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«O di vomeri d’aratro.»

«Come dici?»

«Sì, quegli arnesi in cui dovremmo trasformare le nostre spade.»

«Veramente profondo Hutch.» Craig sospirò. «È quasi mezzogiorno. Vieni, andiamo a prendere qualcosa da Duke.»

«No grazie, Boyd. Vado a casa, mi prendo mezza giornata di permesso.» Hutchman era vagamente sorpreso delle sue stesse parole, ma si rendeva conto che aveva bisogno di rimanere per qualche ora da solo, a meditare sul fatto che le equazioni trascritte su quel foglio di carta rischiavano di farne l’uomo più importante del mondo. Era il momento di prendere delle decisioni.

Ci volle meno di mezz’ora per arrivare fino a Crymchurch, su strade sgombre e quasi senza traffico che, viste in quell’ora insolita della giornata, avevano un’aria vagamente estranea. Era un pomeriggio di ottobre, già fresco, e l’aria che entrava dai finestrini aperti della macchina era fredda. Svoltando nella via dove abitava, Hutchman notò, all’improvviso, che era arrivato l’autunno: i marciapiedi erano tutti coperti di foglie, simili a monete di oro e di rame cadute dai faggi. Ogni anno il settembre se ne va in un attimo, pensò. Mi vedo sfuggire tra le dita il mese che preferisco, prima di rendermi conto che è cominciato.

Parcheggiò la macchina davanti alla casa lunga e bassa, che era stato il regalo di nozze del padre di Vicky. La sua auto non era in garage perché lei, con ogni probabilità, era andata a far spese in centro e in seguito a prendere David a scuola. Hutchman aveva rinunciato, deliberatamente, ed avvisarla che sarebbe tornato a casa. Quando Vicky covava una scenata, Hutchman non riusciva a pensare a niente in modo costruttivo: quel pomeriggio aveva bisogno che la sua mente fosse fresca e buia come una vecchia cantina. Tuttavia, appena in casa, il pensiero di sua moglie scatenò un’ondata di ricordi, frammenti del passato, macchiati dagli antichi rancori e dalle delusioni ormai quasi dimenticate. Quella volta, per esempio, quando lei gli aveva trovato in tasca il numero di casa di Muriel e si era convinta che lui la tradiva: Ti ammazzo, Luke! E improvvisamente gli aveva puntato sul collo la lama del coltello da bistecche, fissandolo con occhi gelidi, disumani come schegge di agata. Lo so cosa c’è tra te e quella donnaccia grassa, e non la passerai liscia. E poi c’era stata quell’altra volta, quando un’operatrice del calcolatore aveva avuto un’emorragia nel suo ufficio e lui l’aveva accompagnata a casa. Perché è venuta proprio nel tuo ufficio? È chiaro che l’hai aiutata a liberarsi da qualcosa! E una lunga serie di osservazioni amare: Come osi dire che c’è qualcosa che non va nella mia testa? Una donna è matta perché non vuole che una brutta malattia contagi lei e suo figlio? E gli occhi di David che supplicavano, pieni di lacrime: Volete davvero separarvi, tu e la mamma? Non andartene, ti prego. Rinuncio al denaro settimanale. Non farò mai più la pipi nel letto.

Hutchman, con fatica, scacciò il passato. Esitò un secondo nella cucina fresca, poi decise di non mangiare. Andò in camera da letto, si tolse gli abiti, s’infilò un paio di calzoni da casa e una camicia attillata, prese dall’armadio l’attrezzatura da balestriere. Sotto i polpastrelli, il legno lucido dell’arco era liscio come il vetro. Portò l’attrezzo fuori, sul retro della casa, tirò giù dalla scansia il bersaglio pesante in corda arrotolata e lo sistemò sul treppiede. Il giardino della casa, in origine, non era abbastanza lungo per contenere un prato di un centinaio di metri e Hutchman aveva comperato un altro pezzo di terreno spostando in parte la vecchia recinzione. Una volta sistemato il bersaglio si dedicò al rituale distensivo, quasi Zen, del tiro dell’arco: primo, conficcare nel terreno i puntali d’argento per segnare la posizione dei piedi, poi mettere a punto l’arco, controllare che le sei frecce fossero perfettamente diritte e finalmente sistemarle nella faretra da campo. La prima freccia salì con un volo netto, al culmine della traiettoria rifletté la luce del sole e scomparve. Un attimo dopo lui sentì che aveva colpito il bersaglio con un colpo secco, nitido. Significava che la freccia era finita al centro. Guardando col binocolo, ebbe la conferma che si era conficcata nel tondino azzurro, nella posizione delle sette.

Soddisfatto di avere calcolato con tanta precisione l’effetto dell’umidità sul tiro, ne fece altri due, dopo aver proceduto ad alcune piccolissime variazioni sui perni che regolavano sia l’innalzamento sia la portata del vento. Tolse le frecce dal bersaglio e si preparò per i 144 tiri di un York Round, seguendo con attenzione tutti i punti indicati nel suo manuale. Via via che la gara procedeva una parte del suo cervello era interamente assorbita nella ricerca del risultato perfetto, mentre un’altra tornava di continuo ad affrontare il problema di come il noto matematico Lucas Hutchman avrebbe recitato la parte di Dio.

Sul piano teorico la situazione era di una nettezza adamantina, assolutamente priva di complicazioni. Lui era in grado di tradurre in realtà fisica i simboli tracciati sul foglio protocollo. Per arrivare a tanto, aveva bisogno di alcune settimane di lavoro e, all’incirca di un migliaio di sterline di materiale elettrico ed elettronico. Il risultato sarebbe stata una macchina piccola, dall’aspetto tutt’altro che imponente.

Quella macchina, però, sapeva disinnescare all’istante qualunque apparecchio nucleare della Terra.

Una macchina anti-bomba, insomma.

Una macchina anti-guerre.

Uno strumento per convertire le mega-morti in mega-vite.

L’idea di costruire un risonatore a neutroni era venuta a Hutchman una mattina tranquilla, di domenica, quasi un anno prima. Stava controllando certe intuizioni per risolvere l’equazione di Schrödinger quando, improvvisamente, per uno scherzo del parallasse concettuale, era penetrato più a fondo di prima nella foresta matematica che sta tra la realtà e la ragione. A quanto pareva si apriva una triplice via nel fitto dei polinomi di Hermite e nelle funzioni di Legendre: in fondo in fondo era apparsa, per un momento, la macchina anti-bomba. Immediatamente il sentiero si era richiuso, ma la matita di Hutchman stava già buttando giù i punti di riferimento, le implicanze filosofiche che, più tardi, gli avrebbero permesso di ritrovare la strada.

Insieme al lampo di genio c’era, in lui, la convinzione quasi mistica di essere il veicolo delle idee di un altro. Quella sensazione, però, si era presto trasformata in considerazioni vaghe sulle possibili implicanze sociali e professionali. Come il poeta minore che ha prodotto un’opera unica, irripetibile, cone l’artista dimenticato che ha creato un’opera immortale, anche Lucas Hutchman, matematico senza importanza, avrebbe potuto lasciare un segno indelebile nella storia. Bastava che osasse.

In quell’anno, a dire il vero, non era andato molto avanti. A un certo momento era sembrato che per produrre la risonanza dei neutroni ad auto-diffusione sarebbe stato necessario un quantitativo di energia elettrica molto superiore a quanto il pianeta era in grado di fornire, ma l’ostacolo si era ben presto rivelato fittizio. Anzi, era arrivato addirittura al punto in cui Hutchman aveva sognato che i livelli di energia richiesti fossero così bassi, che un semplice diagramma a circuito si potesse trasformare nella famosa macchina, aumentata da correnti indotte di entità trascurabile.

Ormai, comunque, tutti gli ostacoli erano stati superati, e adesso Hutchman si trovava ad affrontare il fatto che lui rifiutava la sua creatura.

Voce da un’altra dimensione: Hai lanciato sei dozzine di frecce a centro metri, per un totale di 402 punti. Il risonatore a neutroni è la difesa estrema. È il punteggio massimo che hai raggiunto finora. Nel contesto di una guerra nucleare, l’estrema difesa è anche l’arma suprema. Continua così e prima di finire la gara arriverai a mille. Se mi lascio sfuggire una parola con il Ministero della Difesa, mi fanno sparire all’istante, senza lasciare traccia, in una di quelle istituzioni discrete nel cuore degli Avengers. Sono anni che cerchi di arrivare a questi risultati. E Vicky? Impazzirà. E David? Togli i segnaposto e la faretra, spostati a ottanta metri e non perdere il sangue freddo. In fondo, un equilibrio nella potenza nucleare esiste: chi oserebbe prendere la responsabilità di romperlo? Sono passati trentatré anni dalla seconda guerra mondiale: è evidente che nessuno pensa di servirsi della bomba atomica. E, comunque, non è forse vero che i giapponesi carbonizzati dal napalm sono molto più numerosi dei poveretti morti come conseguenza delle bombe H e N? Alza la mira sugli ottanta metri, incocca la freccia, rilassati, respira a fondo, tira l’arco ma senza sforzarti, tieni il gomito sinistro in fuori, bacia la corda, controlla l’ampiezza del tiro, bada che l’arco sia perfettamente verticale, punta nella zona oro, adesso tira, tira, tira…