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Mamma si è tolta i guanti e si è avvicinata alla stufa, togliendosi di dosso pezzi di neve ghiacciata. — Certo che non sono venuti, Lynn — disse.

La neve sul mio cappotto gocciolava sulla stufa e sfrigolava. — Non volevo dire questo — dissi io. — Dovevano venire la prima settimana di luglio. Subito dopo il diploma di Rick. Che sarà successo? Avranno soltanto deciso di non venire, o cosa?

— Non lo so — ha detto, togliendosi il berretto e scuotendo i capelli. Aveva la frangia tutta bagnata.

— Forse vi hanno scritto per dire che hanno cambiato idea — disse la signora Talbot. — Forse l’ufficio postale ha smarrito la lettera.

— Non importa — ha detto mamma.

— Credo che avrebbero cercato comunque di avvertirci — ho aggiunto io.

— Forse l’ufficio postale ha messo la lettera nella cassetta di qualcun altro — è intervenuta la signora Talbot.

— Non importa — ha detto mamma, ed è andata ad appendere il cappotto al gancio in cucina. Non ha detto altro su di loro. Quando papà è tornato, ho chiesto anche a lui dei Cleary, ma era troppo occupato a raccontare del viaggio per fare caso a me.

Stitch non arrivava. Ho fischiato ancora e poi sono tornata indietro a cercarlo. Era giù in fondo alla collina, col muso sepolto dentro qualcosa. — Spicciati — gli ho detto, hai si è voltato e allora ho capito perché non era venuto. Si era impigliato in uno dei cavi elettrici che erano caduti. Era riuscito ad attorcigliarsi il cavo intorno alle zampe come fa certe volte col guinzaglio, e più cercava di venirne fuori più restava impigliato.

Era proprio in mezzo alla strada. Io stavo sul ciglio, cercando di escogitare un modo per arrivare da lui senza lasciare impronte. In cima alla collina la strada era molto gelata, ma quaggiù la neve si stava sciogliendo e scorreva per la strada in piccoli torrentelli. Ho allungato il piede in fuori nel fango, e la mia scarpa da tennis è affondata di un buon paio di centimetri, così sono tornata indietro e ho cancellato l’impronta con la mano, strofinandola poi sui jeans. Non sapevo che cosa fare. Per le impronte papà è paranoico tanto quanto la mamma per le mie mani, ma è anche peggio se resto fuori dopo il tramonto. Se non ce l’avessi fatta a tornare in tempo sarebbe stato capace di impedirmi di andare all’ufficio postale.

Stitch stava per mettersi ad abbaiare. Si era attorcigliato il cavo intorno al collo e si stava soffocando. — Va bene — gli ho detto. — Arrivo. — Dopo essere saltata in uno dei torrenti, l’ho seguito per il resto della strada fino a Stitch, guardandomi indietro un paio di volte per assicurarmi che l’acqua cancellasse le impronte.

Ho liberato Stitch e ho gettato il cavo a lato della strada, e ora penzola dal palo, pronto ad impiccare Stitch la prossima volta che passerà di lì.

— Stupido cane — gli ho detto. — Ora spicciati! — e sono tornata di corsa sul ciglio della strada e su per la collina con le scarpe da tennis inzuppate d’acqua. Dopo neanche cinque passi lui si è fermato ad annusare un albero. — Avanti! — gli ho detto. — Sta facendo buio. Buio!

Mi ha superato come un fulmine, arrivando fino a metà strada giù per la collina. Stitch ha paura del buio. Lo so, nei cani non esiste una cosa del genere, ma Stitch ha paura davvero. Di solito gli dico, — La paranoia è il nemico numero uno dei cani — ma adesso volevo mettergli fretta prima che i piedi cominciassero a congelarsi. Mi sono messa a correre anch’io, e siamo arrivati ai piedi della collina quasi contemporaneamente.

Stitch si è fermato davanti al vialetto della casa dei Talbot. La nostra casa non era a più di un centinaio di metri da quel punto, dall’altro lato della collina. Si trova sul fondo di una specie di conca formata dalle colline tutt’intorno. È così ben nascosta che non si riesce quasi a vederla. Non si riesce nemmeno a vedere il fumo della nostra stufa al di sopra della collina dei Talbot. C’è una scorciatoia che passa attraverso la proprietà dei Talbot e scende tra gli alberi fino alla nostra porta sul retro, ma non la uso più. — Buio, Stitch — ho detto, seccata, e ho ripreso a correre. Stitch mi è rimasto alle calcagna.

Quando sono arrivata al nostro vialetto, il Picco si stava colorando di rosa. Stitch ha orinato sul tronco di abete un centinaio di volte prima che riuscissi a trascinarlo di traverso sul vialetto sporco. È un albero davvero grosso. L’estate scorsa David e papà l’hanno abbattuto, sistemandolo in modo che sembrasse caduto sulla strada. Nasconde completamente il punto in cui il vialetto si congiunge con la strada, ma il tronco è pieno di schegge, e io mi sono graffiata la mano nel solito posto. Fantastico.

Mi sono assicurata che io e Stitch non avessimo lasciato segni sulla strada (a parte quelli che lascia sempre lui — un altro cane ci potrebbe trovare in un momento, e probabilmente è così che Stitch è arrivato fino alla nostra veranda: aveva fiutato Rusty) e mi sono messa al riparo delle colline al più presto possibile. Stitch non è il solo a diventare nervoso quando è buio. E poi, i piedi cominciavano a farmi male. Quella sera Stitch era proprio paranoico, e non ha smesso di correre nemmeno quando siamo arrivati in vista della casa.

David era fuori, e stava portando dentro un carico di legna. Si capiva subito che era tutta tagliata della lunghezza sbagliata. — Ce l’hai fatta per un pelo, eh? — ha detto. — Hai preso i semi di pomodoro?

— No — gli ho risposto. — Ma vi ho portato qualcos’altro. Ho portato qualcosa a tutti.

Poi sono entrata in casa. Papà stava srotolando della plastica sul pavimento, e la signora Talbot lo aiutava reggendola da un lato. Mamma aveva in mano il tavolo da gioco, ancora piegato, ed aspettava che avessero finito per sistemarlo davanti alla stufa per la cena. Nessuno si è degnato di alzare la testa. Mi sono sfilata lo zaino e ho tirato il giornale della signora Talbot e la lettera.

— C’era una lettera all’ufficio postale — ho detto. — Da parte dei Cleary.

Tutti hanno alzato la testa.

— Dove l’hai trovata? — chiese papà.

— Sul pavimento, mischiata alla roba di terza classe. Stavo cercando un giornale per la signora Talbot.

Mamma ha appoggiato il tavolo da gioco contro il divano e si è messa a sedere. La signora Talbot aveva un’espressione vuota.

— I Cleary erano i nostri migliori amici — le ho spiegato. — Dall’Illinois. Dovevano venire a trovarci due estati fa. Dovevamo fare un’escursione sul Picco Pike e nei dintorni.

David è entrato sbattendo la porta, guardando mamma seduta sul divano, e papà e la signora Talbot là in piedi come due statue a reggere la plastica. — Che c’è che non va? — ha domandato.

— Lynn dice di aver trovato una lettera dei Cleary, oggi — gli ha risposto papà.

David ha lasciato cadere i ciocchi nel camino. Uno è rotolato sul tappeto, fermandosi ai piedi della mamma. Nessuno di loro si è chinato a raccoglierlo.

— La leggo a voce alta? — ho detto, guardando la signora Talbot. Reggevo ancora il suo giornale. Ho aperto la busta e ho tirato fuori la lettera.

— «Cari Janice e Todd e tutti quanti» — cominciava. — «Come vanno le cose nel Glorioso Ovest? Non vediamo l’ora di venirvi a trovare, anche se potremmo non farcela così presto come speravamo. Come stanno Carla, David e il bambino? Siamo impazienti di vedere il piccolo David. Cammina già? Scommetto che nonna Janice è così gonfia di orgoglio che si farà scoppiare le bretelle. Giusto? Voi dell’Ovest portate ancora le bretelle, o anche voi siete passati ai jeans firmati?»

David stava vicino al caminetto. Ha incrociato le braccia sulla mensola, appoggiandovi la testa.

— «Mi spiace non aver scritto prima, ma eravamo molto occupati con il diploma di Rick, e comunque pensavamo di arrivare in Colorado prima noi della lettera. Ma ora sembra che dovrà esserci un leggero cambio di programma. Rick alla fine ha deciso di entrare nell’esercito. Richard ed io abbiamo perso la voce a forza di discuterne, ma penso che abbiamo soltanto peggiorato le cose. Non riusciamo nemmeno a convincerlo ad arruolarsi dopo il viaggio in Colorado. Dice che passeremmo tutto il viaggio a cercare di dissuaderlo, il che è vero, suppongo. Sono così preoccupata per lui. L’Esercito! Rick dice che mi preoccupo troppo, ed anche questo è vero, immagino, ma se ci fosse la guerra?»