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Spain si schiarì la voce quando vide arrivare Vicky Hutchman. Aspettò il momento giusto, poi uscì dalla porta dove la stava aspettando e le finì addosso.

«Scusate» disse «ma, per caso siete la signora Hutchman?»

«Sì.» Lei lo guardò con un disprezzo malcelato, che gli fece venire in mente Lucas e che lo decise ad agire. «Mi spiace, ma…»

«Donald Spain» tornò a schiarirsi la voce. «Sono un amico di Hutchman. Un collega d’ufficio.»

«Sì?» La signora Hutchman non sembrava molto convinta.

«Sì.» Tale e quale a suo marito, pensava Spain. Anche lui non voleva sporcarsi con la gente ordinaria, a meno che fosse sicuro di non essere visto. «Volevo esprimervi tutto il mio rincrescimento per il brutto momento che sta attraversando. Probabilmente c’è una spiegazione molto semplice.»

«Vi sono molto grata. Però, se volete scusarmi, avrei un impegno.» Si avviò, e i capelli biondi erano lisci e lucidi come il ghiaccio nella luce da acquario della galleria.

Era il momento di colpire. «La polizia non l’ha ancora trovato. Penso che abbiate fatto bene a non dire niente della vostra villetta per le vacanze. Probabilmente…»

«Villetta per le vacanze?» Lei corrugò la fronte. «Ma non abbiamo nessuna villetta!»

«Ma la casetta di Hastings, in Channing Way, al 31. Mi ricordo l’indirizzo perché Hutchman aveva chiesto il mio parere sull’ufficio.»

«Channing Way» disse lei, con voce sottile. «Ma non abbiamo nessuna casa in quel posto.»

«Ma…» Spain sorrise. «Forse ho parlato troppo. Ma non preoccupatevi, signora Hutchman, non ho detto niente alla polizia quando mi hanno interrogato, e continuerò a farlo. Stimiamo troppo Hutch per…» Abbassò la voce quando Vicky Hutchman si affrettò a entrare nel negozio e lui si allontanò in preda a una soddisfazione enorme, come se avesse appena finito di comporre una poesia.

Non è cambiato niente, si diceva Vicky Hutchman, mentre era seduta nella poltrona con l’acqua calda che le scorreva sul cuoio capelluto. La nortriptyline mi aiuterà. Secondo il dottor Swanson, le pastiglie avranno effetto, se do loro il tempo di agire. Il passato è passato…

Chiuse gli occhi, sforzandosi di non pensare.

14

Beaton era nato a Orada, sul confine nord-occidentale della Romania, ed era figlio di un vasaio. Nei primi trentadue anni della sua vita si chiamava Vladimir Khaikin, ma da molto tempo ormai er0a noto come Clive Beaton, tanto che il suo vero nome suonava strano anche per lui. Era entrato nell’esercizio molto presto, aveva lavorato sodo, dimostrando di possedere certe attitudini e modi di pensare che l’avevano segnalato a un’organizzazione riservata, nota in certi ambienti come LKV. L’offerta d’impiego che aveva ricevuto era abbastanza interessante da indurlo a lasciare l’esercito quando era ancora capitano e da scomparire totalmente dalla vita normale durante il periodo di addestramento. A questo punto, la nuova carriera si era fatta molto meno interessante e meno prestigiosa: passava infatti molto tempo a osservare le attività dei turisti e degli uomini d’affari occidentali. Khaikin si stava annoiando da morire quando una porta, non verso una nuova carriera ma verso una vita interamente diversa, gli si era spalancata davanti.

Il mutamento si era verificato quando un pullman inglese carico di turisti era uscito di strada precipitando lungo il fianco di un’altura, a neanche un centinaio di chilometri dalla città dove Khaikin viveva. Alcuni turisti erano rimasti uccisi sul colpo, altri erano morti all’ospedale in seguito alle ustioni riportate. Come le era abituale in casi del genere, la LKV aveva controllato tutti i morti della sciagura e aveva scoperto, come capitava solo di rado, una vittima che valeva la pena di essere resuscitata. Si trattava di un certo Clive Beaton, di trentun anni, scapolo, senza parenti stretti, che si occupava di commercio di francobolli e abitava a Salford, nel Lancashire. A questo punto, la LKV aveva esaminato le liste degli uomini disponibili per qualsiasi tipo di attività e ne aveva trovato uno con le stesse caratteristiche di statura, altezza e colorito della vittima dell’incidente.

Khaikin non aveva esitato ad accettare l’incarico, anche quando lo avvertirono che doveva sottoporsi a un intervento di chirurgia plastica e che sarebbero comparse sul suo volto numerose cicatrici provocate da ustioni. Aveva passato tre settimane in una camera d’isolamento nella clinica dove i chirurghi, secondo la versione ufficiale, tentavano di restaurargli la faccia devastata dal fuoco. In questo lasso di tempo, i chirurghi avevano prodotto sulla sua faccia diverse ferite gravi senza peraltro distruggerne i tessuti mentre i dirigenti della LKV approfittavano per studiare a fondo l’ambiente, le amicizie e le abitudini di Clive Beaton. Ogni frammento di notizia che riuscivano a ottenere veniva memorizzato da Khaikin, che aveva anche dovuto sovrapporre al suo inglese privo di inflessioni particolari, l’accento del Lancashire. La sua mente assimilava ogni cosa senza sforzo e, inviato a Londra e di qui a Salford, si era inserito nel giro di pochissimi giorni. Anzi, a volte, negli anni successivi, aveva quasi sperato di incontrare qualche difficoltà che lo mettesse alla prova. D’altronde quella vita aveva anche dei compensi, come una assoluta libertà.

La LKV gli faceva poche domande, a parte il fatto che gli imponeva di condurre una vita oscura come Clive Beaton, di abitare in Gran Bretagna e di aspettare. Lui aveva lasciato che il commercio dei francobolli morisse di morte naturale e si era dedicato ad altre attività più confacenti alle sue attitudini. Il suo amore per i cavalli, unito a un certo fiuto nel calcolo delle probabilità, lo aveva portato nella penombra delle attività che vivono attorno all’ambiente delle corse. Aveva puntato con buon successo, aveva lavorato come perito per diverse scuderie minori e, alla fine, aveva aperto un suo banco quando questa attività era divenuta legale. Anzi, già prima si sarebbe messo in proprio, ma una direttiva principale della LKV era di evitare ogni conflitto con le autorità. Diventato allibratore aveva attirato, senza volerlo, un gruppo di associazioni i cui membri vivevano spesso ai margini della legge. Ma Beaton non si era mai lasciato indurre a fare passi falsi. Benché ormai si considerasse come Clive Beaton e avesse imparato a bere whisky scozzese e birra inglese, non si era mai sposato e, ogni volta che rispondeva al telefono si aspettava regolarmente una voce del passato.

Le chiamate speciali arrivavano molto di rado. Una volta, quando era in Inghilterra già da due anni, il suo interlocutore sconosciuto, identificabile solo in codice, gli aveva ordinato di far fuori un uomo che abitava a un certo indirizzo di Liverpool. Beaton aveva trovato l’individuo, che diceva di essere un marittimo in pensione e, la sera stessa, lo aveva ucciso. Ritornato a Salford, aveva letto con attenzione tutti i giornali, ma la polizia, a quanto pareva, si era orientata verso un fatto di sangue nell’ambiente del porto, e il delitto era rapidamente sparito dalle testate dei quotidiani senza ripercussioni di nessun genere. Beaton a volte si chiedeva se quel delitto, per caso, non era una prova della sua efficienza e della sua fedeltà, ma era difficile che quel tipo di pensieri lo turbasse. In genere gli incarichi che riceveva, spesso a distanza di anni, gli facevano venire in mente il suo antico lavoro di controllo dei turisti: per esempio quando gli toccava accertarsi se un individuo si trovava effettivamente in un determinato albergo.