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Diceva:

I CORDONI DI POLIZIA CHIUDONO IL CERCHIO ATTORNO A BOLTON!

Un certo numero di copie dei giornali della sera era appeso a un filo di ferro, alla porta del negozio. Hutchman si avvicinò e vide riprodotta in prima pagina una sua fotografia in grande formato, con titoli cubitali che dicevano:

BOLTON CIRCONDATA DALLE FORZE DI POLIZIA.

Il misterioso matematico è nella nostra città.

Hutchman preferì non correre il rischio di comperare il giornale e, d’altra parte, aveva saputo tutto quello che gli interessava. Mentre si allontanava, una Porsche bianca frenò accanto a lui e la portiera si aprì. Al volante c’era una ragazza dall’aspetto orientale, con un abito d’argento.

«Fa più caldo, qua dentro» gli disse senza dimostrare il minimo imbarazzo per il fatto che si comportava come una prostituta.

Hutchman, che stava per fuggire, scosse d’istinto la testa, poi mise il piede sul bordo dell’auto. «E io, forse, ho un po’ freddo.» Salì. La macchina, che sapeva di cuoio e di profumo, scivolò e ripartì silenziosamente nello sfavillio delle luci del centro.

Lucas si voltò a guardare la ragazza. «Dove andiamo?»

«Non molto lontano.»

Hutchman annuì, soddisfatto. Era tranquillo, finché la ragazza non tentava di portarlo fuori città passando attraverso un blocco stradale. «Hai qualcosa da mangiare, a casa?»

«No.»

«E non hai fame?»

«Una fame da lupi, però non gestisco una mensa.» La bella faccia era dura.

Hutchman sbuffò, tirò fuori un biglietto da cinque e glielo lasciò cadere in grembo. «Fermati a un distributore automatico e procurati qualcosa.»

«Io lavoro, signore» e gli restituì il biglietto. «C’è una tariffa per tenerti compagnia.»

«S’intende. Quanto per notte?»

«Venticinque!» La voce era insolente.

«E venticinque siano.» Hutchman prese altri sei biglietti, stupito nel vedere che per gli altri avevano ancora un valore. «Così sono trenta, più i viveri. Va bene?»

Per tutta risposta lei gli posò la mano sulla coscia. Lui sopportò la carezza, in silenzio. Ti ammazzerei, Vicky. Più tardi la ragazza si fermò a uno snack, vi entrò di corsa e ne riemerse carica di pacchetti che profumavano di pollo arrosto. Lo guidò a un piccolo appartamento, a dieci minuti dal centro. Hutchman teneva i pacchi, mentre lei apriva e gli faceva strada nel piccolo alloggio al primo piano. Era ammobiliato semplicemente, con le pareti bianche, un tappeto bianco e, nella stanza più grande, il soffitto nero.

«Prima si mangia?» chiese la ragazza.

«Prima si mangia.» Lucas posò i pacchi sul tavolo, li aprì e si mise a mangiare mentre la sua ospite preparava il caffè in una cucina lucida e bianca come una clinica. Hutchman era stanco e nervoso, e rivedeva ogni tanto le immagini di quell’occhio che rotolava a terra. Ma il calore lo aiutò a distendersi. Mangiarono in silenzio, poi la ragazza sparecchiò e portò gli avanzi in cucina. Tornata, sgusciò fuori con un movimento dal vestito rivelando di sotto un bikini rosso di seta che, insieme con le cosce muscolose, la faceva somigliare a un’artista del trapezio. Il suo corpo bruno era scattante e desiderabile. Hutchman divento di ghiaccio.

«Senti» disse alzando il suo rotolo di fogli che sapeva di ammoniaca. «Ho una faccenda molto urgente da sbrigare, e non posso rilassarmi se prima non ho finito. Perché, intanto, tu non guardi la televisione?»

«Non ho la televisione.»

Hutchman si rese conto che aveva fatto un errore a proporre la TV, dove la sua immagine sarebbe comparsa in tutti i telegiornali. «Allora metti un disco, o leggi. D’accordo?» La ragazza scrollò le spalle con indifferenza e, senza più rivestirsi, si allungò su un divano e rimase a guardarlo.

Hutchman allargò sulla tavola una pianta della città, dove erano ancora segnati i nomi delle vie, poi cominciò a imparare a memoria i vari nomi cominciando dalle arterie principali e facendoci entrare il maggior numero possibile di traverse. Lavorò un’ora, con la massima concentrazione, dopo di che prese una copia senza indicazioni e cercò di ricollocare i nomi al posto giusto. In questo modo riuscì a sapere con precisione quali zone conosceva bene e quali, invece, gli erano ancora sconosciute. Tornò a consultare la pianta coi nomi, ci dedicò un’altra ora, rifece un controllo su una carta bianca e ricominciò da capo. A un certo punto la ragazza si addormentò, mettendosi a russare leggermente. Si svegliò di soprassalto e, per un istante, guardò Hutchman senza riconoscerlo.

Lui le sorrise. «Ci ho messo più tempo del previsto. Perché non vai a letto?»

«Non vuoi un caffè?»

«No, grazie.»

Lei si alzò con un brivido, raccolse l’abito d’argento da terra e si diresse verso la camera da letto, dando un’occhiata al fascio di piante. Hutchman si rimise al lavoro. Erano le tre quando, finalmente, riuscì a compilare una pianta intera. Tremava di freddo perché il riscaldamento centrale era spento da ore. Si allungò sul divano per tentare di dormire, ma faceva molto freddo e la testa gli scoppiava, con centinaia di nomi di strade. Ogni volta che chiudeva gli occhi, vedeva un intrico di linee nere e, di tanto in tanto, un globo oculare striato di sangue che rotolava. Dopo mezz’ora si spostò in camera da letto. La ragazza era addormentata. Hutchman si svestì, si infilò vicino a lei, le passò una mano sui fianchi sentendo sotto le dita il calore del ventre. Nel buio avrebbe potuto scambiarla per Vicky.

Si addormentò all’istante.

Alle prime luci dell’alba si alzò senza svegliare la ragazza, si vestì rapidamente e tornò al tavolo nel soggiorno. Come aveva previsto, quando cercò di finire la carta scoprì che c’erano diverse zone di incertezza. Impiegò alcuni minuti a ripassarla, poi uscì senza far rumore. Era una mattina grigia, senza pioggia, stranamente mite per quell’epoca dell’anno. Si diresse verso il centro, divertendosi a farsi venire in mente i nomi delle strade man mano che vi arrivava. La sua conoscenza della struttura di una città era estremamente labile e, nel giro di una settimana, avrebbe dimenticato tutto. Comunque sarebbe durata quanto bastava per permettergli di affrontare qualunque quiz quel mattino. Arrivò alla sede dei taxi senza incontrare la polizia. Stavolta entrò nell’ufficio che dava sulla strada e parlò con una ragazza munita di occhiali che aveva davanti a sé, sul tavolo, una serie di telefoni e un microfono.

«Oliver è di turno?»

«No, questa settimana faceva il turno serale. Si tratta di faccende personali?»

Hutchman prese coraggio. «No, non è personale. Sono un buon autista e conosco Bolton come il palmo della mia mano.»

Quaranta minuti dopo, con la divisa, un distintivo metallico inciso e un berretto con visiera, attraversava la città a bordo di un taxi color senape. Per quasi un’ora lavorò normalmente, rispondendo a due chiamate trasmessegli per radio e individuando le località senza troppe difficoltà. Alla seconda si ritrovò nella zona meridionale della città e, invece di tornare al suo posteggio, chiamò l’ufficio per radio.

«Qui parla Walter Russel» disse, servendosi del nome con cui aveva firmato. «Ho preso a bordo in questo momento un signore per un giro turistico di una giornata nei dintorni di Bolton. Qual è la prassi?»

«La tariffa giornaliera è di dieci sterline e cinquanta» rispose la ragazza. «Pagabili in anticipo. Va bene per il vostro cliente?»

Hutchman aspettò un momento. «Sì, dice che va bene.»

«Allora richiamate quando siete di nuovo libero.»