— Lo chiedo a lei. Scanyon ha detto qualcosa a proposito di «mattia dei preti», e lei è un prete.
Don Kayman sogghignò. — È una vecchia espressione, e rìsale ai tempi in cui tutti i preti erano celibi. Ma sì, posso spiegarglielo: ne parlavamo spesso in seminario. La prostata produce fluido… non molto, poche gocce al giorno. Se un uomo non ha eiaculazioni, quasi tutto esce insieme all’orina, ma se è eccitato sessualmente, se ne produce di più, e non tutto esce. Si accumula, e la congestione causa guai.
— Perciò gli hanno asportato la prostata.
— E hanno innestato una capsula di steroidi, signor presidente. Torraway non diventerà effemminato. Fisicamente, ora è un eunuco ben compensato… Oh, volevo dire un’unità ben compensata.
Il presidente annuì. — È quel che chiamano un lapsus freudiano.
Kayman scrollò le spalle.
— E se lei la pensa così, — insistette Deshatine, — cosa diavolo crede che pensi Torraway?
— So che per lui non è facile, signor presidente.
— A quanto ne so, — proseguì Dash, — lei non è soltanto un areologo, Don; è anche consulente matrimoniale. E non va molto bene, vero? Quella sgualdrinella della moglie di Torraway sta facendo soffrire il nostro ragazzo.
— Dorrie ha molti problemi.
— No. Dorrie ha un problema. Lo stesso problema che abbiamo tutti. Sta affossando il nostro progetto marziano, e non possiamo permettere che questo avvenga. Lei può rimetterla in carreggiata?
— No.
— Beh, non pretendo che la renda perfetta. Avanti, Don! Voglio dire, non può metterla un po’ tranquilla, almeno quanto basta perché Torraway non abbia altri traumi? Non so, dargli un bacio e una promessa, mandargli una lettera d’amore per San Valentino quando lui sarà su Marte… Dio sa che Torraway non pretende di più, ormai. Ma a questo ha diritto.
— Posso tentare, — disse Kayman, poco convinto.
— E ho intenzione di parlare anche con Brad, — fece torvo il presidente. — L’ho detto a lei, l’ho detto a tutti, questo progetto deve realizzarsi. Non mi interessa se qualcuno ha il raffreddore di testa o se qualcun’altra ha le mutandine che scottano. Io voglio Torraway su Marte, e voglio che ci vada contento.
L’aereo virò per cambiare rotta, allontanandosi dal traffico intorno a New Orleans, e un baluginio di sole mattutino brillò sulla superficie oleosa del Golfo. Il presidente socchiuse gli occhi, guardandolo irritato. — Padre, mi permetta di dirle quello che penso. Sono convinto che Roger preferirebbe piangere sua moglie morta in un incidente di macchina piuttosto di doversi preoccupare di quello che lei può combinare quando non lo ha intorno. Non mi piace pensare queste cose. Ma ho poche possibilità di scelta, Kayman, e sono costretto a scegliere il male minore. E adesso, — aggiunse, con un sorriso inatteso, — ho qualcosa per lei, da parte di Sua Santità. È un dono: lo guardi.
Stupito, Kayman aprì la scatola purpurea. Conteneva un rosario, annidato sul velluto purpureo nell’astuccio di pelle. I grani delle Avemaria erano d’avorio, intagliati in forma di boccioli di rosa; quelli del Paternoster erano di cristallo intarsiato. — Ha una storia interessante, — spiegò il presidente. — Fu inviato a Ignazio Loyola da una delle sue missioni in Giappone, e poi rimase in Sud America per duecento anni con le… come dite, voi? … le Riduzioni del Paraguay? È un autentico pezzo da museo, ma Sua Santità ha voluto donarlo a lei.
— Non… non so cosa dire, — balbettò Kayman.
— E il papa l’ha benedetto. — Il presidente si appoggiò alla spalliera: sembrava invecchiato di colpo. — Lo usi nelle sue preghiere, padre, — disse. — Io non sono cattolico. Non so cosa pensi lei di queste cose. Ma le chiedo di pregare perché Dorrie Torraway metta la testa a posto quanto basta per tener tranquillo per un po’ suo marito. E se non servirà a niente, allora lei farà meglio a pregare per tutti noi.
Quando ritornò nella cabina principale, Kayman si legò con la cintura di sicurezza al sedile e si impose di dormire per l’ora di volo che ancora restava prima dell’arrivo a Tonka. Lo sfinimento ebbe la meglio sulla preoccupazione, ed egli si assopì. Non era il solo a preoccuparsi. Noi non avevamo valutato esattamente il trauma che Roger Torraway avrebbe subito per l’asportazione dei genitali, e per poco non l’avevamo perduto.
Era una disfunzione critica. Non si poteva correre di nuovo un simile rischio. Avevamo già organizzato un’assistenza psichiatrica per Roger; e a Rochester il computer portatile veniva provveduto di nuovi circuiti, per sorvegliare le tensioni psichiche e per reagire prima che le sinapsi umane di Roger, più lente, potessero causare convulsioni.
La situazione mondiale si evolveva secondo le previsioni. New York City era naturalmente in preda ai disordini, nel Medio Oriente la pressione si accumulava rischiando di saltare, e la Nuova Asia Popolare lanciava furiosi appelli denunciando il massacro dei calamari del Pacifico. Il pianeta si andava avvicinando rapidamente alla massa critica. Secondo le nostre proiezioni, il futuro della razza era in dubbio, sulla Terra, di lì a due anni. Noi non potevamo permetterlo. Lo sbarco su Marte doveva riuscire.
Quando Roger uscì dallo stordimento, dopo la crisi, non si rese conto di essere stato sul punto di morire: si rese conto soltanto di essere stato ferito in tutte le sue parti più sensibili. Era la desolazione: la desolazione più squallida e disperata. Non soltanto aveva perso Dorrie; aveva perduto la sua virilità. La sofferenza era troppo grande per alleviarla con il pianto, anche se egli avesse potuto piangere. Era il tormento di un intervento dentistico senza anestesia, così acuto che non costituiva più un avvertimento, ma solo un fattore ambientale, qualcosa da subire e sopportare.
La porta si aprì, ed entrò un’infermiera nuova. — Salve. Vedo che è sveglio.
Si avvicinò e gli posò le dita tepide sulla fronte. Sono Sulie Carpenter, — disse. — In realtà il mio nome è Susan Lee, ma mi chiamano Sulie. — Ritrasse la mano e sorrise. — Lei pensa che dovrei saperne abbastanza per non cercare di sentire se ha la febbre, vero? So già che figura sui monitor, ma penso di essere una ragazza all’antica.
Torraway la udiva appena: era assorto a guardarla. Era uno scherzo dei circuiti mediatori? Alta, con gli occhi verdi e i capelli scuri: somigliava tanto a Dorrie che egli tentò di cambiare il campo visivo dei grandi occhi d’insetto, zumando sui pori della pelle spruzzata di lentiggini, alterando il valore dei colori, riducendo la sensibilità, in modo che lei sembrasse svanire in un crepuscolo. Tutto inutile. Somigliava egualmente a Dorrie.
Sulie si mosse per controllare i monitor a muro. — Va davvero molto bene, colonnello Torraway, — disse, girando la testa. — Tra poco le porterò il pranzo. Vuole qualcosa, adesso?
Roger si scosse e si rialzò a sedere: — Niente che io possa avere, — disse amaramente.
— Oh, no, colonnello! — Gli occhi della donna erano sgomenti. — Voglio dire… beh, mi scusi. Non ho il diritto di parlarle così. Ma santo Dio, colonnello, se al mondo c’è qualcuno che può avere tutto ciò che desidera, quello è lei!
— Vorrei pensarla così anch’io, — borbottò Roger; ma la osservava attentamente, curiosamente, e sentiva qualcosa… qualcosa che non riusciva a identificare, ma che non era la sofferenza da cui era stato travolto solo pochi istanti prima.
Sulie Carpenter diede un’occhiata al suo orologio, poi accostò una sedia. — Mi sembra giù di corda, colonnello, — disse in tono comprensivo. — Capisco che tutto questo sia difficile da accettare.
Roger distolse lo sguardo verso le grandi ali nere che ondeggiavano lentamente sopra la sua testa. Poi disse: — Ha i suoi lati brutti, mi creda. Ma sapevo che cosa mi aspettava.