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Markham le diede un’occhiata sbalordito, sforzan­dosi di capire, desiderando di darsi ragione di quelle parole... e nello stesso tempo di respingerle.

«Animazione sospesa! Che idiozia!... Scusate, non volevo dire questo.» Ascoltò la propria voce e la sentì stridente e innaturale: la voce di un estraneo. Si sfre­gò la fronte con le dita madide, e notò che gli trema­vano. Fece uno sforzo per ricomporsi. «Per animazio­ne sospesa» disse, riflettendo «intendete riferirvi cer­tamente al fatto che ero svenuto e mezzo congelato... Fortuna che mi hanno tirato fuori in tempo, imma­gino.»

«Signore» disse la donna in bianco, sempre nelle stesso tono meccanico «non eravate svenuto: eravate morto a tutti gli effetti. Fortunatamente, la nostra sviluppatissima tecnica ci consente di riattivare l’anima­zione dopo la sospensione provocata dal sottozero... È solo per una fortunata combinazione che le vostre cellule non sono rimaste danneggiate dal congelamen­to originale. Temevamo che...»

«Ma chi siete?» gridò Markham. Per un motivo che non riusciva a definire quella voce lo irritava. Era come se quella donna ci fosse e tuttavia non ci fosse. Come se, in modo impiegabile, fosse una specie di te­lefono, e qualcun altro stesse parlando attraverso lei: qualcuno che si trovava a una gran distanza da lì. Ca­pì che doveva reprimere l’attacco di isterismo che sta­va per travolgerlo. «Chi siete?» Si accorse di urlare.

Lei non perse la pazienza, né mostrò segno di emozione.

«Signore, chiamerò un essere umano. Sarà meglio, penso.»

Seguì un istante di silenzio. I muscoli gli si contras­sero, poi scoppiò in una risata. «Un essere umano, po­vero me! E voi allora cosa sareste?» Incontrò lo sguar­do di lei e la risata gli morì sulle labbra.

«Sono un androide, signore. Un robot umanoide.»

Ma Markham era già svenuto. E stavolta i sogni fu­rono orribilmente grotteschi...

Poco dopo c’era un’altra voce, una voce d’uomo, che ancora sembrava lontanissima. Tuttavia, prima ancora di aprire gli occhi, Markham comprese che era umana. Per alcuni secondi non lasciò capire d’essere tornato in sé, ma giacque immobile cercando di pensare. C’era poco da pensare: ogni pensiero era fantastico, ogni conclusione amaramente assurda. Alla fine, disperato, aprì gli occhi.

L’uomo era effettivamente un uomo, e sfoggiava una barbetta a punta. I suoi abiti erano molto stravaganti, come un costume da pantomima o da satira. Una lun­ga giacca di una stoffa verde che sembrava velluto, un panciotto semitrasparente, di una specie di plastica, e una camicia bianca, dal colletto straordinariamente lungo. I calzoni non si vedevano, perché l’uomo era in piedi proprio accanto al carrello. Lo sconosciuto era alto, con la faccia tonda.

«Dovevano venire a chiamarmi al momento del vo­stro risveglio» spiegò l’uomo. «Questi maledetti an­droidi pensano di potersela cavare da soli in qualsiasi situazione. Non possono apprezzare appieno il tocco umano, naturalmente... A proposito, mi chiamo Bres­sing.»

«Androidi!» fece rauco Markham. «Androidi!» L’attacco di nervi stava tornandogli. «Maledizione! Cosa sarebbero...»

«State calmo» disse Bressing. «Eh, vi saranno ri­servate parecchie sorprese. Volete che ve le comuni­chi subito, o le preferite a piccole dosi? E se prima facessimo una puntura tranquillante?»

Una domanda urgeva nel cervello confuso di Mark­ham. «Per quanto tempo?» mormorò con una nota di timore nella voce. «Per quanto tempo sono rima­sto svenuto?»

«Prima che vi trovassero?»

«Sì. Per amor del cielo, quanto tempo?»

Bressing sorrise. «Siate forte» disse. «La risposta vi turberà... Circa centocinquant’anni, giorno più, giorno meno. Ricordate l’anno in cui siete rimasto intrap­polato?»

Markham dovette fare appello a tutte le sue forze per rispondere senza urlare: «Il mille novecentosessantasette.»

«Allora siete rimasto in A.S. per centoquarantasei anni... Siamo nel duemila centotredici.»

Seguì un silenzio, un silenzio spaventoso. Markham sentiva i battiti del proprio cuore gonfiarsi fino a ri­sonare come tonfi di motori... Centoquarantasei anni!

Tentò di immaginare le decadi di cristallizzata im­mobilità, il remoto e inesorabile passare del tempo mentre lui giaceva rigido e senza vita, e tuttavia non completamente morto, nella camera K... Centoquaran­tasei anni!

Non era vero! Non poteva essere vero. Doveva trat­tarsi di un delirio. Forse solo in questo momento lo stavano tirando fuori. Forse tra poco si sarebbe sve­gliato e avrebbe visto Katy accanto al letto... Cento­quarantasei anni!

Guardò Bressing e cercò di annullarlo con la forza di volontà. Ma Bressing, solido nella sua realtà tridi­mensionale, continuava a fissarlo sorridendo. Mark­ham chiuse gli occhi, costringendosi a credere che quando li avrebbe riaperti la scena sarebbe stata di­versa... trasformata in Hampstead, in un ospedale qual­siasi, magari nella camera K! In qualsiasi cosa, tranne che in un mondo dove le infermiere erano non-umane e i dottori indossavano abiti strampalati... Centoqua­rantasei anni!

Vero o no, era reale; reale o no, era vero. A meno che non si trovasse in un manicomio, e lui, Bressing, e la donna androide non fossero che normali pazienti... Centoquarantasei anni!

Pensò a Katy. Katy, Johnny Boy, e Sarah. La vigilia di Natale. L’altro ieri. Un secolo e mezzo fa. Katy, an­cora viva e già irraggiungibile, perduta in un pozzo senza fondo di tempo. Le lacrime gli rigarono il volto. Era maledettamente sciocco piangere. Era sciocco, infantile, futile. Ma Katy e i bambini... Cara, adorata Katy... Potenza divina! Centoquarantasei anni!

Bressing tossì. «Coraggio, giovanotto... Piangete, se volete, ma non lasciatevi abbattere. Avete ricevuto un trauma spaventoso, ma era scritto. La facciamo una iniezione di tranquillità, eh? Tra dieci secondi sarete sereno e allegro come un passero.»

Avrebbe voluto fare a pezzi quel buffone insensato del ventiduesimo secolo. Avrebbe voluto levarsi e strappare quello scenario... mettere a nudo il trucco. Aprire una tenda e ritrovare il suo mondo, il mondo savio di un tempo.

Ma non poteva. Poteva solo restarsene sdraiato sul lettino e fissare quella faccia stupida e sorridente, men­tre una ridda di pensieri gli turbinava nella mente senza scopo, riempiendolo di livore e di nostalgia.

«Cos’è successo?» bisbigliò pensando a Katy. «Lon­dra... Cosa ne è stato di Londra?»

L’uomo era gaio, rassicurante e odioso. «Londra? Oh, capisco cosa volete sapere... È immortale, mio ca­ro. Londra è rimasta. O almeno, la città, o buona par­te di essa... Non ho il bernoccolo della storia, sapete. Aspettate: che anno era avete detto? Ah, il novecento sessantasette. Quella è stata la baraonda, amico. Ma sul serio! Gli ultimi giorni del Sistema Imperialisti­co... Il continente Nord Americano e quello che una volta si chiamava Commonwealth Britannico contro tutti gli asiatici. Maledizione, che sconquasso! Nelle registrazioni di storia viene ricordata come l’Epopea dei Nove Giorni! Devono essere state ore emozionan­ti... Ma è stata l’ultima guerra sapete. Quando gli orientali cominciarono a svilupparsi, la guerra atomica andò fuori moda, divenne un fatto sorpassato. Mi spiego?»

Markham diede in una risata aspra. «Se vi spiega­te? Certo! Sono paralizzato dalla vostra chiarezza!» La risata si spense. «Scusatemi... Ditemi ancora una co­sa: come sono stato ritrovato, dottor Bressing?»

La faccia dell’uomo impallidì improvvisamente. «Per vostra norma, non sono un dottore» disse, in tono rigido. «Sono un gentleman e un artista. Gli androi­di che vi hanno in cura, sono dottori... Non vi scu­sate. Da parte vostra l’errore è comprensibile.»

Bressing aveva reagito come se avesse ricevuto un insulto mortale. La cosa, chissà perché, colpì Markham più di qualsiasi altra. Ma ugualmente insisté nella sua domanda. «Vorrei sapere com’è successo che sono sta­to... resuscitato.»