Era tutta la ridondanza che potevamo permetterci: ma era già tanto. In complesso, eravamo molto soddisfatti.
Certo, il 3070 orbitante avrebbe richiesto parecchia energia. Calcolammo il probabile assorbimento massimo in confronto al peggior caso probabile di rifornimento, garantito da ogni possibile serie ragionevole di pannelli solari, e concludemmo che il margine era troppo scarso. Perciò Raytheon ricevette l’ordinazione urgente per uno dei suoi generatori MHD, e delle squadre si misero al lavoro per modificarlo e metterlo in grado di sopportare il lancio e di funzionare automaticamente in orbita intorno a Marte. Quando il 3070 e il generatore MHD fossero arrivati in orbita, si sarebbero collegati tra loro. Il generatore avrebbe fornito tutta l’energia necessaria al computer, pur serbandone una quantità sufficiente per trasmettere a mezzo di microonde il surplus utile a Roger, sulla superficie di Marte: ed egli avrebbe potuto servirsene sia per alimentare nel modo più opportuno le proprie parti meccaniche, sia per tutto l’equipaggiamento a energia che intendesse installare.
Non appena completammo tutti i piani, non riuscimmo a capire come avevamo potuto pensare di farne a meno, all’inizio. Quelli furono giorni felici. Noi chiedevamo, e ricevevamo tutto il necessario, tutti i rinforzi che ci occorrevano. Tulsa rimase senza illuminazione, per due notti la settimana, perché noi potessimo disporre delle riserve d’energia indispensabili, e i Jet Propulsion Laboratories furono costretti a cedere al nostro progetto l’intero staff di specialisti di medicina spaziale.
La trasmissione dei dati procedeva. Parecchie interferenze si inseguivano allegramente nei due nuovi computer, il portatile di Rochester e il 3070 duplicato che era stato spedito in tutta fretta a Merrit Island. Ma noi le identificammo, le isolammo, le correggemmo, e senza sgarrare dalla tabella di marcia.
Fuori, naturalmente, il mondo non era altrettanto idilliaco.
Servendosi di una bomba al plutonio fabbricata artigianalmente con il materiale rubato al reattore autofertilizzante di Carmarthen, i nazionalisti gallesi avevano fatto saltare la caserma di Hyde Park e quasi tutto Knightsbridge. In California, le Cascade Mountains erano divorate da fiamme incontrollabili: gli elicotteri del servizio antincendio non potevano alzarsi in volo per mancanza di carburante. Una terribile epidemia di vaiolo aveva spopolato Poona e a Bombay era già sfuggita ai tentativi di arginarla; altri casi vennero segnalati da Madras a Delhi, via via che quanti erano in buone condizioni fuggivano per sottrarsi all’epidemia. Gli australiani avevano ordinato la mobilitazione generale, la Nuova Asia Popolare aveva chiesto una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e Città del Capo era in stato d’assedio.
Tutto andava come avevano predetto i grafici. Noi ne eravamo al corrente; e continuavamo il nostro lavoro. Quando una infermiera o un tecnico trovava il tempo di preoccuparsi, veniva rassicurato dagli ordini presidenziali. Su tutti i tabelloni dei giornali murali e in quasi tutti gli uffici e i laboratori, faceva bella mostra di sé una frase di Dash:
Voi pensate a Roger Torraway, e al resto del mondo penserò io.
Fitz-James Deshatine
Noi non avevamo bisogno di venire rassicurati: sapevamo quanto fosse importante quel lavoro. La sopravvivenza della nostra razza dipendeva dalla sua riuscita. Di fronte a questo, nient’altro aveva importanza.
Roger si svegliò nell’oscurità assoluta.
Aveva sognato, e per un momento il sogno e la realtà si mescolarono bizzarramente. Aveva sognato qualcosa che era avvenuto molto tempo prima, quando lui e Dorrie e Brad erano andati in macchina fino al lago Texoma, insieme ad alcuni amici proprie tari di una barca a vela: e la sera avevano cantato, accompagnati dalla chitarra di Brad, mentre una luna enorme sorgeva sull’acqua. Gli pareva di udire ancora la voce di Brad… ma ascoltò più attentamente, mentre il suo cervello si liberava dalle nebbie del sonno, e non udì nulla.
Non c’era nulla. Questo era strano. Nessun suono, neppure il ronzio ed i ticchettii dei monitor telemetrici lungo la parete, neppure un brusio dal corridoio. Per quanto si sforzasse, con tutta la sensibilità potenziata delle orec.chie nuove, non captò il minimo suono. E non c’era neppure luce. Di nessun colore, in nessun luogo, a parte alcuni riflessi rossi, molto fiochi, irradiati dal suo stesso corpo, e un bagliore altrettanto smorzato che proveniva dallo zoccolo della stanza.
Si mosse, irrequieto, e scoprì di essere legato al letto.
Per un momento, il terrore gli dilagò nella mente: prigioniero, indifeso, solo. Lo avevano spento? Avevano disattivato di proposito i suoi sensi? Che cosa era accaduto?
Un filo di voce, vicino al suo orecchio: — Roger? Sono Brad. Gli indicatori mostrano che sei sveglio.
Il sollievo fu soverchiante. — Sì, — riuscì a dire. — Cosa succede?
— Ti abbiamo creato un ambiente a privazione sensoriale. A parte la mia voce, riesci a udire qualcosa?
— Neppure un suono, — rispose Roger. — Niente di niente.
— E la luce?
Roger riferì che riusciva a scorgere solo la fioca luminosità del calore. — È tutto.
— Benissimo, — disse Brad. — Dunque ecco di che si tratta, Roger. Ti faremo lavorare con il tuo nuovo sensorio, un po’ per volta. Suoni semplici. Semplici disegni. Abbiamo sistemato un proiettore di diapositive attraverso la parete, sopra la testata del tuo letto, e uno schermo accanto alla porta: tu non lo puoi vedere, naturalmente, ma c’è. Ora… aspetta un momento. Kathleeen ti vuol parlare.
Lievi suoni d’attrito, fruscii, e poi la voce di Kathleen Doughty. — Roger, questa testa di cavolo di Brad ha dimenticato una cosa importante. La privazione sensoriale è pericolosa, lo sai.
— L’ho sentito dire, — ammise Roger.
— Secondo gli esperti, la cosa peggiore è il sentirsi impotenti di farla cessare. Perciò, appena cominci a sentirti fuori posto, non hai che da parlare: qui ci sarà sempre uno di noi, e risponderemo. Ci sarà Brad, o Sulie Carpenter, o Clara, oppure ci sarò io.
— Adesso ci siete tutti?
— Cristo, sì… più Don Kayman e il generale Scanyon e, cribbio, metà dello staff. Non ti mancherà certo la compagnia, Roger, questo te lo assicuro. E adesso dimmi, la mia voce ti dà fastidio?
Roger rifletté. — No, direi. Quando parli, sembri una porta che cigola, — rispose.
— Molto male.
— Non credo. Parli quasi sempre allo stesso modo, Kathleen.
La Doughty ridacchiò. — Beh, tanto fra un attimo smetterò di parlare. E la voce di Brad?
— Non ho notato niente. O almeno, non ne sono sicuro. Stavo sognando, e per un momento mi è parso che cantasse Aura Lee, accompagnandosi con la chitarra.
Brad intervenne. — Questo è interessante, Roger! E adesso?
— No, adesso parli normalmente.
— Bene, le indicazioni sono positive. Tutto bene. Ne riparleremo dopo. Ora, ti daremo puri e semplici input visuali. Come ti ha detto Kathleen, tu puoi parlare con chiunque di noi quando vorrai, e noi ti risponderemo. Ma per un po’ noi non parleremo molto. Lascia che i circuiti visivi si adattino, prima che creiamo una confusione con vista e udito simultanei, chiaro?
— Fate pure, — rispose Roger.
Non vi fu risposta, ma dopo un momento un pallido punto luminoso apparve sulla parete di fondo.
Non era brillante. Con i suoi occhi naturali, immaginò Roger, non sarebbe stato neppure in grado di vederlo; ma adesso poteva distinguerlo chiaramente, e persino nell’aria filtrata e purificata della stanza d’ospedale, riusciva a scorgere il fioco raggio di luce che andava dal proiettore alla parete, al di sopra della sua testa.