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«Era George» disse, incuriosita. «È venuto un uomo in negozio a chiedere di voi. Era per la macchina.»

«Davvero?» Hutchman si afferrò al legno della ringhiera.

«Vi hanno rubato la macchina, signor Rattray? Avevate detto che s’era bloccata, quando eravate…»

«Non so, potrebbero averla rubata dopo» Hutchman si voltò e corse su per le scale, terrorizzato. Appena in camera s’infilò il giubbotto e ridiscese. La signora Atwood era sparita da qualche parte. Lucas aprì la porta d’ingresso, guardò lungo la via per accertarsi che non ci fosse nessuno, poi si allontanò rapidamente, dirigendosi dalla parte opposta alla strada principale. Quando fu quasi in fondo vide una Jaguar blu scuro voltare l’angolo. Al volante c’era un individuo corpulento, con i capelli grigi, che non sembrò notare Hutchman. Però la macchina rallentò immediatamente e scivolò piano lungo la strada, frusciando sulle foglie morte. Il guidatore stava guardando i numeri delle case.

Hutchman continuò a camminare normalmente fino a quando ebbe girato l’angolo e sbucò in una strada più larga e deserta. A questo punto si mise a correre. Correva senza sforzo, respirando senza difficoltà, come se si fosse liberato da bende che gli stringevano il petto. Corse lungo una fila di alberi, senza neanche accorgersi di toccare con i piedi il terreno, muovendosi tanto silenziosamente che per due volte avvertì il rumore sordo delle castagne che cadevano, schiacciandosi sul marciapiede. Arrivato quasi in fondo alla strada, ebbe un presentimento. Allora smise di correre e si guardò dietro. La Jaguar blu spuntava dalla fila di piante e sbandava leggermente nella curva. Veniva nella sua direzione e passava tra gli alberi, in un alternarsi di luce e di ombra.

Hutchman riprese a correre. Sbucò in un lungo cañon di casette terrazzate, a tre piani, vide sulla destra un viottolo e l’infilò. La via era lunga e anonima, e s’inerpicava sul fianco della collina fino a perdersi nella nebbia. Hutchman non aveva tempo per voltarsi indietro. Balzò attraverso una fila irregolare di macchine ferme, correndo a zig zag per evitare i gruppi di bambini che giocavano. Ma adesso correre era diventato più arduo. Ormai Hutchman sentiva una schiuma salata agli angoli della bocca e, di tanto in tanto, le caviglie gli mancavano. Si voltò a guardare e vide la Jaguar che lo seguiva, silenziosamente.

A un certo punto Hutchman notò, tra due file di case, un passaggio dissestato. Si lanciò da quella parte e si ritrovò in uno spiazzo desolato, costruito evidentemente da qualche programma di risanamento e di sviluppo delle aree fabbricate. La superficie dello slargo era ingombra di detriti, di pezzi di mattoni e di cemento, con un gruppo di bambini che si muovevano in mezzo a una nebbia bassa, come membri di una razza non terrestre formata da nani. Hutchman si gettò verso il limite opposto della radura, dove c’era un’altra fila di case dietro le quali, nel tramonto, cominciavano a brillare le luci bianco-azzurre di una strada molto frequentata. La Jaguar dietro di lui, si fermò. La portiera sbatté, ma Hutchman non aveva tempo di guardare perché correre su quel terreno accidentato era pericoloso. A ogni momento, quando doveva saltare oltre un blocco di cemento o uno spuntone di ferro arrugginito che si levava dal terreno come un trabocchetto, le caviglie minacciavano di non reggerlo. Si diresse verso quello che pareva un passaggio aperto fra le case, ma scoprì presto di avere sprecato inutilmente le forze. L’impresario del piano di sviluppo aveva cintato lo spiazzo con una rete di ferro, e Hutchman era in trappola.

Si voltò con l’intento di confondersi nella banda dei ragazzini, ma loro, fondandosi sull’istinto sviluppatissimo proprio della loro razza, se l’erano già squagliata. L’uomo dai capelli grigi era a una cinquantina di passi da lui, e correva veloce nonostante la mole, con un’aria stranamente buffa con quel bellissimo cappotto di tweed addosso. Dal modo in cui impugnava un coltello a serramanico, si capiva che sapeva usarlo con mortale competenza.

Hutchman si spostò di lato. L’inseguitore cambiò direzione per intercettarlo. Hutchman afferrò un mattone e glielo scagliò addosso, ma la mira era troppo bassa e il proiettile colpì senza danni il terreno. L’uomo dai capelli grigi inciampò nel mattone, si sbilanciò in avanti e la sua faccia finì contro un fascio di tondini di ferro che spuntavano da una base di cemento. Uno dei tondini si conficcò nell’orbita dell’occhio destro. L’uomo lanciò un urlo.

Hutchman vide con orrore una sfera incredibilmente grossa, venata di rosso, sgusciare dall’occhio e rotolare sul terreno.

«Il mio occhio! Il mio occhio!» L’uomo era chino nella polvere, e le sue mani cercavano alla cieca.

«State lontano da me» mormorò Hutchman.

«Ma è il mio occhio!» L’uomo si rialzò e teneva in mano l’oggetto orrendo. Lo tendeva a Hutchman, supplicando. Gocce di sangue nero gli rigavano la faccia e sgocciolavano sugli abiti.

«State lontano!» Hutchman s’impose di agire. Corse per un breve tratto parallelo al filo spinato, poi si girò verso l’apertura da cui era entrato nello spiazzo. I ragazzini schizzavano via davanti a lui, come tanti fagiani spauriti. Arrivò alla Jaguar blu e vi salì, ma nel cruscotto non c’erano le chiavi. Il suo inseguitore, evidentemente, non aveva voluto correre rischi. Hutchman scese dall’auto mentre gruppi di monelli riaffioravano tra una casa e l’altra. Tornavano verso lo spiazzo, ma stavolta avevano un’aria di autorità che faceva pensare che avessero l’appoggio degli adulti. Hutchman corse da quella parte e incontrò due uomini di mezz’età, uno dei quali era in pantofole e in maniche di camicia.

«C’è stato un incidente» gli disse, additando l’area squallida dove un’ombra barcollava nella nebbia color ardesia. «Dov’è un telefono?»

Uno degli uomini indicò qualcosa a sinistra, ai piedi della collina. Hutchman corse da quella parte, scendendo per la via da cui era arrivato, finché si ritrovò nel viale alberato. A questo punto rallentò il passo, sia per non farsi notare sia perché ormai non ne poteva più. Adesso che andava più adagio, riusciva anche a pensare. Aveva l’impressione che il suo inseguitore non fosse un poliziotto inglese, e neanche un agente dello spionaggio: si sarebbero comportati diversamente. Ma qualunque cosa avessero saputo da Audrey Knight, come avevano fatto a scoprirlo così in fretta? C’era, s’intende, la macchina, ma in quel caso si sarebbe mossa la polizia e non un individuo anonimo, armato di coltello. A parte quello che era successo, pensò Lucas, Bolton non faceva più per lui.

Mentre il respiro gli tornava, si ritrovò sulla strada principale, dove prese un autobus che portava in centro. Quando raggiunse la piazza principale della città s’era fatto buio. Le vetrine erano illuminate e i marciapiedi erano gremiti di gente che tornava a casa dal lavoro. L’atmosfera prenatalizia, piena di animazione, gli portò un altro attacco di nostalgia. Ricominciò a pensare a Vicky e a David. Guarda come mi hai ridotto, Vicky. Chiese a un giornalaio dov’era la stazione e decise di andarci a piedi, ma subito si rese conto che non poteva correre il rischio di entrare in una stazione né in altri posti analoghi, e che anche solo pensarci era già stato un errore. Volevo tornarmene a casa comodamente, seduto nel posto vicino al finestrino, pensava stupito. Ma io sono l’uomo al piano zero. Non tornerò mai più a casa.

Camminò per un certo tempo senza meta, girando per due volte in una strada laterale perché aveva notato alcuni poliziotti. Il problema di lasciare Bolton, ormai, si faceva due volte urgente. Non solo doveva sottrarsi a una rete che si stringeva sempre di più, ma il termine ultimo che aveva dato alle autorità stava avvicinandosi. Era assolutamente necessario che si dirigesse a sud, e che arrivasse ad Hastings prima del Giorno Anti bomba.