— Cosa? Oh, diavolo, no certo, signor presidente.
— Grazie. — Il valletto porse con una mano un portasigarette aperto e con l’altro l’accendino già splendente, non appena il presidente fece un cenno. Poi questi trasse una profonda boccata e si appoggiò alla spalliera della sedia. — Roger, — disse, — mi consenta di confidarle una mia fantasia su ciò che forse lei sta pensando. Lei pensa: «Ecco qui il vecchio Dash, politicante fino alle ossa, che sciorina retorica e promesse, e cerca di convincermi a tirargli fuori le castagne dal fuoco. Sarebbe disposto a dire qualunque cosa, a promettere qualunque cosa. Vuole solo tutto ciò che può ottenere da me.» Ci sono andato abbastanza vicino, finora?
— Ma… no, signor presidente! Beh… un po’.
Il presidente annuì. — Sarebbe pazzo, se non la pensasse così, — disse apertamente. — È tutto vero, sa. Fino a un certo punto. È vero che sarei disposto a prometterle qualunque cosa, a dirle tutte le bugie che mi venissero in mente, pur di mandarla su Marte. Ma è vera anche un’altra cosa: lei ci tiene tutti in pugno, Roger. Abbiamo bisogno di lei. Scoppierà presto una guerra se non facciamo qualcosa per impedirlo: ed è assurdo, ma le proiezioni delle tendenze dimostrano che l’unica cosa per impedirlo è mandare lei su Marte. Non mi domandi perché. Io mi baso su ciò che mi dicono i tecnici, e costoro affermano che i risultati elaborati dai computer sono questi.
Le ali di Roger si agitavano inquiete, ma gli occhi erano fissi sul presidente.
— Quindi, vede, — disse pesantemente Deshatine, — io mi autonomino suo dipendente, Roger. Mi dica cosa vuole. E io farò in modo che lei lo abbia. Può alzare quel ricevitore in qualunque momento, giorno o notte: la metteranno in comunicazione con me. Se dormo, può svegliarmi, se crede. Se si tratta di qualcosa che può attendere, mi lasci un messaggio. Qui dentro nessuno le farà più scherzi, e se mai avesse il sospetto che questo succeda, me lo dica e io interverrò. Cristo, — disse, sorridendo ampiamente e alzandosi, — sa cosa diranno di me i libri di storia? «Fitz-James Deshatine, 1943-2026, quarantaduesimo presidente degli Stati Uniti. Durante la sua amministrazione la razza umana fondò la prima colonia autosufficiente su un altro pianeta.» È tutto quello che otterrò, Roger, ammesso che ci riesca… e lei è l’unico che può darmelo.
«Bene, — prosegui, avviandosi verso la porta, — mi aspettano alla conferenza dei governatori a Palm Spring. Mi aspettano da sei ore, ma ho pensato che lei fosse molto più importante. Dia un bacio a Dorrie per me. E mi telefoni. Se non ha nulla di cui lamentarsi, mi chiami per salutarmi. Quando vuole.»
E se ne andò, seguito dallo sguardo stupefatto dell’astronauta.
Prendila come vuoi, rifletté Roger, è stata veramente una scena spettacolosa. Si sentiva sgomento e compiaciuto. Anche tenendo conto che il 99 per cento era retorica, quel che restava era estremamente gratificante.
La porta si aprì ed entrò Sulie Carpenter, un po’ spaventata. Aveva in mano una foto incorniciata. — Non sapevo che avesse simili amicizie, — disse. — Questa la vuole?
Era una foto del presidente, con la dedica: «A Roger, dal suo ammiratore Dash.»
— Credo di sì, — disse Roger. — Può appenderla da qualche parte?
— È sempre possibile, quando si tratta di una foto di Dash, — rispose la donna. — Ha un marchingegno autoadesivo. Va bene qui? — Premette il ritratto contro la parete, vicino alla porta, e fece un passo indietro per ammirarla. Poi si girò, strizzò l’occhio e tirò fuori dal camice una macchina fotografica, nera e piatta, grande quanto un pacchetto di sigarette. — Guardi l’uccellino, — disse, e scattò. — Non mi farà la spia? Okay. Adesso devo andare… non sono in servizio, adesso, ma volevo venire a darle un’occhiata.
Roger si abbandonò sui cuscini e intrecciò le mani sul petto. Gli sviluppi della situazione erano piuttosto interessanti. Non aveva dimenticato la sofferenza interiore causata dalla scoperta della castrazione, e non aveva scacciato Dorrie dalla propria mente. Ma né l’una cosa né l’altra veniva più percepita come sofferenza. C’erano troppi pensieri nuovi e più piacevoli.
Pensare a Dorrie gli fece ricordare il dono che lei gli aveva inviato. Aprì il pacco. Conteneva una coppa di ceramica dai colori del grano, ornata da una cornucopia di frutti. Il biglietto diceva: «Questo è un modo per dirti che ti amo». Era firmato Dorrie.
Tutti i dati relativi a Torraway adesso erano stabili, e noi ci stavamo preparando a mettere in fase i circuiti mediatori.
Questa volta Roger venne debitamente informato. Brad era sempre con lui… dopo essersi preso una parte delle sfuriate del presidente, era tutto serietà e diligenza. Incaricammo una squadra di sovrintendere alla mesa in fase dei circuiti mediatori, e un’altra di occuparsi dello scambio di dati tra il 3070 di Tonka e il nuovo computer portatile che si trovava a Rochester, nello Stato di New York. Il Texas e l’Oklahoma, proprio allora, stavano attraversando uno dei loro brownouts periodici, il che complicava tutte le manipolazioni dei dati; e gli esseri umani dello staff erano ancora afflitti dai postumi dell’influenza. Eravamo decisamente a corto di effettivi.
E poi, ci occorreva ben altro. Il computer portatile era classificato attendibile al 99,999999999 per cento in ogni suo componente, ma aveva qualcosa come 108 componenti. C’erano rinforzi adeguati, e una intera panoplia di circuiti a cross-input: e anche se tre o quattro subsistemi principali avessero fatto cilecca, sarebbe rimasta comunque un’efficienza adeguata per permettere a Roger di tirare avanti. Ma non bastava. Le analisi indicavano che c’era una possibilità su dieci di un guasto critico entro un mezzo anno marziano.
Perciò venne presa la decisione di costruire, lanciare e mettere in orbita intorno a Marte un 3070 di grandezza regolare, riproducendo in triplicato tutte le funzioni del computer portatile. Non sarebbe stato utile quanto il portatile. Se questi si fosse guastato totalmente, Roger avrebbe avuto l’uso dell’orbiter solo per il cinquanta per cento del tempo… quando l’orbita lo portava al di sopra dell’orizzonte e gli permetteva di collegarsi con lui via radio. Nella peggiore delle ipotesi vi sarebbe stato un ritardo di un centesimo di secondo, ed era tollerabile. Inoltre, Roger avrebbe dovuto rimanere all’aperto, oppure mantenere il collegamento per mezzo di un’antenna esterna.
C’era un’altra ragione che giustificava l’orbiter di appoggio: era l’alto rischio di interferenze. Tanto il 3070 in orbita che il portatile erano pesantemente schermati. Tuttavia, al lancio, dovevano attraversare le fasce di Van Allen, e per tutto il volo sarebbero stati investiti dal vento solare. Quando fossero giunti nelle vicinanze di Marte, il vento solare si sarebbe ridotto a un livello abbastanza basso da venir considerato sopportabile… tranne nel caso di eruzioni. Le particelle cariche di un’eruzione solare potevano facilmente scombinare un numero sufficiente di dati, in uno dei due computer, da danneggiarne le funzioni in modo critico. Il portatile a zaino non sarebbe stato in grado di difendersi. Il 3070, d’altra parte, aveva una capacità di riserva sufficiente per continuare la sorveglianza e le riparazioni interne. Nei momenti d’ozio — e ve ne sarebbero stati molti, per il 90 per cento delle sue funzioni, anche quando lo avrebbe usato Roger — avrebbe comparato i dati in ciascuna delle sue triplici organizzazioni. Se un dato differiva dal dato corrispondente dell’altra organizzazione, controllava la compatibilità rispetto agli altri dati: se tutti i dati erano compatibili, esaminava tutte e tre le organizzazioni e faceva in modo che il bit aberrante si conformasse agli altri due. Se gli aberranti erano due, controllava con il computer portatile, se era possibile.