno.
Ma ancora si svegliava nel buio, l’orecchio teso a individuare l’arrivo del drago, ancora cercava Kir sul ciglio della marea, e ancora il suo sguardo frugava le onde tra le guglie, aspettando inconsciamente un messaggio dagli abissi. Sentiva un gran vuoto dentro di sé: ogni magia era scomparsa, nulla le sarebbe mai più accaduto. Le era rimasta solo la perla nera, a ricordarle i misteri apparsi nella sua vita e poi svaniti, lasciandola a struggersi di nostalgia sulla riva del mare.
Il mistero aveva toccato anche il villaggio, e anche il villaggio pareva sentirne la mancanza: e tutti, come Fiord, desideravano che rientrasse nella loro vita.
«Non avevi detto che il mago era tornato?» chiese Enin un pomeriggio, mentre Fiord riponeva secchio e strofinacci.
«Certo.»
«E allora dov’è?»
Cupa in volto, Fiord scrollò le spalle: «Dal re, immagino.»
Marli le gettò un’occhiata strana: «E cosa ci fa, dal re? Siamo noi che l’abbiamo assunto, no?»
«L’aiuta con suo figlio.»
«Che cosa non va, con Kir?»
«Nulla» esitò un momento. «Nulla, adesso… Non si tratta di Kir» aggiunse. Del resto l’avrebbero saputo, prima o poi. «Kir è nel mare.»
«Annegato?» esclamarono insieme Enin e Carey, increduli.
«No.» Fiord si tolse il grembiule e l’appese al gancio. Poi continuò, quasi automaticamente: «Kir è tornato nel mare. Sua madre è una creatura marina. Il vero figlio del re, quello che ha avuto dalla sua vera moglie, è il drago. Ecco perché la donna del mare l’aveva messo in catene: era arrabbiata con il re. Ma l’amava, anche, e perciò gli ha dato Kir. E lui veniva a casa mia di notte, nella sua forma umana, per imparare le parole. Il drago, intendo. E adesso sta col re.» Gli altri la fissavano ad occhi sgranati, senza muoversi, senza parlare. Stancamente, Fiord si scostò i capelli dagli occhi. «E probabilmente c’è anche Lyo, con lui.» Tolse di tasca la perla nera. «Me l’ha data Kir, prima di andarsene.»
«Kir?» proruppe Carey, e subito tacque: era troppo stordita per dire altro.
Fiord rimase in silenzio, gli occhi abbassati sulla perla, la mente ricolma di ricordi: la luna, le mani di Kir nei suoi capelli, la promessa che le aveva fatto. Sollevò la testa, ma tutto si appannava dietro un velo di lacrime che inutilmente cercava di scacciare.
«Veniva da me, e parlavamo…» infilò in tasca la perla e prese il mantello.
In un bisbiglio, Carey chiese: «Com’è? Il nuovo principe?»
«Ha i capelli biondi e gli occhi azzurri. Come sua madre. Non sa ancora parlare molto bene, ma impara alla svelta.» Mise il mantello sul braccio e fece per uscire.
Impetuosamente Marli la bloccò sulla soglia: «Ragazza, un altro passo e ti scaravento una secchiata d’acqua. Ora tu vieni su con noi e ci racconti per filo e per segno tutta quanta la storia. Non credere di poterci lasciare a becco asciutto, dopo quel po’ po’ di guazzabuglio che hai tirato fuori: donne del mare, figli segreti, principi che piombano in casa tua di notte, regalandoti perle…»
«Non capisco perché debba essere successo proprio a lei!» frignò Carey. «Ma guardatela!»
Tutti le piantarono addosso gli occhi, gettandola nel più vivo imbarazzo. Nervosamente, Fiord cercò di difendersi: «Be’? Mi sono lavata i capelli giusto ieri!»