«È una faccenda grossa, signor Markham! Una faccenda grossa!»
Cheesebody scrollava la testa al di sopra del sigaro, come un gufo desideroso di apparire umano. Calvo, ventre enorme, assenza assoluta di anima.
«Me ne rendo conto, signore.» Il fantasma era serio, ma sicuro di sé: usava un tono da affari. Era il suo gran momento.
«Molte responsabilità per un uomo così giovane, signor Markham. Non si può scherzare con i contratti governativi, capite? Dicono dicembre millenovecentosessantasette e dev’essere per il dicembre del sessantasette.»
«Fidatevi di me, signor Cheesebody.»
«Mi raccomando... Sapete una cosa, signor Markham? Stiamo facendo cinquanta impianti sotterranei, per tutto il paese. E sapete perché li vogliono così profondi?»
«Perché siano a prova di bomba» suggeriva il fantasma.
«A prova di radiazioni» correggeva Cheesebody. «La guerra finirà pure per scoppiare prima o poi, no? E allora si aprono le unità congelanti e se ne estrae cibo incontaminato per tutti.»
«Sì, signore.»
«Inutile vincere la guerra se poi dovremo mangiare salsicce radioattive, no?» Una grossa risata scuoteva lo stomaco prominente di Cheesebody.
«Giusto, signore.»
«Una grossa responsabilità, Markham. Il futuro della nazione, capite?»
«Sì, signore.»
«Bene, sarà meglio che andiate subito a Epping Forest per familiarizzarvi con l’impianto. Dovrete fare conoscenza col vostro collega del ramo tecnico. Forse dovrete ingraziarvelo... Mi risulta che la prima camera sarà pronta per l’installazione alla fine di questo mese.»
«Benissimo, signore.»
Epping Forest. Venticinque chilometri a nord della città. Epping in autunno, con. le foglie rosse e oro: turbini di vento che scuotevano gli alberi, disperdendo le foglie in una danza mortale.
Autunno e foglie morte, e livellatrici, escavatori, trattori, autocarri. Uomini che sudavano sotto l’ultimo sole pallido, rintanandosi nella terra come talpe, scavando gallerie, creando nuove celle, penetrando rabbiosamente e rumorosamente entro la paziente crosta terrestre.
«Camera B pronta, signor Markham.»
«Bene. Controliare lo scambio potenziato.»
«Sì, signore.»
«Camera C pronta, signor Markham.»
«Pronta un corno! Rifate l’isolamento del tetto, non va.»
«La camera D adesso è perfetta, signor Markham.»
«Mettetela in prova per una settimana. Dopo portatemi il grafico dell’abbassamento di temperatura.»
«Camera E completa, signor Markham.»
«Mettetela sullo scambio automatico. L’immagazzinamento comincerà la settimana prossima. Qui ci sono le tavole per la disposizione delle merci.»
Cave di ghiaccio scavate nel terreno caldo e vivo. Convogli di camion per trasportare il cibo che avrebbe evitato ai Cheesebody d’Inghilterra una dieta a base di salsicce contaminate. Grano, latte in polvere, carne, zucchero, frutta disidratata. Cento, mille, centomila tonnellate. Ammassare, ammassare, ammassare...
Il fantasma era felice. Non era un’inutile preparazione per una guerra sudicia nella quale nessuno credeva. Era un lavoro, ecco tutto. Un lavoro importante, un buon lavoro, un lavoro ben retribuito. Permetteva di acquistare una casa in Hampstead per Katy, Johnny Boy e Sarah. E poi una macchina.
Era piacevole tornare in macchina verso la propria casa, la sera, sotto un tramonto che trasformava la strada in un nastro di fuoco, e le foglie svolazzavano nella scia dell’auto...
Il corpo rabbrividiva sotto il raggio di luce. I muscoli si contraevano. Le palpebre si agitavano. La brina era diventata rugiada, e il cadavere non era più un cadavere ma un uomo immerso in un sudore diaccio. Un uomo che non provava più dolore, ma che aveva troppi ricordi. Un uomo che non aveva diritto di ritrovarsi in vita.
I sogni si susseguivano come in un caleidoscopio: i ricordi rotavano, producendo fantastici schermi colorati.
«Rifate l’isolamento del tetto.»
«Cos’è il cinquanta per cento di un mezzo di zero virgola cinque?»
«Voglio montare su quello più grosso, pa’. Quello dell’uomo nero.»
«Non si può scherzare con i contratti governativi.»
«Alt!»
Il corpo disteso sul carrello aveva parlato. Le candide figure vi si affollavano sopra come gabbiani giganteschi. Per un attimo, l’uomo aprì gli occhi e li fissò con espressione attonita, vedendo solo cose che non erano nella stanza. La luce del raggio diretta sul petto dell’uomo si fece più intensa. L’uomo richiuse gli occhi, sapendo che si trattava solo di un altro sogno.
Un altro sogno... Katy...
«Ci sarà la guerra, John?»
«No che non ci sarà. A meno che i capi non diventino pazzi del tutto. Non possiamo rischiarla. Nessuno può rischiare una guerra, oggi.»
«Ne spendono di soldi per i tuoi refrigeranti, però.»
«Una parte entra nelle nostre tasche» rispondeva il fantasma con un sorriso un po’ cinico.
Katy rammendava un paio di calzini. «A volte» diceva «rimango sveglia, di notte, pensando a come sarà il mondo quando Johnny e Sarah saranno cresciuti.»
Il fantasma sedeva sul bracciolo della poltrona, metteva una mano sulla spalla di Katy. «Pensi troppo, tu. I ragazzi si troveranno benissimo... Bel resto, ogni generazione ha i suoi problemi.»
«Si parla di nuovo di riarmo.»
«È la stagione» diceva il fantasma. «Ritorna a intervalli regolari, come per il calcio o la caccia.»
«Sei sicuro che la guerra non si farà, tesoro?»
«Arcisicuro» rispondeva il fantasma. «Saremo disgraziati, ma non fino a questo punto. E adesso, andiamocene a letto...»
Katy sorrideva. «Se tu ne sei convinto...» Riponeva il cestino da rammendo, si alzava, si stirava. Il fantasma la prendeva tra le braccia.
«No» disse l’uomo sul carrello, «la guerra non si farà!»
Ma nella stanza silenziosa, quella dichiarazione venne interpretata come una domanda presente, uscita dalle labbra di un uomo che sapeva di non essere più morto. Con garbo, le figure in bianco asciugarono il sudore diaccio dal corpo nudo. Poi spensero il raggio di luce, misero un lenzuolo sul corpo dell’uomo e infine una coperta. La crisi era superata. Si poteva lasciare che il corpo si riscaldasse più in fretta. Una delle figure sollevò la testa dell’uomo, gli diede da bere qualcosa. L’uomo non aprì gli occhi ma il liquido discese come un elisir, riempiendogli la gola e lo stomaco di un calore vitale.
Epping... Bianca e immobile. Niente più foglie morte, ormai, solo il candore bianco della neve sospesa sugli alberi spogli. Ma le interminabili carovane di carri carichi di cibo s’insinuavano come grosse pesanti formiche nelle camere super-gelate.
«Camera G completa e sigillata, signor Markham.»
«Bene. Quanti carichi restano?»
«Nove, signore.»
«Avviateli verso la K.»
«Camera H sigillata, signor Markham.»
«Avanzato qualcosa?»
«Tre carichi.»
«Avviateli verso la K.»
«Camera I piena e sigillata, signore.»
«Avviate quello che resta verso la camera K.»
Epping... immobile come una cartolina di Natale, bella come un paesaggio di sogno, a parte i rombanti convogli di autocarri. Solo un’ultima camera da riempire, poi il lavoro sarebbe stato terminato e i camion sarebbero partiti. E soltanto con una squadra di sorveglianti. La foresta avrebbe dimenticato tutti i soprusi subiti, gli escavatori, le livellatrici, i camion. La foresta avrebbe dimenticato e perdonato. Poi gli espropriati sarebbero ricomparsi per reclamare il loro territorio. Dapprima gli uccelli, poi i conigli, gli scoiattoli, le volpi, i topi, gli ermellini, le talpe, i tassi. La silenziosa comunità dei selvatici.
Epping a Natale. Il mondo della vigilia. Un alberello nel soggiorno, con le candeline colorate e i palloncini di vetro lucente. La luce del caminetto danzava intima sulle pareti e sui mobili. Il vago fragore di Londra chiuso completamente fuori da un universo privato.