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— Non è andata molto bene, vero?

Sulie smise di ascoltare. Sapeva benissimo che dopo sarebbe toccato a lei, ma tentava di riflettere. Al di là della scrivania di Scanyon vedeva le inquadrature mobili trasmesse dall’elicottero. Erano espresse schematicamente: le strade erano linee verdi, i veicoli punti azzurri, gli edifici gialli. I pochi pedoni erano di un rosso vivo. Ora, se uno di quei punti rossi avesse improvvisamente cominciato a muoversi alla velocità di un veicolo azzurro, sarebbe stato Roger. Ma Roger aveva avuto tutto il tempo di allontanarsi dall’area che l’elicottero andava controllando.

— Dia ordine di cercare in città, generale, — disse Sulie all’improvviso.

Scanyon aggrottò la fronte, ma prese il telefono e impartì l’ordine. Non ebbe il tempo di posare il ricevitore: c’era una chiamata che non poteva rifiutare.

Telly Ramez si alzò dalla sedia accanto al direttore e girò intorno alla tavola, accostandosi a Sulie Carpenter, che non alzò gli occhi dalla trascrizione della simulazione. Ramez attese, paziente.

La chiamata per il direttore era del presidente degli Stati Uniti. Gli altri presenti lo avrebbero capito dal sudore che colava dalle tempie di Scanyon, anche se non avessero visto la faccia di Dash sul minuscolo schermo. Debolissima, la voce arrivava fino a loro: — … ho parlato con Roger e mi è sembrato… non so, disinteressato. Ci ho pensato parecchio, Vern, e poi ho deciso di chiamarla. Procede tutto bene?

Scanyon deglutì. Si guardò intorno e poi, bruscamente, rialzò i petali insonorizzanti intorno al microfono; l’immagine rimpicciolì, si ridusse alla grandezza di un francobollo. La voce svanì, perché il suono era stato trasferito a un altoparlante parabolico puntato direttamente verso la testa di Scanyon, e le parole del generale venivano inghiottite dagli schermi a forma di petalo. Comunque, i presenti non faticarono a seguire la conversazione: sembrava scritta a chiare lettere sulla faccia di Scanyon.

Sulie alzò gli occhi dalla trascrizione e li fissò su Telly Ramez. — Fagli interrompere la telefonata, — disse, impaziente. — So dov’è Roger.

Ramez disse: — A casa di sua moglie.

La giovane donna si soffregò gli occhi, stancamente. — Penso che per questo non ci occorra una simulazione, no? Mi dispiace, Telly. Forse non lo tenevo saldamente in pugno come credevo.

Avevano ragione, naturalmente: noi lo sapevamo già. Non appena Scanyon smise di parlare con il presidente, l’ufficio del servizio di sicurezza chiamò per riferire che i microfoni nascosti nella camera da letto di Dorrie avevano captato il rumore che Roger aveva fatto entrando dalla finestra.

Gli occhietti gialli di Scanyon sembravano sul punto di riempirsi di lacrime. — Passate il sonoro, — ordinò. — E inquadrate la casa. — Poi prese con il telefono una linea esterna e fece il numero di Dorrie.

Dall’altoparlante giunse uno squillo, poi un rumore metallico e la voce inespressiva del cyborg che gracchiò: — Pronto. — E un momento dopo, sommesso ma altrettanto inespressivo: — Cristo.

Scanyon gettò via il microfono e si strofinò gli occhi. — Cosa diavolo è successo? — domandò. Nessuno rispose a quella domanda retorica; impacciato, il generale riprese il microfono. — Ricevo una specie di segnale di guasto, — annunciò.

— Possiamo mandare un uomo, generale, — propose il vicecapo del servizio di sicurezza. — Ci sono due dei nostri in quella macchina, là davanti alla casa. — L’inquadratura ripresa dall’elicottero si era spostata, fermandosi ad una quota di 600 metri sopra Courthouse Square della città di Tonka. Un rettangolo buio circondato dalle luci mobili delle macchine, appena sotto il punto centrale dello schermo, era Courthouse Square, e la casa di Roger era indicata da una stellina rossa. Il vicecapo tese la mano verso la chiazza di luce vicina, per mostrare la macchina. — Eravamo in contatto con loro, generale, — proseguì. — Non hanno visto entrare il colonnello Torraway.

Sulie si alzò. — Non lo consiglio, — disse.

— I suoi consigli non mi entusiasmano molto, adesso, maggiore Carpenter, — ringhiò Scanyon.

— Comunque, generale… — Sulie s’interruppe, quando Scanyon alzò la mano.

Dall’altoparlante uscì, esile, la voce di Dorrie: Voglio una tazza di tè. E poi la voce di Roger: Non preferisci che ti prepari qualcosa da bere? E la risposta, quasi impercettibile: No.

—  Comunque, — intervenne Sulie, — adesso Roger è abbastanza stabile. Non roviniamo tutto.

— Ma non posso lasciarlo là! Chi diavolo può sapere cosa combinerà, dopo? Lei, forse?

— Lo ha individuato. Non credo che si muoverà, comunque, almeno per un po’. Don Kayman non si trova molto lontano di lì, ed è un amico. Gli dica di andare a prendere Roger.

— Kayman non è specialista di combattimento.

— È questo che vuole? Se Roger non torna indietro con le buone, cos’ha intenzione di fare?

Vuoi un po’ di tè?

No… No, grazie.

—  E spenga quell’apparecchio, — aggiunse Sulie. — Lasci un po’ d’intimità a quel povero diavolo.

Scanyon tornò a sedere, lentamente, battendo entrambe le mani sul piano della scrivania, con molta delicatezza. Poi prese il telefono e impartì gli ordini. — Faremo ancora una volta a modo suo, maggiore, — disse. — Non perché io abbia molta fiducia. Ma non ho altra scelta. Non posso minacciarla. Se va male anche questa volta, non credo che sarò in condizioni di punire nessuno. Ma sono certo che qualcuno provvederà anche a questo.

Telesforo Rasmez disse: — Signore, capisco la sua posizione, ma penso che lei non sia giusto nei confronti di Sulie. La simulazione mostra che Roger deve avere un confronto con sua moglie.

— Lo scopo di una simulazione, dottor Ramez, è dirci quello che accadrà prima che accada.

— Bene, e dimostra anche che Torraway è fondamentalmente piuttosto stabile sotto ogni altro aspetto. Sistemerà tutto, generale.

Scanyon riprese a battere le mani sulla scrivania.

Ramez proseguì: — È un uomo complicato. Lei ha visto i suoi risultati nei Test di Appercezione Tematica, generale. Ha punteggi elevati in tutte le aspirazioni fondamentali: realizzazione, affiliazione… non molto elevati per quanto riguarda il potere, ma comunque ragionevoli. Non è un manipolatore. È introspettivo. Ha bisogno di chiarire le cose dentro di sé. Queste sono le qualità che lei vuole, generale. Roger ne ha bisogno. Non può pretendere che abbia una personalità, qui in Oklahoma, e su Marte ne abbia un’altra.

— Se non mi sbaglio, — disse il generale, — è quanto lei mi aveva promesso, con le sue modifiche del comportamento.

— No, generale, — disse pazientemente lo psichiatra. — Ho promesso soltanto che, se gli avesse dato una ricompensa come Sulie Carpenter, Roger avrebbe trovato più facile riconciliarsi con i problemi nei confronti della moglie. Ed è stato così.

— Il mod-B ha la sua dinamica, generale, — intervenne Sulie. — Lei mi ha chiamato piuttosto tardi.

— E cosa vorreste dirmi? — chiese minacciosamente Scanyon. — Che Torraway crollerà, quando sarà su Marte?

— Spero di no. Le probabilità sono buone, le migliori che noi possiamo creare, generale. Roger si è liberato di una quantità di vecchio ciarpame: può vederlo dai suoi ultimi Test di Appercezione Tematica. Ma fra sei giorni se ne sarà andato, e io non farò più parte della sua vita. E questo è un errore. Il mod-B non dovrebbe mai venire troncato bruscamente. Andrebbe interrotto gradualmente… Roger dovrebbe vedermi sempre meno spesso, fino a che avesse la possibilità di costruirsi delle difese.