Quando Alexander Bradley aveva dieci anni aveva perduto il padre e l’occhio sinistro. La domenica dopo la Festa del Ringraziamento la famiglia stava tornando in macchina dalla chiesa. La temperatura era scesa. La rugiada mattutina si era gelata trasformandosi in una pellicola impalpabilmente sottile e viscida sulla strada. Il padre di Brad guidava con prudenza, ma c’erano altre macchine dietro, e macchine sull’altra corsia che venivano dalla direzione opposta; era costretto a mantenere una certa velocità, e rispondeva molto concisamente quando i familiari gli dicevano qualcosa. Era attento, ma forse non abbastanza. Quando avvenne l’incidente non poté fare nulla per evitarlo. A Brad, che sedeva davanti accanto al padre, parve che una station wagon avviata verso di loro a un centinaio di metri di distanza girasse, lentamente e con calma, come se svoltasse a sinistra. Ma lì non c’era una strada in cui poteva svoltare. Il padre di Brad premette il freno e lo tenne schiacciato. La loro macchina rallentò e slittò. E per qualche secondo, il ragazzo vide l’altra macchina slittare di traverso, venire verso di loro. Era un movimento lento e solenne e inevitabile. Nessuno disse nulla: né Brad, né suo padre, né sua madre che stava seduta dietro. Nessuno fece nulla: mantennero le loro pose, irrigiditi, come fossero attori in un quadro vivente della Commissione Nazionale del Traffico. Il padre stava muto e immoto al volante, a fissare l’altra macchina. Il guidatore dell’altra macchina teneva girata la testa verso di loro e li fissava ad occhi sbarrati, con aria interrogativa. Nessuno si mosse, prima dello scontro. Sebbene ci fosse il ghiaccio, l’attrito li faceva rallentare, e non potevano muoversi ad una velocità cumulativa superiore ai quaranta chilometri orari. Ma bastò. I due guidatori rimasero uccisi sul colpo: il padre di Brad trapassato dal piantone del volante, l’altro decapitato. Brad e sua madre, sebbene avessero le cinture di sicurezza, subirono fratture, ematomi e tagli e lesioni interne. La madre perse la mobilità del polso sinistro, il figlio perse un occhio.
Ventitré anni dopo, Brad sognava ancora quell’incidente, come se fosse appena accaduto. Nel sonno gli incuteva un tale panico da fargli perdere la ragione, ed egli si svegliava sudato, piangente, ansimante.
Non c’erano state, però, soltanto le perdite. Brad aveva scoperto che al prezzo di un occhio si potevano acquisire vantaggi considerevoli. C’era l’assicurazione sulla vita di suo padre e per i danni a terzi. Inoltre, la mutilazione gli aveva risparmiato di venire arruolato nell’esercito e gli aveva permesso di entrare nel Corpo dei Marine con un incarico essenzialmente civile, quando aveva voluto acquisire esperienza sul campo nella sua specialità. Inoltre, gli aveva dato un pretesto accettabile per evitare i rischi più stupidi e gli obblighi più noiosi dell’adolescenza. Non era mai stato costretto a dar prova del suo coraggio negli sport violenti ed era sempre stato esentato dalle attività ginniche che più detestava.
E soprattutto, ci aveva guadagnato la possibilità di studiare. L’Assistenza Ragazzi Handicappati del sistema previdenziale del suo Stato gli aveva pagato gli studi, alle superiori, all’università e ai corsi per studenti laureati. L’incidente gli aveva dato quattro lauree e aveva fatto di lui uno dei massimi esperti mondiali dei sistemi percettivi dell’occhio. Nel complesso, si trattava di una transazione favorevole. Ne era valsa la pena, anche mettendo in conto il fattore negativo di una madre che aveva passato gli ultimi anni di vita tra qualche dolore e una estrema irritabilità.
Brad era finito nel Progetto Man Plus perché era il meglio che il governo potesse procurarsi. Aveva deciso di lavorare per il Corpo dei Marines perché soggetti sperimentali (preparati dai mortai, dalle grosse spade e dai bolo) migliori di quelli che si trovavano negli ospedali da campo della Tanzania, del Borneo e di Ceylon era impossibile scovarli. Il suo lavoro era stato notato dalle alte gerarchie militari. Non avevano semplicemente accettato Brad: lo avevano requisito.
In realtà, non era assolutamente certo che il Progetto Man Plus fosse proprio il meglio che lui poteva ottenere. Altre reclute erano state attratte nel programma spaziale grazie all’entusiasmo o agli appelli al dovere. Non appena Brad aveva capito dove intendeva arrivare l’incaricato di Washington, aveva visto schiudersi davanti a sé nuove, grandi possibilità, e anche nuove implicazioni. Era un settore nuovo: sarebbe stato necessario abbandonare certi piani e procrastinarne altri. Tuttavia si rendeva conto di dove poteva arrivare: tre anni trascorsi a creare e perfezionare i sistemi ottici del cyborg. Avrebbe acquisito una fama mondiale. E poi avrebbe abbandonato il programma e sarebbe entrato nei lussureggianti pascoli sconfinati della professione privata. Cento e otto americani su centomila presentavano una perdita praticamente totale delle funzioni di un occhio o di entrambi. In complesso, c’erano più di trecentomila possibili pazienti, ognuno dei quali avrebbe aspirato a farsi curare dal miglior specialista del campo.
Il fatto di lavorare nel programma Man Plus lo avrebbe immediatamente qualificato come lo specialista migliore. Avrebbe potuto avere una clinica tutta sua prima di arrivare ai quarant’anni. Non molto grande: solo quanto bastava per poterla controllare personalmente in tutti i particolari; e a farla andare avanti avrebbe pensato un gruppo di medici istruiti da lui, che avrebbero lavorato sotto la sua direzione. Avrebbe curato, oh, forse cinque o seicento pazienti l’anno… una frazione dell’uno per cento dei pazienti teorici. Quale frazione di quell’uno per cento avrebbe potuto accettare? Almeno per metà dovevano appartenere alla categoria dei più solvibili e dei meglio disposti a pagare. E poi, naturalmente, i casi curati per carità. Almeno cento all’anno: tutto gratis, persino il telefono accanto al letto. E quelli che potevano pagare avrebbero pagato parecchio. La Clinica Bradley (gli sembrava già famosa e ben solida come la «Menninger») sarebbe stata un modello per i servizi medici di tutto il mondo, e gli avrebbe reso un patrimonio.
Non era stata colpa di Bradley, se quei tre anni erano diventati più di cinque. Non era neppure la sua parte del programma che aveva causato i ritardi… almeno, ne aveva causata una minima parte. Comunque, era ancora giovane. Avrebbe lasciato il programma con davanti a sé ancora trent’anni buoni di attività professionale… a meno che decidesse di ritirarsi prima, magari conservando una consulenza e un bel mucchietto di azioni della Clinica Bradley. E poi, lavorare nel programma spaziale dava altri vantaggi: molti suoi colleghi avevano sposato donne bellissime. Bradley non ci teneva a sposarsi, ma gli piaceva occuparsi delle mogli altrui.
Ritornato nel laboratorio di sette stanze dove regnava sovrano, Brad maltrattò a dovere i suoi subordinati per assicurarsi che il nuovo collegamento di mediazione per la retina fosse pronto per il trapianto entro la settimana, e poi diede un’occhiata all’orologio. Non erano ancora le undici. Chiamò Roger Torraway all’intercom e dopo qualche istante riuscì a mettersi in contatto con lui. — Pranziamo insieme, Rog? Vorrei parlare con te di questo nuovo innesto.
— Oh, è un peccato, Brad. Vorrei tanto poterlo fare. Ma sarò nella vasca con Will Hartnett almeno per tre ore. Magari domani.
— Allora grazie, — disse allegramente Brad, e riattaccò. Non era sorpreso: aveva già controllato gli orari di Torraway. Ma era soddisfatto. Disse alla segretaria che usciva per una conferenza e che avrebbe pranzato fuori; sarebbe tornato dopo le due. Poi si fece portare la macchina. E compose le coordinate dell’angolo dell’isolato dove abitava Roger Torraway. Dove abitava Dorrie Torraway.
CAPITOLO QUINTO
IL MOSTRO RITORNA MORTALE
Mentre Brad se ne andava fischiettando, la radio della sua macchina snocciolava le notizie dal mondo. La Decima Divisione di Montagna era stata costretta a ripiegare in un’area fortificata di Riverdale. Un tifone aveva distrutto il raccolto del riso nel Sud-Est asiatico. Il presidente Deshatine aveva dato ordine alla delegazione statunitense di abbandonare il dibattito alle Nazioni Unite sulla divisione delle risorse.