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— Attendiamo che arrivino anche gli altri, — disse.

Quando arrivarono Brad e Freeling, tutte le conversazioni cessarono, come se qualcuno avesse tolto la corrente. — Adesso possiamo incominciare, — scattò Jed Griffin, e il suo tono preoccupato non sfuggì a nessuno dei presenti, che condividevano le sue ansie: — Voi non sapete, — disse, — quanto sia vicina la possibilità che questo progetto venga chiuso, e non parlo dell’anno o il mese prossimo, oppure che venga ridotto o ridimensionato. Finito.

Roger Torraway distolse lo sguardo da Brad e lo fissò su Griffin.

— Finito, — ripeté quello. — Liquidato.

Sembrava che dirlo fosse una soddisfazione per lui, pensò Torraway.

— E l’unica cosa che l’ha salvato, — continuò Griffin, — è stato questo. — Batté sul tavolo ovale un fascio ripiegato di nastro verdognolo da computer. — L’opinione pubblica americana vuole che il progetto continui.

Torraway si sentì stringere il cuore, e solo in quel momento capì quanto era stato pronto ed intenso il senso di speranza che l’aveva preceduto. Per un attimo, aveva avuto l’impressione che gli fosse giunta la grazia.

Il vicedirettore si schiarì la gola. — Mi era parso, — disse, — che i sondaggi dimostrassero una considerevole… uhm, una considerevole apatia nei confronti di quanto stavamo facendo.

— I risultati preliminari, sì, — annuì Griffin. — Ma quando sommate tutti i dati e li fate analizzare dal computer, ci si trova di fronte a una forte approvazione su scala nazionale. È vero. Significativo entro il valore di due sigma, mi pare che diciate voi. Il popolo vuole che un americano riesca a vivere su Marte.

— Tuttavia, — aggiunse ancora, — era così prima di questo ultimo fiasco. Dio sa cosa succederebbe se si risapesse. L’amministrazione non vuole un insuccesso da giustificare. Vuole un successo. Non posso dirvi quanto dipenda da questo programma.

Il vicedirettore si rivolse a Freeling. — Dottor Freeling? — fece. Freeling si alzò. — Willy Hartnett è morto di un colpo, — disse. — Il referto autoptico completo non è ancora stato copiato a macchina, ma ecco di cosa si tratta. Non vi sono tracce di deterioramento organico: alla sua età e nelle sue condizioni, non me lo aspettavo neppure. Quindi è stato un trauma. Una tensione eccessiva perché i vasi sanguigni del suo cervello potessero sopportarla. — Si fissò con aria meditabonda le punte delle dita. — Il resto è costituito da congetture, — disse, — ma è il meglio che io posso fare. Chiederò un consulto con Ripplinger della Facoltà di Medicina di Yale e Anford…

— Un accidente, — scattò Griffin.

— Prego? — Freeling era stato colto alla sprovvista.

— Niente consulti. Prima è necessaria l’autorizzazione dei servizi di sicurezza. E questa è una faccenda urgentissima, dottor Freeling.

— Oh. Ecco… allora dovrò assumermi personalmente la responsabilità. La causa del trauma è stato l’eccesso di input. Hartnett era sovraccarico. Non ce l’ha fatta.

— Non ho mai sentito che una cosa del genere potesse causare un colpo, — protestò Griffin.

— Sì, lo stress deve essere molto forte. Però succede. E qui siamo alle prese con uno stress di tipo nuovo, Mr. Griffin. È come… beh, ecco un’analogia. Se lei avesse un figlio nato con le cataratte congenite, lo porterebbe da un medico, e il medico gliele asporterebbe. Tuttavia, l’intervento dovrebbe venire compiuto prima che suo figlio raggiungesse la pubertà: prima che smettesse di crescere, internamente ed esteriormente, vede. Se non facesse eseguire l’intervento prima di allora, tanto varrebbe che lo lasciasse cieco. I ragazzi che sono stati operati di cataratte di quel tipo all’età di tredici o quattordici anni, infatti, dal punto di vista storico presentano in comune un fenomeno interessante. Si suicidano prima di arrivare ai vent’anni.

Torraway si sforzava di seguire la conversazione, ma non vi riusciva troppo bene. Provò un senso di sollievo quando intervenne il vicedirettore. — Non capisco cosa c’entri questo con Will Hartnett, Jon.

— Anche in quel caso, è questione di eccesso di input. Nei ragazzi che hanno subito l’intervento per eliminare le cataratte, sembra si produca il disorientamento. Ricevono nuovi inputs, e non hanno sviluppato un sistema per farsene qualcosa. Se la vista c’è fin dalla nascita, la corteccia visiva sviluppa sistemi in grado di guidarla, mediarla e interpretarla. Altrimenti, tali sistemi non si sviluppano, ed è troppo tardi per farli evolvere.

«Ritengo che il guaio di Willy fosse questo: noi gli davamo degli inputs, e lui non aveva i meccanismi necessari. Era troppo tardi per svilupparne uno. Tutti i dati in arrivo lo inondavano: la tensione ha spezzato un vaso sanguigno. Inoltre, — proseguì, — credo che accadrà lo stesso a Roger. qui, se faremo la stessa cosa anche a lui.»

Griffin si voltò a lanciare un breve sguardo scrutatore su Roger Torraway. Torraway si schiarì la gola, ma non disse nulla. Non gli sembrava che fosse il caso di dire qualcosa. Griffin chiese: — Cosa mi stava spiegando, Freeling?

Il dottore scosse il capo. — Soltanto quel che ho detto. Io posso indicarle cos’è che non va: spetta a qualcun altro indicarle come si può rimediare. Non credo che si possa rimediare. Voglio dire, dal punto di vista medico. Prenda un cervello: quello di Willy o di Roger. È cresciuto come un apparecchio radioricevente. E adesso lei vi inserisce immagini televisive. Non sa più come fare.

Nel frattempo, Brad aveva continuato a scarabocchiare, alzando di tanto in tanto gli occhi con un’espressione interessata. Riabbassò lo sguardo sul blocco degli appunti, scrisse qualcosa, lo fissò pensoso, riprese a scrivere, mentre l’attenzione di tutti i presenti si volgeva su di lui.

Finalmente il vicedirettore disse: — Brad? A quanto pare, tocca a te.

Brad alzò la testa e sorrise. — Sto proprio lavorando su questo, — disse.

— Sei d’accordo con il dottor Freeling?

— Non c’è dubbio. Ha ragione lui. Non possiamo immettere input grezzi in un sistema nervoso che non è attrezzato per mediarli e per tradurli. Sono meccanismi che nel cervello non esistono, a meno che prendiamo un bambino appena nato e lo ricostruiamo, in modo che il cervello possa sviluppare i fattori necessari.

— Intendi proporre di attendere una nuova generazione di astronauti? — chiese Griffin.

— No. Propongo di costruire in Roger dei circuiti mediatori. Non semplicemente input sensoriali. Filtri, traduttori… mezzi per interpretare gli input, la vista attivata da diverse lunghezze d’onda dello spettro, il senso cinestetico dai nuovi muscoli… tutto. Ecco, — disse, — permettetemi di fare un passo indietro. Qualcuno di voi sa qualcosa di McCulloch e Lettvin e l’occhio di rana? — Si guardò intorno. — Sicuro, Jonny, tu lo sai, e lo sanno anche due o tre degli altri. Sarà meglio che ne parli un momento. Il sistema percettivo della rana, non soltanto l’occhio, filtra ed esclude ciò che non è importante. Se un insetto passa davanti all’occhio della rana, l’occhio lo percepisce, i nervi trasmettono l’informazione, il cervello reagisce ad essa, e la rana mangia l’insetto. Se, poniamo, una piccola foglia cade davanti alla rana, questa non la mangia. Non è che decide di non mangiarla. Non la vede. L’immagine si forma nell’occhio, certamente, ma l’informazione viene lasciata cadere prima che giunga al cervello. Il cervello non diviene mai conscio di quel che l’occhio ha visto, perché non è necessario. Per una rana non è importante sapere se ha di fronte una foglia o no.