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— Si tratta del dottor Alexander Bradley, — disse Roger. — Deve assolutamente trovarsi qui fra un’ora e il suo reparto non riesce a trovarlo. Il comandante Hartnett è morto e…

La ragazza disse: — Sappiamo del comandante Hartnett. Vuole che le troviamo il dottor Bradley?

— No. Lo cercherò io. Ma immagino che voi possiate dirmi dove debbo cercarlo. So che ci sorvegliate tutti quanti, attività personali e tutto il resto. — Non strizzò l’occhio anche alla ragazza, ma nella propria voce sentì un tono quasi di complicità.

La ragazza lo guardò fisso per un istante. — Probabilmente sarà a…

— Zitta, — esclamò un uomo seduto alla scrivania dietro di lei, in tono sorprendentemente irritato.

Quella scosse il capo, senza guardarlo. — Provi al Chero-Strip Hover Hotel, — disse. — Di solito dà il nome di Beckwith. Le consiglio di telefonare. Ma forse sarebbe meglio che lo facessimo noi…

— Oh, no, — rispose disinvolto Torraway, deciso a riservare a sé quell’incombenza. — È molto importante che gli parli personalmente.

Il giovanotto disse in tono energico: — Dottor Torraway, le consiglio di lasciar fare a noi…

Ma Roger stava già uscendo a ritroso dalla porta, rivolgendo ai presenti un cenno del capo: non ascoltava più. Aveva deciso di non telefonare e di andare in macchina al motel. Era una buona ragione per uscire dal laboratorio, mentre riordinava i suoi pensieri.

Fuori dagli edifici ad aria condizionata del laboratorio, Tonka era diventata sempre più afosa. Il sole penetrava dal parabrezza azzurrato, riempiendo la macchina di Torraway di un calore che sfidava l’impianto di climatizzazione. Roger guidava con i comandi manuali, da inesperto, affrontando le curve in modo così goffo che le ruote slittavano. Il motel era alto quindici piani, tutto di vetro massiccio: sembrava riflettere su di lui la luce del sole, come i guerrieri di Archimede alla difesa di Siracusa. Provò un senso di sollievo quando uscì nel parcheggio sotterraneo e prese la scala mobile per salire nell’atrio.

L’atrio era alto quanto l’edificio, completamente chiuso: le stanze erano disposte tutto intorno, e sopra la testa si incrociavano ponti volanti e gallerie. L’impiegato non aveva mai sentito nominare il dottor Alexander Bradley.

— Provi Beckwith, — suggerì Torraway, porgendogli un biglietto di banca. — Qualche volta fatica a ricordare il suo nome.

Ma fu inutile: l’impiegato non riusciva a rintracciare Brad, o non voleva. Roger uscì con la macchina dal parcheggio, si fermò sotto il sole a picco e rifletté sul da farsi. Fissò, senza vederla in realtà, la piscina che sembrava sdoppiarsi nel movimento d’aria causato dall’impianto di condizionamento d’aria del motel. Probabilmente doveva provare a telefonare a Brad a casa sua, pensò. Avrebbe dovuto farlo finché era nell’atrio: non se la sentiva di tornare indietro. E neppure di chiamare dalla macchina: era un radiotelefono, ed era meglio che la conversazione rimanesse riservata. Poteva andare a casa sua e chiamare da lì, pensò: era questione di una corsa di cinque minuti…

In quel momento Roger si rese conto per la prima volta che doveva riferire a sua moglie quanto era accaduto.

Era un dovere poco piacevole. Dirlo a Dorrie, purtroppo, significava anche dirlo chiaramente a se stesso. Ma Roger aveva un atteggiamento sano nei confronti dell’inevitabile, anche se si trattava di una cosa spiacevole: conservando la neutralità mentale, girò la macchina verso casa e verso Dorrie.

Purtroppo Dorrie non c’era.

La chiamò dal corridoio, fece capolino in sala da pranzo, guardò la piscina dietro la casa, controllò le due stanze da bagno. Dorrie non c’era. Era uscita a far spese, senza dubbio. Era irritante, ma non poteva farci nulla; e stava per lasciarle un biglietto, guardando dalla finestra mentre cercava di trovare le frasi adatte, quando la vide arrivare con la sua micromini a due posti.

Le aprì la porta prima ancora che Dorrie la raggiungesse.

Aveva previsto che lei sarebbe rimasta sorpresa. Ma non aveva previsto che restasse lì inchiodata, con le graziose sopracciglia inarcate e immote, l’espressione impietrita. Sembrava una istantanea di se stessa, colta mentre muoveva un passo.

Torraway disse: — Volevo parlarti. Sono appena arrivato dal Chero-Strip, perché c’è di mezzo anche Brad, ma…

Dorrie si rianimò e disse educatamente: — Entriamo e sediamoci. — Il suo volto era ancora inespressivo, quando si soffermò in corridoio a guardarsi nello specchio. Corresse una sbavatura di trucco sulla guancia, si assestò i capelli e andò in soggiorno senza togliersi il cappellino. — Fuori fa un caldo spaventoso, non è vero? — osservò.

Anche Roger sedette, cercando di riordinare i propri pensieri. L’importante era non spaventarla. Una volta aveva visto un programma televisivo che spiegava come dare le brutte notizie: uno psicologo in caccia di nuovi pazienti e un po’ timoroso di violare l’etica professionale se avesse ingaggiato un uomo-sandwich per farsi pubblicità, partecipava alla trasmissione nella speranza di catturare qualche cliente viva per la sua anticamera. Mai essere troppo bruschi, diceva. Date all’interessato il tempo di prepararsi. Dategli la notizia un poco alla volta.

Allora Roger aveva pensato che fosse una cosa buffa; ricordava di averlo raccontato a Dorrie… Tesoro, hai la carta di credito?… Ecco, ti servirà per comprare l’abito nero… L’abito nero per il funerale… Il funerale che dovremo seguire, e immagino che ci terrai a fare bella figura, per la morta… Bene, dopotutto, era cara vecchietta. E sai che non sapeva guidare molto bene. Quelli della polizia dicono che non ha sofferto, dopo che è andata a sbattere contro il camion. Tuo padre l’ha presa con molto coraggio. Ne avevano riso, tutti e due.

— Continua, ti prego, — disse invitante Dorrie, prendendo una sigaretta da una scatola sul tavolino. Quando l’accese, Roger vide la fiamma a butano vacillare, e sbalordì, accorgendosi che le tremava la mano. Ne fu stupito, e un po’ compiaciuto: evidentemente, Dorrie si preparava a una brutta notizia. Era sempre stata così sensibile, pensò ammirato, e intuitiva. E adesso che lei era pronta, si buttò.

— Si tratta di Willy Hartnett, cara, — disse dolcemente. — Questa mattina qualcosa non ha funzionato e…

S’interruppe, aspettando che Dorrie capisse; ma lei non sembrava preoccupata: perplessa, piuttosto.

— È morto, — fece laconico Torraway, e tacque, per lasciare che quell’annuncio giungesse a segno.

Sua moglie annuì, pensierosa. Non aveva capito, si disse Roger, con un senso di rammarico. Non aveva capito. Aveva provato simpatia per Willy, ma non gridava, non piangeva, non dimostrava la minima emozione.

Concluse la frase, rinunciando a ogni tatto: — E naturalmente, questo significa che ora tocca a me, — disse, cercando di parlare adagio. — Gli altri ne sono fuori; ricorderai, te l’avevo detto. Perciò sono io quello che vogliono, uhm, preparare per la missione su Marte.

L’espressione del volto di Dorrie lo sconcertò. Era fragile, apprensiva, quasi come se lei si fosse aspettata qualcosa di peggio e non fosse ancora sicura che il peggio non accadesse. Roger disse, spazientito: — Non hai capito quel che ho detto, cara?

— Ma sì. E… beh, è un po’ difficile da accettare. — Egli annuì, soddisfatto, e Dorrie proseguì. — Ma sono così confusa. Non avevi cominciato a dire qualcosa a proposito di Brad e del Chero-Strip?