Padre Donnelly S. Kayman, diplomato in lettere, laureato in lettere, libero docente, gesuita. Mentre egli cominciava a celebrare la messa nella Cappella di Nostra Signora a St. Jude, a tre miglia di distanza, dall’altra parte di Tonka, il cyborg trangugiava avidamente l’unico pasto che avrebbe ricevuto per quel giorno. Masticare era difficile, perché la mancanza di esercizio gli indolenziva le gengive, e la saliva non era più abbondante come un tempo. Ma il cyborg mangiò con entusiasmo, senza neppure pensare ai test in programma per quel giorno, e quando ebbe terminato fissò malinconicamente il piatto vuoto.
Don Kayman aveva trentun anni ed era il più autorevole areologo del mondo (vale a dire specialista del pianeta Marte)… o almeno del mondo libero. (Kayman era disposto ad ammettere che anche il vecchio Parnov dell’Istituto Shklovkii di Novosibirsk qualcosa sapeva.) Era anche un gesuita. Non riteneva di essere prima una cosa e poi l’altra: il suo lavoro era l’areologia, la sua personalità era il sacerdozio. Meticolosamente e con gioia elevò l’Ostia, bevve il vino, recitò la preghiera finale, diede un’occhiata all’orologio e fischiò. Si faceva tardi. Si sbarazzò dei paramenti a tempo di primato. Accennò a dare uno scappellotto amichevole al chierichetto messicano, che sorrise e gli spalancò la porta. Avevano simpatia l’uno per l’altro: Kayman pensava addirittura che un giorno quel ragazzo sarebbe potuto diventare anch’egli prete e scienziato.
Kayman, che adesso indossava un paio di calzoni e una camicia sportiva, balzò a bordo della sua decapotabile. Era una macchinaclassica: aveva le ruote anziché il cuscino d’aria compressa, e sarebbe stata in grado di viaggiare anche fuori dalle autostrade guidate. Ma dove poteva andare, fuori dalle autostrade? Don Kayman fece il numero del laboratorio, accese le batterie principali e aprì il giornale. Senza bisogno che egli le prestasse attenzione, la piccola macchina si inserì sulla strada, trovò un varco nel traffico, balzò ad occuparlo, e lo portò verso il lavoro, alla velocità di centoventi chilometri orari.
Le notizie sul giornale erano pessime, come al solito.
A Parigi il MFP aveva sferrato un altro colpo alla conferenza per la pace di Chandrigar. Israele aveva rifiutato di sgombrare dal Cairo e da Damasco. A New York la legge marziale, ormai in vigore da quindici mesi, non era servita a prevenire l’imboscata tesa a un convoglio della Decima Divisione di Montagna che cercava di passare il ponte Bronx-Whitestone per andare a dare il cambio alla guarnigione dello Shea Stadium: erano morti quindici militari, e il convoglio era ritornato nel Bronx.
Kayman abbandonò il giornale, tristemente. Inclinò lo specchietto retrovisore, alzò i vetri dei finestrini per deflettere un po’ il vento e cominciò a spazzolarsi i capelli che gli arrivavano fino alle spalle. Venticinque colpi da spazzola per parte… per lui era un rito, quasi come la Messa. Avrebbe dovuto spazzolarli di nuovo, quel giorno, perché doveva andare a pranzo con Suor Clotilda. Clotilda era già quasi convinta di voler far domanda per essere dispensata da alcuni dei suoi voti, e Kayman voleva riprendere la discussione con lei al più presto e il più a lungo e il più spesso possibile.
Poiché aveva una distanza più breve da percorrere, Kayman arrivò ai laboratori insieme a Roger Torraway. Scesero insieme, affidarono le rispettive macchine al sistema del parcheggio e salirono nella briefing room con lo stesso ascensore.
Il vicedirettore T. Gamble de Bell. Mentre si preparava a parlare al personale nella conferenza mattutina, il cyborg era trenta metri più in là, disteso a faccia in giù e nudo. Su Marte avrebbe mangiato soltanto cibi a basso residuo, e in quantità molto ridotta. Sulla Terra era necessario far funzionare almeno al minimo il suo apparato escretorio, nonostante le difficoltà causate dai cambiamenti della pelle e del metabolismo. Hartnett era contento di mangiare, ma odiava gli enemi.
Il direttore del progetto era un generale. Il dirigente scientifico era un illustre biofisico che aveva lavorato con Wilkins e con Pauling: vent’anni prima aveva smesso di occuparsi di scienza e aveva cominciato a fungere da facciata, perché era in quel modo che poteva ricavare maggiori soddisfazioni. Nessuno dei due aveva molto a che fare con l’attività dei laboratori, ma soltanto con i collegamenti tra coloro che lavoravano al progetto e i personaggi estranei che tenevano i cordoni della borsa.
Per quanto riguardava la parte più banale della routine quotidiana, se ne occupava il vicedirettore. Sebbene fosse ancora molto presto, aveva già ricevuto un fascio di appunti e di rapporti, e li aveva anche letti.
— Metti in codice il video — ordinò dal banco, senza alzare la testa. Sul monitor, sopra di lui, il profilo grottesco di Willy Hartnett si spezzò in un fascio di linee, poi nell’effetto neve, poi si ricostruì. (Si vedeva soltanto la testa. I presenti nella briefing room non potevano vedere l’umiliazione che Willy subiva, sebbene quasi tutti lo sapessero benissimo: figurava sul foglio delle attività quotidiane.) L’immagine non era più a colori. La visione era molto più grossolana, e la figura meno ferma. Ma adesso la trasmissione era completamente sicura (nell’eventualità che qualche spia si fosse inserita sul circuito chiuso): e nel rendere l’aspetto di Hartnett, la qualità dell’immagine, dopotutto, comportava ben poche differenze.
— Sta bene, — disse in tono aspro il vicedirettore, — avete sentito Dash, ieri sera. Non è venuto qui in caccia dei vostri voti: vuole che vi diate da fare. E lo voglio anch’io. Non voglio più altri pasticci come il fotoricettore.
Il vicedirettore girò una pagina. — Rapporto del mattino, — lesse. — Il comandante Hartnett funziona benissimo in tutti i sistemi, con tre eccezioni. Primo: il cuore artificiale non reagisce bene agli sforzi prolungati alle basse temperature. Secondo: il sistema CAV riceve piuttosto male nelle frequenze più alte dell’azzurro medio… e questo mi delude molto, Brad, aggiunse, interrompendosi e alzando lo sguardo verso Alexander Bradley, l’esperto dei sistemi percettivi dell’occhio. — Sai benissimo che siamo bloccati sulla banda dell’ultravioletto. Terzo: i collegamenti delle comunicazioni. Abbiamo dovuto ammetterlo, ieri sera, davanti al presidente. A lui non ha fatto piacere, e non fa piacere neppure a me. Il microfono applicato alla gola non funziona. In pratica, non abbiamo collegamenti a voce, alla pressione marziana normale, e se non troviamo una soluzione può darsi che ci troviamo costretti a tornare ai semplici sistemi visuali. Diciotto mesi di lavoro buttati dalla finestra.
Il vicedirettore si guardò intorno e posò gli occhi sullo specialista del cuore. — Bene. E la circolazione?
— È l’accumulazione del calore, — rispose Fineman in tono difensivo. — Il cuore funziona perfettamente. Vuole che lo progetti per condizioni tanto ridicole? Certo, potrei farlo, ma sarebbe alto due metri e mezzo. Aggiustate l’equilibrio termico. La pelle si chiude alle basse temperature e non trasmette. Naturalmente, il livello d’ossigeno nel sangue scende, e naturalmente il cuore accelera. È appunto quel che deve fare. Cosa pretende? Altrimenti a Hartnett verrà una sincope, e magari l’anossia al cervello. E allora, come ci ritroviamo?
Dal monitor, lassù in alto, la faccia del cyborg continuava a guardare impassibile. Aveva cambiato posizione (l’enema era terminato, la padella era stata portata via, e adesso Hartnett si era seduto). Roger Torraway, non troppo interessato a quella discussione che non riguardava la sua specializzazione, fissava pensieroso il cyborg. Si chiese cosa pensava il buon vecchio Willy, nel sentire che parlavano in quel modo di lui. Roger si era procurato gli studi psicologici personali su Hartnett spinto dalla curiosità, ma non li aveva trovati molto esaurienti. Roger era certo di sapere il perché. Tutti loro erano stati sottoposti a tanti test che avevano acquisito in misura considerevole la capacità di rispondere alle domande nel modo preferito dagli esaminatori. Ormai quasi tutti, nei laboratori, dovevano essere arrivati a tanto, di proposito o semplicemente per riflesso condizionato. Sarebbero stati meravigliosi giocatori di poker, pensò: sorridendo, ricordò le sue partite a poker con Willy. Ammiccò al cyborg, alzando i pollici in segno d’incoraggiamento. Hartnett non reagì. Era impossibile capire che cosa vedeva, con quegli occhi sfaccettati.