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«Mi dispiace, signore, ma abbiamo l’ordine di scor­tarvi all’Ufficio senza perdere tempo. Se l’informazione che ci ha spinti ad agire è sbagliata, non avrete niente da temere perché...»

Non andò oltre. Usando la pistola automatica di Markham, Marion-A lo colpì alla schiena, nei centri di coordinazione, con una mira perfetta. L’androide emise un gemito stridulo e crollò sul pavimento.

Un altro androide venne abbattuto dalla seconda pallottola prima che gli altri due si rendessero conto di quello che stava succedendo.

Il terzo e il quarto si voltarono decisi contro Marion-A, ma Markham, istintivamente, si era già lancia­to in avanti facendone cadere uno.

Ma cadde anche lui, e sentì una mano che lo strin­geva alla gola. Poi udì altri due colpi e vide un lampo di luce accecante. Una pausa, poi una detonazione fi­nale. La mano che gli stringeva la gola allentò la stretta.

Markham riuscì a rimettersi in piedi.

«Marion» balbettò, «sei miracolosa. Cosa diavolo avrei fatto senza di te?»

«Ho avuto tanta paura che volessero tenermi nella stanza» disse lei con voce alterata. «Ma, naturalmen­te, da me si aspettavano un comportamento normale da A.P.»

«Già» disse Markham, guardando incuriosito gli androidi distrutti. «Questo piacerà moltissimo a Solomon. Non so dirtelo come vorrei, Marion, ma ti rin­grazio con tutto il cuore.»

Marion-A fece un sorriso rigido. «Non con tutto il cuore, John. Sarebbe inappropriato... Cosa pensi che si debba fare, adesso?»

«Sgomberare immediatamente di qua» disse Mar­kham. Guardò i mobili familiari, le antichità edoardiane e vittoriane. «Era una bella casa» sospirò. «Siamo alquanto fuorilegge, ora, Marion. I Fuggiaschi hanno acquistato ufficialmente due reclute di più.»

14

Nonostante gli sforzi dello Psicoprop, e i molti rappor­ti contrastanti secondo i quali Markham era già stato catturato, ucciso, o analizzato, la notizia che il Sopravvissuto avesse accettato il comando dell’esercito ribel­le creava una reazione psicologica a catena nella men­te dei londinesi.

Per la prima volta dopo molte decadi, i cittadini di Londra cominciarono a riunirsi per quelle che in età precedenti sarebbero state definite discussioni politi­che. Il problema se fosse meglio accettare i vantaggi, e sopportare gli svantaggi inerenti, di una cultura e di un’economia basata sulla amministrazione degli an­droidi, o se fosse preferibile abbandonare una media sostanzialmente alta di vita per un’astrazione della li­bertà, occupava la mente di coloro che in precedenza avevano respinto tutte le forme di ragionamento.

Tutti erano confusi. Tutti erano timorosi. La stessa propaganda continuamente emessa dallo Psicoprop, sebbene destinata a screditare gli ideali della Libera­zione, serviva puramente a sottolineare il fatto che gli androidi stavano sistematicamente estendendo il loro controllo sugli esseri umani.

Finalmente, si cominciò ad affermare che in fondo le idee fantastiche del Sopravvissuto potevano avere un fondamento di verità, e che gli androidi non sareb­bero stati soddisfatti finché non avessero dominato in­teramente il genere umano.

Poi, due giorni prima di Natale, il Presidente Ber­trand apparve sugli schermi tri-di della Repubblica. Si lanciò in un attacco contro Markham, violento e in contrasto con il suo solito stile. Sottolineò i suoi pun­ti di vista con un linguaggio e con gesti che, per chiun­que conosceva personalmente Clement Bertrand, par­vero curiosamente estranei ai modi del Presidente.

Osservando la trasmissione dal suo quartier genera­le mobile di base momentaneamente in New Forest, Markham rimase allibito. Sapeva bene che, quali fos­sero i sentimenti privati del Presidente, lui non pote­va scostarsi dalla politica ufficiale. Non poteva fare al­tro, infatti, dato che il potere risiedeva completamente nelle mani di Solomon. Ma avendo conosciuto di persona Bertrand, stentava a credere che potesse scen­dere a un livello tale. Pur senza riuscire a capire il per­ché, Markham era turbato dal discorso del Presidente. Sentiva che, in un certo senso, qualcosa non andava.

Nel primo pomeriggio aveva ricevuto un messaggio cifrato da Vivain. Da quando aveva lasciato Londra, il sistema della quercia era stato abbandonato. Aveva disposto che i messaggi riguardanti l’Esercito gli venis­sero trasmessi a mezzo radio delle onde corte, e dopo qualche indecisione aveva detto a Vivain che se mai avesse avuto bisogno di servirsi di quel sistema, si met­tesse in contatto con un certo numero chiedendo di Napoleone e facendosi riconoscere. Allora un corriere sarebbe passato da De Havilland Lodge a prendere il messaggio da trasmettere. Naturalmente, Vivain era stata avvertita di usare quel sistema solo in caso di emergenza.

Mentre guardava il pezzo di carta che aveva in ma­no, Markham pensava che quello doveva essere sen­z’altro un caso urgentissimo. Devo vederti. Qualcosa di orribile dev’essere successo a Clement. Ricordi dove abbiamo fatto il bagno sulla costa? Ti aspetto là. Vie­ni subito, ti prego, Vivain.

Ricordava benissimo dove avevano fatto il bagno. Era subito fuori di un villaggio, vicino ad Hastings, c’erano stati il giorno dopo essersi conosciuti. Tre me­si prima... e sembravano anni.

«Mi occorre un autogetto» disse a Hyggens, che gli aveva portato il messaggio.

«Ti occorre anche un esame del cervello» disse il professore, accendendo la pipa. «Potrebbe essere un’imboscata, John. Anche Solomon ha voglia di ve­derti, sai?»

«Non è niente di personale» disse Markham. «Le ho detto che per ora non ho tempo. E Vivain non è tipo da lasciarsi intimorire da Solomon. Del resto, prenderò le mie precauzioni.»

«Prenderai anche dieci fucilieri scelti e un elipullman» disse Hyggens. «Altrimenti non ti lascerò an­dare.»

«Davvero? Chi è il cane più grosso, qui?»

«Tu. Ma posso abbaiare anch’io, se voglio.»

Markham e la scorta impiegarono meno di un’ora per raggiungere il luogo dell’incontro. Sorvolarono due volte l’area a bassa quota senza scoprire niente di sospetto. L’autogetto di Vivain era parcheggiato quasi sulla spiaggia. Vivain, figura solitaria avvolta in un pesante mantello, passeggiava lentamente lungo la ri­va. Markham lasciò la sua scorta nell’elipullman e scese a incontrarla.

Lei gli corse incontro e gli gettò le braccia al collo. Markham le lesse in faccia la tensione, ma soprattutto il terrore.

«Tesoro» disse, aggrappandosi a lui. «Temevo che non venissi più.»

«Cosa c’è?» chiese lui senza preamboli. «Scusa, cara, ma il tempo è prezioso. Sono travolto dalle cose da fare.»

Vivain raccontò in fretta.

«Ieri sono andata da Clement» disse. «Ero preoc­cupata per te. Volevo sapere se Solomon aveva sco­perto qualcosa, o se aveva confidato a Clement i suoi piani. Ma quando sono arrivata, ho trovato Solomon con lui. Almeno...» rabbrividì da capo a piedi.

«Continua» disse dolcemente Markham.

«Almeno, ho pensato che ci fosse Clement seduto alla scrivania. Ma guardandolo meglio, ho capito che non era lui. La somiglianza era fantastica. Ma c’era qualcosa di... di strano.» Faceva uno sforzo tremendo per controllarsi.

«Stai calma» disse Markham, abbracciandola per rassicurarla.

«John,» bisbigliò lei, «era un androide!»

«Questo è... Che cosa hai fatto?»

«Solomon mi osservava. Mi scrutava per vedere le mie reazioni. Sai, nei momenti critici, a volte i pen­sieri vengono rapidi. Ho capito che se avessi fatto il minimo errore non sarei più uscita dal palazzo. Ho cercato di ricompormi e mi sono comportata come se non avessi notato niente. Non so dove ho trovato la forza, ma sono riuscita perfino a scherzare. Dopo cin­que minuti ho inventato una scusa e me ne sono an­data. Di più non avrei potuto resistere. Avrei voluto urlare. Era identico a Clement. Lo stesso sorriso, gli stessi modi, eppure... John, cosa gli sarà successo? Co­sa devo fare?»