Выбрать главу

«Come mai non sei in ufficio, Luke?» La voce di Vicky risuonò a pochi centimetri di distanza, dietro alle sue spalle.

Hutchman vide la freccia guizzare in una linea troppo alta, conficcarsi nel bersaglio vicino al bordo e quasi trapassarlo. In quel punto la corda era meno solida. «Non ti ho sentito arrivare» disse, calmo. Si girò, la scrutò in faccia sapendo che aveva voluto coglierlo di sorpresa, deliberatamente, ma sperando di scoprire se cercava una sfida diretta o se invece fingeva l’innocenza.

I loro occhi s’incontrarono istantaneamente, come due contatti elettrici inseriti in un presa.

E va bene!, pensò lui. «Perché mi sei piombata addosso in quel modo? Mi hai fatto perdere un colpo.»

Lei scrollò le spalle, e le clavicole si disegnarono nitide sotto la pelle abbronzata. «Hai tutto il pomeriggio per giocare con l’arco.»

«Non è un gioco, il tiro con l’arco! Quante volte devo…?» Riuscì a dominarsi. «Cosa vuoi, Vicky?»

«Voglio sapere perché non sei in ufficio, oggi.» Intanto si esaminava con occhio critico la pelle delle braccia, accigliata notando che l’abbronzatura spariva anche se era più scura dell’abito senza maniche color ambra. La sua faccia era seccata per l’inquietudine introspettiva e segreta che le donne belle provano, a volte, quando esaminano criticamente il proprio corpo. «Penso di avere il diritto di saperlo.»

«Oggi non andava.» Posso far cambiare ballo ai neutroni. «Sei contenta, adesso?»

«Ma che fortuna per te.» La disapprovazione si notò appena sulla bella faccia levigata come un velo di fumo sul sole. «Piacerebbe anche a me smettere di lavorare quando ne ho voglia.»

«La tua situazione è migliore della mia, comunque: ti metti a lavorare solo quando ne hai voglia.»

«Sei proprio divertente. Hai già fatto colazione?»

«Non ho fame. Resto qui, a finire il giro.» Hutchman desiderava disperatamente che Vicky se ne andasse. Nonostante il colpo fallito, si sentiva capace di superare le famose quattro figure della gara, a patto però di escludere l’universo intero, e di trattare ogni freccia come se fosse l’ultima. L’aria era immobile, il sole bruciava sui cerchi concentrici del bersaglio e, in quel momento preciso, lui capì che quegli ottanta metri di prato non contavano niente. Capì improvvisamente che sarebbe riuscito a mettere a segno la prossima freccia nel centro geometrico esatto della zona dorata, allineando anche queste penne con le altre, a condizione, però, di essere lasciato in pace.

«Già. Sei impaziente di tornare alle tue fantasticherie. Chi lo direbbe che ti sei messo con Trisha Garland?»

«Trisha Garland?» un serpentello di rabbia si agitò nei recessi della mente di Hutchman, intorbidendo le acque. «E chi sarebbe questa Trisha Garland?»

«Come se non lo sapessi!»

«Non ho la più pallida idea di chi sia questa signora.»

«Signora! Questa è bella! Niente meno che signora, quella sgualdrina che non sa cantare una nota e che non saprebbe riconoscere una signora, se ne vedesse una.»

Hutchman rimase a bocca aperta: evidentemente sua moglie alludeva alla cantante che, la sera prima, aveva intravisto alla televisione. Una furia amara lo travolse. Sei malata, pensava tra sé, sei talmente malata che mi basta esserti vicino per star male anch’io. A voce alta disse, con calma: «L’ultima cosa che desidero è che qualcuno canti mentre tiro d’arco.»

«Oh, lo sai benissimo a chi alludo.» Vicky, sotto il casco di capelli ramati, aveva una faccia trionfante. «Perché non vuoi ammettere di conoscerla?»

«Vicky!» Hutchman le voltò le spalle. «Fammi il piacere di tappare quella chiavica che hai al posto del cervello e poi vattene, prima che ti pianti una di queste frecce nella testa.»

Ne incoccò un’altra, tese l’arco, puntò al bersaglio. I cerchi concentrici, sfavillanti, sembravano lontanissimi, oltre un mare di correnti pericolose. Tirò e capì subito di aver dato uno strappo alla corda anziché lasciarla andare dolcemente, prima ancora di sentire il tintinnio quasi deluso dell’arco e di vedere la freccia volare altissima, sopra il bersaglio. Nonostante la parolaccia, la tensione non si allentò e Hutchman cominciò a slacciarsi il bracciale di cuoio, tirando i cinghietti con forza.

«Mi spiace, caro.» Vicky sembrava una bambina avvilita, e intanto lo abbracciava. «Non riesco a non essere gelosa di te.»

«Gelosa!» Hutchman scoppiò a ridere, sentendosi sull’orlo delle lacrime. «Se mi avessi scoperto a baciare un’altra donna, bene, questa sarebbe gelosia. Ma quando ti costruisci dei fantasmi con personaggi visti alla TV, ti torturi e tormenti anche me, questa è un’altra cosa.»

«Ti amo tanto che non sopporto neanche che tu guardi un’altra donna» disse Vicky stringendolo di più, incollandosi addirittura a lui. «David non è ancora tornato da scuola» aggiunse con la voce che era un chiaro invito.

Sono un vero stupido se capitolo con tanta facilità, si disse lui. Ma ritornando a casa, si rese conto di essere stato nuovamente sconfitto. Dopo otto anni di matrimonio, l’attrazione per lei era tanto cresciuta da non riuscire nemmeno a immaginare di poter avere una relazione sessuale con un’altra donna.

«Che maledetto guaio essere monogamo per natura» borbottò, mentre appoggiava l’attrezzatura fuori della porta. «Tanto vale che ne approfitti.»

«Povero caro» disse Vicky, precedendolo in camera da letto.

Più tardi, sdraiato vicino a lei, Hutchman si sentì libero da ogni tristezza, mentre oscillava pacificamente tra la veglia e il sonno. Il mondo esterno era il mondo che aveva conosciuto bambino, quando, nelle mattine d’estate, rimaneva a letto fino a tardi ascoltando le conversazioni serene in giardino, appena percettibili, il tintinnio delle bottiglie del latte giù nella strada e, in distanza, i colpi cadenzati della falciatrice a mano. Adesso è perfettamente al sicuro. La bomba, l’intera concezione della catastrofe atomica, gli sembra arcaica, un po’ fuori moda come John Foster Dulles e il senatore McCarthy, i televisori a dieci pollici, le macchine Triumph, il New Look, gli idrovolanti sul Solent. Se guardiamo le cose spassionatamente dal pinnacolo storico del 1978, è impossibile pensare che sgancino la bomba.

Fu svegliato da una gragnola di colpi alla porta d’ingresso, e capì che era tornato suo figlio. Si buttò qualcosa addosso, e lasciando Vicky semi addormentata nel letto, corse ad aprire. David, senza una parola, si precipitò dentro, buttò a terra, con un rumore di cuoio e un tintinnio di fibbie, la sacca e sparì nel bagno, senza chiudere la porta. I suoi capelli avevano l’odore dell’aria d’ottobre. La sua scomparsa fu seguita da uno scroscio d’acqua accompagnato da un grande sospiro di sollievo. Ancora ottimista, Hutchman sorrise mentre raccoglieva la sacca e la metteva in un armadio. La realtà ha piani diversi, pensò e questo è valido esattamente come un altro. Forse ha ragione Vicky, forse lo sbaglio maggiore e più pericoloso che può commettere un abitante della città globale è di sentirsi responsabile per i suoi simili che vivono a diecimila miglia da lui. Non esiste un sistema nervoso capace di condividere le colpe degli altri.