Prima difficoltà: non esistevano, per quanto ne sapeva lui, laser cestron. Il cestron era un gas scoperto da poco, un prodotto dell’isotopo praseodimio e, senza la stella guida delle equazioni di Hutchman, non c’era motivo per usarlo come base di un laser. Insomma, avrebbe dovuto costruirne uno di fortuna.
Osservando, al di là della tavola, la faccia trasognata di suo figlio, Hutchman si sentì prendere dallo sconforto all’idea delle difficoltà pratiche che l’aspettavano. Come prima cosa, aveva bisogno di una quantità sufficiente di praseodimio per produrre, diciamo, cinquanta milligrammi di cestron. Poi gli occorreva un cristallo di praseodimio, da usare nei circuiti di stimolazione del laser, e i circuiti, per conto loro, non erano semplici da fabbricare. Lui aveva una certa esperienza in fatto di elettronica, però una macchina che usava frequenze dell’ordine di 6 x 1018 Hertz richiedeva l’impiego di onde guida tubolari, anziché di fili. Avrà l’aria di un arnese da idraulici anziché…
«Lucas!» Vicky batté con la forchetta sul piatto. «Continuerai a fare il muso per tutta la giornata?»
«Non faccio il muso!» E le radiazioni non scherzeranno. Sono più pericolose dei raggi X! Sarà necessario proteggersi e bisognerà collegarle otticamente con il laser. Insomma, mi occorrono alcune piastre d’oro per collegarle con quegli aggeggi a specchio concavo…
«Lucas!» Vicky lo tirava per la manica, nervosa e arrabbiata. «Rispondi per lo meno a David, quando ti parla.»
«Scusami.» Hutchman diede un’occhiata a suo figlio. Aveva il cappotto e stava per andare a scuola. «Buona giornata, David. Hai finito il compito, ieri?»
«No.» David strinse le labbra, ostinato, e, per un momento, la faccia dell’uomo che sarebbe diventato apparve dietro i lineamenti infantili.
«E cosa dirai alla maestra?»
«Le dirò…» David fece una pausa, in cerca di ispirazione «…che ficchi la testa nel gabinetto.» Schizzò via dalla cucina e, poco dopo, lo sentirono sbattere la porta mentre correva a scuola.
«A casa fa lo spavaldo, però la signorina Lambert mi ha detto che è il più tranquillo della classe» disse Vicky.
«È questo che mi preoccupa. Mi chiedo se David è ben integrato nella scuola.»
«È integrato perfettamente.» Lei sedette a tavola, si versò una seconda tazza di caffè senza chiedergli se anche lui ne voleva un’altra, segno, da parte sua, di nervosismo. «Potresti almeno dargli una mano nei compiti a casa.»
Hutchman scosse la testa. «Non serve a niente suggerirgli le risposte ai problemi che deve svolgere a casa. In compenso vorrei insegnargli un metodo che gli serve per risolvere qualsiasi difficoltà, senza tener conto di…»
«E cosa sa, David, dei metodi di ben ragionare?» Vicky era sprezzante.
«Niente» disse Hutchman. «Per questo voglio insegnarglielo.» Ebbe una punta di soddisfazione maligna quando Vicky chiuse le labbra e si girò per alzare il volume della radio. Una volta alla settimana, in media, Lucas la metteva alle strette in una discussione ricorrendo all’espediente semplice, sebbene logicamente irrilevante, di rispondere a una domanda retorica come se si trattasse di un quesito molto serio. Lei, in questi casi, non chiedeva più niente. Lui pensava che tutto nascesse dal suo disprezzo istintivo per ogni razionalizzazione astratta, però l’effetto equivaleva a una vittoria decisiva e personale da parte di lui. Vicky, ora che aveva scelto di ascoltare la radio, lo aveva escluso totalmente da sé, interamente assorbita dall’apparecchio. Il sole del mattino si rifletteva sul pavimento, avvolgeva di luce la sua vestaglia, dava alla sua pelle una trasparenza particolare. Sarebbe la mattina buona per tornare a letto un’altra ora, pensò Hutchman, ma provava un senso di rimorso. La visione di sé e di Vicky sul divano fu oscurata dall’affresco dei corpi dilaniati. Quanti ragazzini di sette anni, indomabili come David, sono morti a Damasco? E quanti.…
«Oh, Dio!» Vicky spense la radio. «Hai sentito?»
«No.»
«John e Yoko hanno incendiato la loro casa in Virginia come segno di protesta.»
«In segno di protesta?» disse Hutchman, distratto. In quell’attimo gli era venuto in mente che aveva bisogno di una centrifuga a gas, per depurare il cestron da usare nel laser.
«Alla presenza di stampa e televisione, s’intende. Quanto credi che serva loro, la pubblicità?»
«Forse non intendevano farsi pubblicità.»
«Forse, mio caro stupido» disse lei, aspra. «Lucas, tu non hai ancora capito la filosofia del diventare milionari per la pace. L’abilità consiste nel fare esattamente quello che ti piace, nel toglierti ogni voglia, per egoistica e sporca che sia, ma nel proclamare che lo fai per la pace. In questo modo te la godi quanto vuoi e, in più, ti senti moralmente superiore.»
«Non mi pare che sia il caso di prendersela tanto.» Hutchman era impaziente di andare in ufficio, per consultare il catalogo della Westfield. Forse sarebbe riuscito ad avere il parere di qualcuno del settore acquisti.
«Non sopporto l’ipocrisia» scattò Vicky.
«C’è un’ipocrisia dell’ipocrisia» disse Hutchman incautamente, ora che i suoi pensieri erano tutti rivolti alla macchina anti-bomba.
«Che cosa vuoi dire?»
Hutchman vide il pericolo di rispondere che sua moglie era più gelosa che arrabbiata. «Niente. Scherzavo.» Buttò giù l’ultimo sorso di caffè, non perché avesse voglia di finirlo, ma per farle capire che aveva fretta di andare al lavoro.
Passando attraverso il centro ricerche Westfield per andare in ufficio, vide i primi segni di come l’annientamento di una grossa città avesse lasciato un’impronta sulla vita quotidiana. Gli uffici più piccoli e i corridoi erano deserti, gli altri locali erano affollati di gente riunita per discutere le ultime notizie. Dappertutto regnava un’atmosfera di tensione che una risata sporadica, in tono di sfida, accentuava anziché alleviare. Hutchman si sentiva stranamente calmo. Sapeva benissimo che Vicky si preoccupava della sorte di altri esseri umani, dato che più di una volta era scoppiata in lacrime quando sullo schermo della TV compariva l’immagine di un bambino assassinato, però l’isolamento deliberato e pragmatico della sera prima lo aveva spaventato. Una donna, una fonte di vita che guardava la morte con occhi freddi, senza interesse.
Muriel Burnley arrivò in ufficio con Hutchman. Portava la solita borsa di paglia e, infilato sotto il braccio, un rotolo di carta che aveva tutta l’aria di essere un nuovo manifesto turistico per il suo ufficio.
«Buondì, signor Hutchman» disse, guardinga. Era l’equivalente verbale di una mossa al re, nella partita della giornata.
«Buongiorno, Muriel.» Hutchman avvertiva, senza capirne la ragione, l’importanza che Muriel attribuiva alla scambio giornaliero dei saluti, così le aveva sempre risposto. Aprì la porta dell’ufficio di lei, la seguì nell’antro claustrofobico e prese, dal tavolo, il mucchio di lettere. Muriel sgusciò fuori dal cappotto di tweed marrone, provocando un balzo verso l’alto del suo petto assurdamente voluminoso. Hutchman, consapevole che dietro le lenti scure lo fissava, girò gli occhi e cominciò a sfogliare la posta.
«Non c’è niente di particolarmente urgente» disse. «Potete occuparvene voi? Fate a vostra discrezione. Oggi avrò molto da fare e non voglio essere interrotto.»
Muriel tirò su col naso, chiaramente disapprovando, e prese il fascio di buste. Lui passò nel suo ufficio, chiuse la porta di comunicazione e, dopo aver riflettuto qualche secondo, chiamò al telefono Cliff Taylor, capo del settore elettronico della Westfield. Questi era ancora mezzo addormentato, ma non protestò per la telefonata a quell’ora mattutina.