Ma voleva pensare a qualcosa che si trovava sulla linea di demarcazione della zona di pericolo; come mai il rossore che aveva invaso la faccia di Clara alla sua domanda era così simile all’improvviso chiarore che era apparso sul viso di Brad quando gli aveva chiesto se aveva visto Dorrie.
La mattina dopo eravamo completamente mobilitati per controllare i circuiti, inserire gli «stand-by», provvedere a che i relè automatici fossero sintonizzati per intervenire al minimo accenno di disfunzione. Brad arrivò alle sei in punto, debole, ma con la mente lucida, pronto a mettersi al lavoro. Weidner e Jon Freeling arrivarono pochi minuti dopo di lui, sebbene il lavoro primario, per quel giorno, spettasse a Brad: non erano capaci di stare lontani. Kathleen Doughty era presente, ovviamente, come era stata presente ad ogni fase: non perché glielo imponesse il dovere, ma perché così voleva il suo cuore. — Non fate soffrire troppo il mio ragazzo, — ringhiò, stringendo tra i denti la sigaretta. — Avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile, quando comincerò io a lavorarmelo, la settimana prossima.
Pesando ogni sillaba, Bradley disse: — Kathleen, io farò del mio meglio.
— Già, lo so, Brad. — La donna spense la sigaretta e ne accese immediatamente un’altra. — Non ho mai avuto figli, e credo che Roger e Willy fossero diventati come figli, per me.
— Sicuro, — borbottò Brad, che non l’ascoltava più. Non era autorizzato a toccare il 3070 o le altre unità ancillari. Poteva solo stare a guardare mentre i tecnici e i programmatori eseguivano il loro lavoro. Quando il terzo controllo era ormai quasi completato, senza che niente andasse storto, Brad uscì finalmente dalla sala del computer e salì tre piani in ascensore, per raggiungere la stanza di Roger.
Si soffermò davanti alla porta a respirare per un momento, e poi aprì l’uscio con un sorriso. — Sei quasi pronto per innestarti, ragazzo mio, — disse. — Te la senti?
Gli occhi d’insetto si volsero verso di lui. La voce inespressiva di Roger disse: — Non so cosa dovrei sentire. Mi sento soprattutto spaventato.
— Oh, non è proprio il caso di spaventarsi. Oggi, — si corresse in fretta Brad, — dobbiamo semplicemente collaudare la mediazione.
Le ali da pipistrello fremettero e cambiarono posizione. — E questo mi ucciderà? — chiese la voce monotona fino all’esasperazione.
— Oh, andiamo, Roger! — Brad s’incollerì di colpo.
— È solo una domanda, — scandì la voce.
— È una domanda idiota! Ascolta: so quello che provi…
— Ne dubito.
Brad s’interruppe e studiò la faccia impenetrabile di Roger. Dopo un attimo disse: — Ricominciamo dall’inizio. Quello che farò io non sarà ucciderti, bensì tenerti in vita. Sicuro, tu pensi a quanto è accaduto a Willy. A te non succederà. Sarai in grado di dominare quello che avviene… qui, e su Marte, dov’è importante.
— È importante per me, qui, — disse Roger.
— Oh, per l’amor di Dio. Quando il sistema funzionerà, tu vedrai e udrai soltanto quello che è necessario, capisci? O quello che vorrai. Disporrai di un controllo volitivo considerevole. Sarai in grado…
— Non so neppure chiudere ancora gli occhi, Brad.
— Imparerai. Sarai in grado di utilizzare tutto. Ma non potrai farlo se non cominciamo. Poi questi apparecchi escluderanno tutti i segnali superflui, in modo che tu non ti confonda. È questo che ha ucciso Willy: la confusione.
Una pausa, mentre dietro la faccia grottesca il cervello rimuginava. Alla fine, tutto ciò che Roger disse fu: — Hai una gran brutta cera, Brad.
— Mi dispiace. In verità, non sto molto bene.
— Sei sicuro di essere in condizioni di farcela?
— Sono sicuro. Ehi, Roger, ma cosa stai dicendo? Vuoi rimandare?
— No.
— Beh, e allora cosa vuoi?
— Vorrei saperlo, Brad. Continua.
Ormai eravamo pronti; le luci verdi del «via» lampeggiavano già da parecchi minuti. Brad alzò le spalle e disse imbronciato all’infermiera: — Cominciamo.
Poi, per dieci ore, i circuiti di mediazione vennero messi in fase uno ad uno, collaudati, regolati, mentre Roger provava i suoi nuovi sensi sulle proiezioni delle macchie di Rorschach e delle ruote colorate di Maxwell. Per Roger, la giornata volò. Il suo senso del tempo non era molto attendibile. Non era più regolato dagli orologi biologici innati in ciascuno, bensì dalle componenti meccaniche; queste rallentavano la sua percezione del tempo quando non vi era una situazione di stress, l’acceleravano quando era necessario. — Rallentate, — implorava Roger, guardando le infermiere che gli sfrecciavano accanto veloci come proiettili. E poi quando Brad, che ormai cominciava a tremare per la stanchezza, rovesciò un vassoio d’inchiostri e di pastelli, a Roger parve che quegli oggetti scendessero fluttuando verso il pavimento. Non ebbe difficoltà ad afferrare al volo due bottiglie d’inchiostro e lo stesso vassoio prima che toccassero terra.
Quando vi ripensò, più tardi, si rese conto che si trattava degli oggetti che si sarebbero potuti rompere. Aveva lasciato cadere i pastelli di cera. In quella frazione di secondo in cui aveva avuto una possibilità di scelta, aveva scelto di afferrare gli oggetti che bisognava afferrare e aveva lasciato perdere gli altri, senza accorgersi di quanto aveva fatto.
Brad era molto soddisfatto. — Sei stato grande, ragazzo mio, — disse, aggrappandosi ai piedi del letto. — Ora me ne vado a dormire un po’, ma domani verrò a trovarti dopo l’intervento chirurgico.
— L’intervento? Quale intervento?
— Oh, — disse Brad. — Un semplice ritocco. Roba da nulla, in confronto a quello che hai già passato, credimi. D’ora innanzi, — disse, voltandosi per uscire, — hai finito di nascere: ora non devi far altro che crescere. Esercitarti. Imparare a servirti di quello di cui disponi. La parte più difficile è superata. Hai imparato a interrompere la vista quando vuoi?
— Brad, — risuonò la voce inespressiva, più sonora ma egualmente grigia, — che cosa diavolo vuoi da me? Io ci provo!
— Lo so, — fece Brad, conciliante. — Ci vediamo domani.
Per la prima volta, quel giorno, Roger fu lasciato solo. Sperimentò i suoi nuovi sensi. Si rendeva conto che potevano essergli molto utili in situazioni di sopravvivenza. Ma lo confondevano moltissimo. Tutti i piccoli suoni della vita quotidiana erano ingigantiti. Sentiva Brad, in corridoio, parlare con Jonny Freeling e le infermiere che smontavano di servizio. Sapeva che con le orecchie dategli da sua madre non avrebbe percepito neppure un brusio: ma adesso poteva distinguere le parole a volontà: — … anestesia locale, ma non voglio. Voglio che non si accorga di niente. Ha già abbastanza traumi da sopportare. — Era Freeling, che parlava a Brad.
Le luci erano più brillanti. Roger tentò di ridurre la sensibilità della propria vista, ma non accadde nulla. Quello che gli occorreva, pensò, era solamente una di quelle lampadine minuscole, da albero di Natale. C’era molta luce: quell’intensa luminosità era sconcertante. Inoltre, osservò, le luci erano ritmiche, da impazzire: riusciva a percepire ogni pulsazione della corrente a sessanta Hertz. All’interno dei tubi fluorescenti osservò il contorcersi di un fulgido serpente di gas. Le lampade a incandescenza, d’altra parte, erano quasi buie, a parte i filamenti brillanti al centro, che egli poteva esaminare dettagliatamente. Non provava l’impressione di sforzarsi gli occhi, anche quando guardava la luce più intensa.
Udì una voce nuova, in corridoio, e aguzzò l’udito per ascoltare: Clara Bly, che era venuta a prendere servizio per il turno di notte: — Come va il paziente, dottor Freeling?
— Benissimo. Mi sembra riposato. Ha dovuto dargli un sonnifero, ieri notte?