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Dorrie era alta quasi come Roger: era bruna per scelta, e aveva gli occhi verdi per natura. Prese dalla valigia una spazzola e gli pulì la schiena e le maniche della giacca, poi toccò con la lattina della Coca quella di lui e bevve. — Sarà meglio che andiamo, — disse. — Sei splendido.

— E tu desiderabile, — disse Roger, posandole una mano sulla spalla.

— Mi sono data ora il rossetto, — rispose lei, girando la testa e concedendogli di baciarla sulla guancia. — Ma mi fa piacere constatare che le señoritas non ti hanno consumato del tutto.

Roger ridacchiò gaiamente: scherzavano sempre, fingendo che lui andasse a letto con una ragazza diversa in ogni città. Quello scherzo gli faceva piacere. Ma non era vero. I suoi due o tre tentativi di adulterio erano stati più squallidi e fastidiosi che soddisfacenti; ma amava considerarsi un uomo la cui moglie dovesse preoccuparsi delle attenzioni delle altre donne. — Non facciamo aspettare il presidente, — disse. — Pagherò il conto mentre tu prendi la macchina.

In realtà, non fecero aspettare il presidente: dovettero passare più di due ore prima che riuscissero a vederlo.

Roger era abituato, in generale, a venir perquisito, poiché gli era già accaduto altre volte. Non era solo il presidente degli Stati Uniti che prendeva precauzioni al duecento per cento per timore di finire assassinato, di quei tempi. Roger aveva impiegato un giorno intero per venir ricevuto dal papa; e una guardia svizzera armata di Beretta gli era rimasta alle spalle per tutto il tempo che lui si era trattenuto nello studio del pontefice.

Per il briefing era presente una buona metà degli alti papaveri del laboratorio. Il salone dei dirigenti era stato pulito e lucidato per l’occasione e non sembrava più lo stesso. Persino le lavagne e i tovaglioli di carta erano spariti. Agli angoli erano stati eretti paraventi pieghevoli, e le veneziane delle finestre più vicine erano state discretamente abbassate: era per le perquisizioni, Roger lo sapeva. Quindi avrebbero avuto colloqui con gli psichiatri. Poi, se tutti avessero superato l’esame, se non si fossero scoperte siringhe letali camuffate da spilloni per cappelli e se non fossero emerse manie omicide, sarebbero stati ammessi tutti nell’auditorio, e lì li avrebbe raggiunti il presidente.

Quattro agenti del servizio segreto partecipavano al compito di frugare, perquisire, identificare e controllare con i magnetometri gli ospiti maschi, sebbene soltanto due di essi vi avessero parte attiva. Gli altri due si limitavano a restarsene lì, presumibilmente pronti a sfoderare le pistole e a sparare, se fosse stato necessario. Alcune donne del Servizio segreto (venivano chiamate «segretarie,» ma Roger vide benissimo che erano armate di pistola) perquisirono le mogli e Kathleen Doughty. Le donne venivano perquisite dietro uno dei paraventi che arrivavano all’altezza delle spalle, ma Roger poté leggere dall’espressione del viso di sua moglie i movimenti delle mani curiose. A Dorrie non piaceva sentirsi toccare dagli estranei. Qualche volta non le piaceva essere toccata comunque, ma in particolare dagli estranei.

Quando venne il turno di Roger, comprese la fredda collera che aveva scorto in faccia a sua moglie. Furono eccezionalmente meticolosi. Gli frugarono sotto le ascelle. Gli slacciarono la cintura e frugarono nella fenditura tra le natiche. Gli palparono i testicoli. Tirarono fuori tutto ciò che aveva nelle tasche: il fazzoletto del taschino venne spiegato e scosso e rapidamente ripiegato, più in ordine di prima. La fibbia della cintura e il cinturino dell’orologio vennero studiati con una lente.

Subirono tutti lo stesso trattamento, persino il direttore, che si guardava intorno con aria di gioviale sopportazione mentre le dita degli agenti gli frugavano il pelo sotto le braccia. L’unica eccezione fu Don Kayman, che aveva indossato la tonaca per l’occasione, e che, dopo una breve discussione sottovoce, fu scortato in un’altra stanza per togliersela. — Ci scusi, padre, — disse la guardia. — Ma sa com’è.

Don alzò le spalle, se ne andò con l’agente e tornò poco dopo, irritato. Anche Roger cominciava a irritarsi. Sarebbe stato più ragionevole, pensò, mandarli dagli psichiatri via via che le perquisizioni venivano completate. Dopotutto, erano personaggi importanti, e il loro tempo valeva parecchio danaro. Ma il Servizio segreto aveva i suoi sistemi e procedeva per stadi. Soltanto quando tutte le perquisizioni finirono, il primo gruppo di tre persone venne condotto nella sala delle dattilografe, evacuata apposta per lasciare spazio ai colloqui.

Lo psichiatra di Roger era ufficialmente negro: in realtà aveva una carnagione color caffelatte. Sedettero su due normali sedie; tra le loro ginocchia c’erano cinquanta centimetri. Lo psichiatra disse: — Cercherò di rendere il colloquio breve e indolore il più possibile. I suoi genitori sono vivi?

— No, sono morti tutti e due. Mio padre due anni fa, mia madre quando ero ancora studente.

— Che lavoro faceva suo padre?

— Noleggiava barche da pesca in Florida. — Con metà della sua mente, Roger descrisse la rimessa delle barche a Key Largo, mentre con l’altra metà manteneva su se stesso quella sorveglianza che durava ventiquattro ore su ventiquattro. Dimostrava abbastanza irritazione nel venire interrogato in quel modo? O ne dimostrava troppa? Era abbastanza rilassato? O più del necessario?

— Ho visto sua moglie, — disse lo psichiatra. — Una donna molto sexy. Le dispiace se lo dico?

— No, affatto, — rispose Roger, esasperato.

— Certi bianchi non sopporterebbero di sentirlo dire da me. Lei cosa prova?

— Lo so, che mia moglie è sexy, — scattò Roger. — È per questo che l’ho sposata.

— Le dispiacerebbe se mi spingessi ancora più oltre e le chiedessi come vanno i rapporti sessuali?

— No, naturalmente no… beh, diavolo. Sì, mi dispiace, — disse rabbioso Roger. — Vanno più o meno come quelli di tutti gli altri, credo. Dopo qualche anno di matrimonio.

Lo psichiatra si appoggiò alla spalliera della sedia, e guardò pensoso Roger. Poi disse: — Nel suo caso, dottor Torraway, questo colloquio è più che altro una formalità. Lei è stato sottoposto a controlli trimestrali durante gli ultimi sette anni, e ogni volta i risultati sono stati normali. Non c’è nulla di violento o di instabile nella sua cartella clinica. Mi permetta solo di chiederle se si sente a disagio all’idea di incontrare il presidente.

— Ho un po’ di soggezione, forse, — rispose Roger, cambiando marcia.

— È abbastanza naturale. Lei ha votato per Dash?

— Sicuro… ehi, aspetti un momento. Questo non è affar suo.

— Giusto, dottor Torraway. Può tornare in sala, adesso.

In effetti non lo lasciarono tornare nella stessa sala, ma in una delle salette da riunione più piccole. Kathleen Doughty lo raggiunse quasi subito. Lavoravano insieme da due anni e mezzo, ma lei usava ancora toni molto formali: — Sembra che abbiamo superato l’esame, dottor colonnello Torraway, — disse, e fissò come al solito lo sguardo su di un punto sopra la spalla sinistra di lui, tenendo tra loro la sigaretta. — Ah, bene, un piccolo rinfresco, — aggiunse, e allungò la mano.

Un cameriere in livrea (no, si disse Roger, un agente del Servizio segreto in livrea da cameriere) offriva un vassoio carico di bicchieri. Roger prese un whiskey and soda, la grossa protesiologa accettò un bicchierino di sherry secco. — Lo beva tutto, — bisbigliò, rivolgendosi alla schiena di Roger. — Credo che ci abbiano messo dentro qualcosa.