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«Cos’è?» domandò, giocherellando con uno dei gusci.

«La mia cena.» Fiord si avvicinò al fuoco, per strizzarsi l’acqua dai capelli. Poi, ricordando un minimo di buone maniere, aggiunse, goffamente: «Sei invitato, se ti va.»

Il giovane lasciò cadere la conchiglia: «Allora cucini, anche.»

«Devo pur mangiare» disse lei, semplicemente. Continuò a ravviarsi i capelli tra le dita, mentre Kir camminava su e giù per la stanza, dal focolare all’uscio e viceversa.

«Hai dato al mare il mio messaggio?» le chiese bruscamente. Fiord annuì, fece per parlare, ma lui s’era di nuovo allontanato; e prima che potesse rispondere aggiunse, con amarezza: «Che stupido. Sono solo un gioco da bambini, i tuoi malefici, il mio messaggio. Probabilmente se ne stanno là fuori, sul ciglio della marea, tra i detriti. Non è gettandogli delle cose che si può parlare al mare.»

Fiord corrugava la fronte, nello sforzo di capirlo. Era stupita.

«Perché volevi che il mare avesse l’anello di tuo padre?» gli chiese.

«Perché, secondo te?» replicò Kir.

«Non lo so.» Anche lei si sentiva stupida. Qualcosa nella sua voce indusse Kir a guardarla di nuovo, come se non l’avesse vista veramente quand’era entrata, fradicia di pioggia, con le mani rosse e gli occhi stanchi. Una nuova espressione gli si dipinse sul volto, e Fiord vi scorse una tale infelicità che si affrettò ad aggiungere, debolmente: «Non lo so, se il mare ha ricevuto il tuo messaggio. Ma dopo che l’ho gettato in acqua, è emersa la più grossa creatura marina che io abbia mai visto. E ha sollevato la testa a guardarmi. Intorno al collo aveva una massiccia catena d’oro…»

«Cosa?»

«Una catena. D’oro. Io…»

«Ti stai prendendo gioco di me?» l’interruppe Kir, con voce così bassa e glaciale che Fiord sentì l’impulso di avvicinarsi ancor di più alle fiamme.

Scosse la testa, ricordando la gigantesca muraglia color fuoco che sorgeva dalle onde ed eclissava il sole, e i liquidi riflessi d’oro che diffondeva tutt’intorno: «Era una specie di drago. Ma al posto delle ali aveva le pinne e lunghi filamenti simili a nastri. Era più grande di questa casa, e la catena d’oro veniva dall’acqua come se… come se cominciasse laggiù… in fondo al mare.»

Alla luce delle fiamme, la pallida faccia del giovane assunse bagliori madreperlacei. Corse alla porta; la spalancò e ne entrarono fiotti di pioggia e vento. Rimase immobile, in silenzio, gli occhi puntati sul mare vuoto oltre le guglie. Fiord, coi vestiti ancora fradici, cominciò a rabbrividire. Alla fine si mosse, per fermare quei brividi. Versò dell’acqua in un paiolo e vi gettò i molluschi, perché il bollore ne aprisse i gusci; poi appese il paiolo sul fuoco e s’inginocchiò ad aggiungere altra legna. Kir chiuse la porta e le venne vicino, lasciandosi dietro una scia d’impronte bagnate.

Lo sguardo di Fiord ne era come attratto, irresistibilmente. Sentì Kir che bisbigliava: «Tutto quell’oro per incatenare in fondo al mare un essere marino…»

«Ma perché…» disse lei. «Perché mai… Chi può…»

«Dev’esserci un modo. Dev’esserci!» bisbigliava Kir, i pugni stretti. Fiord alzò gli occhi a guardarlo.

«Per fare cosa?»

«Per andare là.»

«Là dove?»

«In quel paese… in fondo al mare.»

Fiord si alzò, mentre lui si riavvolgeva nel mantello.

«Adesso?»

«Non adesso» rispose Kir, impaziente. «Adesso devo andar via.»

«Non ti fermi a cena?»

Scosse la testa, l’attenzione già lontana da lei, rivolta alla marea della sera.

Fiord si grattò la testa con un cucchiaione, aggrottando la fronte: «Tornerai?» gli chiese improvvisamente, ansiosamente.

Kir la guardò come da una distanza remota: più lontana del sonno, sembrava, più lontana del luogo dove iniziavano le maree.

«Da dove?»

Fiord si sentì avvampare: «Qui» disse, con voce roca. «Tornerai qui?»

«Oh!» sembrava sorpreso. «Ma sì, naturalmente.»

Uscì. Fiord sentì nitrire il cavallo, e poi il tonfo degli zoccoli che s’allontanavano lungo la spiaggia, nella notte ormai incombente. Fissò la porta, cercando di immaginare la figura del giovane: nero e umido come la notte in cui galoppava, irrequieto come i gabbiani e il vento, con un cenno di spuma nel colore della pelle. Uno strano turbamento le affiorò negli occhi. Fece qualche passo, posando il piede su una delle impronte. Aveva lasciato acqua dappertutto. Poi si bloccò, trattenendo il respiro: le era parso di intravedere un’immagine, fugace, elusiva come i guizzi di luna sul mare. Una ciocca di capelli venati di grigio… una perla… un messaggio.

Sbatté le palpebre, scuotendo la testa finché quegli strani pensieri, quelle bizzarre immagini si confusero in una massa informe e senza senso, innocua. Prese la scopa e spinse le impronte verso il focolare: e qui s’offuscarono, e infine svanirono.

Capitolo quarto

La pioggia si ritrasse, acquattata all’orizzonte; i pescatori ebbero un intervallo di cielo azzurro che li tentò a prendere il mare, e poi nuovi scrosci, nuove folate di vento rabbioso che li risospinsero in porto. Fuori, dentro, fuori, dentro, continuarono così per svariati giorni. E sempre avvistavano il drago: i racconti sul drago divennero comuni come ostriche. Poi quel tempo capriccioso culminò in una burrasca violentissima, che gettava sulla spiaggia un susseguirsi di cavalloni spumeggianti e strappava le barche dagli ormeggi. Non riuscirono più a oltrepassare i marosi che assediavano la bocca del porto, e il drago rimase a cavalcare la tempesta in solitudine. Stipati nella locanda, i pescatori bevevano birra e fissavano cupamente il cielo. I clienti, disdegnando l’odore di lana bagnata e salmastro, si ritiravano nelle loro stanze e lasciavano agli abitanti il focolare e lo spinotto della birra. Passando nell’atrio con le braccia cariche di lenzuola o entrando ad aggiungere legna, Fiord percepiva, senza neppure ascoltare, il filo dorato, magico e scintillante, che s’intrecciava nelle loro conversazioni.

«Anelli d’oro. Ogni anello ha il suo punto d’apertura, altrimenti come si potrebbe inserirlo in una catena? Sicché basterebbe procurarci una leva, qualcosa di grosso, e forzare una maniglia…»

«E cosa credi che farebbe, il mostro, mentre tu gli stai a cavalcioni sul collo, cacciandogli una leva nella catena? Rosicchiare gamberetti e contemplare gabbiani? S’immergerà, amico, e ti trascinerà giù con sé!»

«Il fuoco, allora. Il fuoco fonde l’oro, no? Costruiremo un crogiolo galleggiante e lo spingeremo sotto la catena, nel punto dove affonda nell’acqua. Quanto al mostro, lo distrarremo con pesci, o qualsiasi altra cosa gli piaccia mangiare…»

«Gamberetti. Esserini microscopici. E come diavolo fai a distrarre un bestione grande come una stalla con delle cose che non riesci neppure a vedere?»

«Allora canteremo. Gli piacciono le canzoni.»

«Canzoni!»

«Oppure Tull può suonare il suo violino. E lui resterà in ascolto. Così noi spingeremo il crogiolo sotto la catena, fonderemo un anello, e poi…»

«Oro» sospirò Marli, spazzando nell’atrio l’eterno rivolo di acqua e sabbia. «Non parlano d’altro, in questi giorni. Perfino Ami e Bel. E peggio di tutti Enin. Ci stanno perdendo la testa tutti quanti, tutti quanti…»

«Be’, se è là fuori, perché non prenderselo?» ribatté Carey. «E poi non credo che quella catena gli piaccia granché, al drago.»

«D’accordo, ma il fatto è che non usano il cervello. Nessuno di loro. Non esistono esseri umani capaci di fare una catena come quella, ed è la cosa che dovrebbero considerare per prima. E invece…» Marli diede una nervosa strizzata allo strofinaccio «… e invece si preparano a fare qualcosa di stupido. Lo so, già me lo vedo…»