«Significa esattamente quello che dice» commentò. «Dobbiamo una certa somma alla banca.»
«Ma com’è possibile che siamo fuori di una cifra così alta?» La faccia di Vicky s’era sbiancata agli angoli della bocca.
«È quello che vorrei sapere anch’io.» Era stato un errore, si rese conto Hutchman, lasciare uno scoperto così forte, ed uno sbaglio ancora più grave far sì che gli mandassero una lettera di quel genere.
«Ma perché non hanno trasferito un po’ di liquidi dal libretto di risparmi, come fanno sempre?» Vicky acciuffò la lettera per rileggerla. «Ah, già! Hai liquidato il libretto! E dov’è il denaro?»
Hutchman cercò di restare calmo. «Ho dovuto usarlo per il progetto.»
«Come!» Lei scoppiò in una risata nervosa, e intanto guardò David che, pieno di curiosità, aveva alzato gli occhi dal piatto. «Ma tu scherzi, Lucas. Avevo più di duemila sterline, su quel conto.»
Hutchman registrò l’uso del verbo al singolare. Vicky faceva parte del consiglio di amministrazione in un’impresa del padre. Finora aveva depositato le sue entrate nel conto risparmi e, di solito, volutamente, parlava dei nostri risparmi, tranne quando era sdegnata.
«Ma non sto scherzando» disse Hutchman. «Ne avevo bisogno per comperare l’attrezzatura.»
«Non ti credo. Che tipo di attrezzatura? Fammi vedere le ricevute.»
«Vedrò di rintracciarle.» Aveva comperato tutto servendosi di nome e indirizzo falsi, poi le aveva bruciate, le ricevute. Ma fare il maestro di ballo dei neutroni richiede una disciplina strana. «Non ho molte speranze.» In crisi, guardò Vicky: la sua faccia era piena di lacrime.
«Lo so perché non puoi farmi vedere le ricevute» diceva lei. «So perfettamente che tipo di apparecchiatura ti sei comperato.»
Ci risiamo!, pensò Hutchman, spaventato. Interpretate nel contesto di tutti gli anni passati con Vicky, quelle parole lo accusavano apertamente di aver fatto fuori il denaro con una o più donne, e addirittura di avere comperato un appartamento per i suoi incontri amorosi. Sapevano tutti e due cosa voleva dire lei, però, e questa era la tecnica favorita di Vicky, se lui negava l’accusa, significava che, implicitamente, l’ammetteva.
«Ti prego, Vicky, ti prego» disse Lucas, indicando David.
«Non ho mai fatto niente che possa danneggiarlo» gli assicurò Vicky. «Ma a te farò del male, Lucas Hutchman. Te la farò pagare.»
La consapevolezza che non avrebbe usato la macchina anti-bombe si cristallizzò in Hutchman lentamente, via via che procedeva nella messa a punto conclusiva. Sospettò, per un momento, di aver sempre avuto quella consapevolezza, ma occultata dall’ossessione del progetto in quanto progetto. Adesso che la macchina era una realtà, Hutchman si trovava di fronte a verità molteplici, scoraggianti.
Tanto per cominciare non era possibile far funzionare la macchina su scala limitata. Era un apparecchio tutto o niente, destinato a personaggi tutto o niente, categoria a cui Hutchman non si sentiva di appartenere. In secondo luogo, la situazione internazionale era migliorata. Secondo alcuni osservatori, l’atmosfera si era rasserenata e ci si era sbarazzati di una tendenza inconscia, ma diffusa nel mondo, di usare la bomba. Strettamente collegata con quel fatto c’era, da parte di Hutchman, la riluttanza a procedere lungo il cammino che conduceva inesorabilmente al fallimento del suo matrimonio. Gli era difficile accettare il sacrificio, sull’altare della salvezza di milioni di vite umane, della propria felicità personale, se così si poteva chiamare la sua vita con Vicky. Però la macchina era un dato di fatto reale, più reale di qualsiasi altra cosa. S’imponeva con la sua presenza tridimensionale, non lasciava spazio per illusioni né ripensamenti. E qual era la verità che Lucas doveva accettare? In fin dei conti sono un egoista, un codardo, un mediocre, come tutti gli altri!
Hutchman posò il micrometro con un senso crescente di sollievo, aiutato dalla soddisfazione che si prova quando ci si ridimensiona. Gli bastavano due ore di lavoro per mettere a punto e completare la macchina, ma non era il momento di farlo. Fu tentato di smantellare immediatamente le apparecchiature, ma ormai aveva rotto le dighe della prudenza che, da un mese, aveva innalzato dentro di sé. Guardò la macchina per qualche secondo, rifacendo pace con lei, poi uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Più di una volta, durante il ritorno a Crymchurch, mise in difficoltà gli altri guidatori con rallentamenti improvvisi e non giustificati, ma ormai non aveva più fretta. Voleva fare il piccolo cabotaggio, immergersi nel flusso caldo della vita da cui, per un certo tempo, era stato penosamente distolto. Da un pezzo il quadro dei corpi dilaniati non compariva più nelle sue visioni, ed era di nuovo un uomo, come tutti gli altri. Di tanto in tanto, mentre guidava nel buio, sospirava profondamente e gli pareva di trovarsi a una svolta importante della sua vita.
Hutchman fu molto deluso vedendo una macchina sconosciuta parcheggiata davanti a casa. Era una coupé a due posti: sembrava marrone, ma era difficile stabilirlo nel riverbero che veniva dalla casa. Lucas notò che la macchina aveva il muso puntato contro il cancello. Forse il guidatore voleva andarsene rapidamente. Certo, se in casa c’era un estraneo, non poteva dire a Vicky le cose che intendeva spiegarle. Accigliato, infilò la chiave nella serratura: non si mosse. Era chiusa dall’interno, a doppia mandata.
Hutchman uscì dal porticato, esaminò la casa e notò che l’unica luce era un debole riflesso che proveniva dalla finestra della camera di David. C’erano visite in casa, e le luci non erano accese! L’enorme sospetto che gli balenò alla mente lo fece dirigere piano verso l’ingresso laterale. Doveva entrare! Anche quella porta era chiusa. A questo punto ritornò di corsa alla porta principale. Stavolta le luci del soggiorno erano accese. Bussò finché la serratura scattò. In piedi nell’ingresso c’era Vicky, con indosso un chimono di seta azzurra.
«Ma cosa fai?» domandò, fredda. «David sta dormendo.»
«Come mai la luce era spenta e la porta chiusa?»
«Chi ha detto che la luce era spenta?» Vicky rimaneva sull’ingresso, come per impedirgli di entrare. «E perché sei tornato così presto?»
Lui andò dritto verso sua moglie e, senza badare al suo respiro strozzato, spalancò la porta del soggiorno. Un tipo sulla quarantina, bruno e abbronzato, in cui Hutchman riconobbe vagamente il proprietario della stazione di servizio locale, era in piedi in mezzo alla stanza. In quel momento, stava infilandosi i pantaloni su un paio di mutande di raso nero.
«Voi!» sbottò Hutchman, mentre il suo cervello lavorava febbrilmente, con una lucidità inaspettata. «Rivestitevi immediatamente e uscite.» Lo osservò mentre indossava la camicia, notando che, anche in quel momento critico, l’uomo si vestiva come un seduttore, le gambe leggermente tese e i muscoli addominali contratti, mostrandosi nella posizione per lui più lusinghiera.
«È imperdonabile» ansimò Vicky. «Come osi spiarmi, o parlare con quel tono a un mio ospite!»
«Il tuo ospite, comunque, non ha niente in contrario. O ha qualcosa da obiettare?»
L’uomo s’infilò le scarpe e raccolse la giacca dalla sedia, senza dire una parola.
«Questa è casa mia, Forest» gli diceva Vicky. «E non è il caso che te ne vada. Anzi, ti chiedo di non andartene.»
«Be’…» Forest diede un’occhiata a Hutchman, mentre nei suoi occhi la mortificazione lasciava il posto a una certa bellicosità. Rilassò i muscoli delle spalle, come un cobra che allarga il cappuccio.
«Oh, povero me!» disse Hutchman, con finto spavento. Tornò in anticamera, staccò dal muro un lungo machete e tornò in soggiorno. «Ascoltami bene, Forest. Non ce l’ho con te per cosa è capitato prima qui dentro. Ma adesso invadi la mia intimità, e se non te ne vai immediatamente ti ammazzo.»