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Il drago rallentò e si fermò a poche decine di metri, con la lingua di fiamma immobile protesa verso le montagne. La vista di Roger si annebbiò e cambiò; la fiamma si era attenuata, e la mole della cosa spiccava in una luminescenza spettrale. Due esseri più piccoli si lasciarono cadere dal dorso del drago: erano brutti animali scimmieschi, che avanzavano pesantemente e trasudavano minacce ad ogni gesto.

Non c’erano draghi, su Marte, e neppure gorilla.

Roger fece appello a tutte le sue energie. — Don! — urlò. — Brad!

Non riuscì a farsi udire!

Sapeva che il fratello portatile continuava a negare energia alla trasmittente. Sapeva che le sue percezioni si erano ingannate, che il drago non era il drago e i gorilla non erano gorilla. Sapeva che se non fosse riuscito a sopraffare il fratello portatile sarebbe accaduto probabilmente qualcosa di terribile, perché sapeva che le sue dita si andavano chiudendo delicatamente, lentamente, intorno a un pezzo di limonite grosso come una palla da baseball.

E sapeva che mai, come in quel momento, era stato così vicino a perdere la ragione.

Roger compì uno sforzo immenso per riconquistare la lucidità.

Il drago non era un drago. Era la jeep marziana.

Gli scimmioni non erano scimmioni. Erano Brad e Don Kayman.

Non lo minacciavano. Avevano percorso tutta quella strada nella gelida notte marziana per ritrovarlo e aiutarlo.

Si ripeté quella verità, più e più volte, come una litania: ma qualunque cosa pensasse, non poté impedire ciò che fecero le sue braccia e il suo corpo. Le mani afferrarono il pezzo di roccia; il corpo si alzò; le braccia scagliarono la pietra, con precisione esatta, contro il faro della jeep.

La lunghissima lingua di fiamma immobile si spense.

La luce irradiata dal milione di stelle brillanti bastava ai sensi di Roger, ma sarebbe stata di ben scarso aiuto per Brad e Don Kayman. Roger poteva vederli (ancora gorilloidi, ancora minacciosi), mentre incespicavano incerti; e sentiva ciò che stava facendo il suo corpo.

Strisciava verso di loro.

— Don! — urlò. — Attento! — Ma la voce non uscì mai dal suo cranio.

E una pazzia, si disse. Devo fermarmi!

Non poteva fermarsi.

Io so che non sono nemici! Non voglio far loro del male…

E continuava ad avanzare.

Era quasi sicuro di poter udire le loro voci, ormai. Così vicine, le loro trasmittenti sarebbero sembrate assordanti in condizioni normali, senza l’intervento del regolatore automatico di volume. Sebbene egli fosse isolato, c’era qualche infiltrazione.

— … qui intorno, da qualche parte…

Sì! Riusciva addirittura a distinguere le parole; e la voce, ne era sicuro, era di Brad.

Gridò con tutta la forza di cui poteva disporre: — Brad! Sono io, Roger! Temo che cercherò di ucciderti!

Implacabile, il suo corpo continuò a strisciare. Lo avevano udito? Gridò ancora; e questa volta li vide fermarsi entrambi, come se ascoltassero un grido debolissimo e lontano.

Il filo sottile della voce di Don Kayman mormorò: — Questa volta sono sicuro di averlo sentito, Brad.

— Sì! — ululò Roger, cercando di approfittare di quel vantaggio. — Attenti! Il computer mi domina. Sto cercando di sopraffarlo, ma… Don! — Adesso era in grado di distinguerli, perché il prete teneva il braccio proteso, rigidamente, nella tuta pressurizzata. — Andatevene! Cercherò di uccidervi!

Non riuscì a comprendere le parole; erano più forti, ma i due uomini gridavano contemporaneamente e il risultato era un caos. Il suo corpo non ne fu affatto influenzato: continuò la sua avanzata mortale, furtiva.

— Non riesco a vederti, Roger.

— Sono a dieci metri da voi… a sud? Sì, a sud! Sto strisciando. Sul terreno.

Il vetro del visore del prete scintillò nella luce delle stelle girandosi verso di lui; poi Kayman si voltò e si lanciò a corsa.

Il corpo di Roger si rialzò, si accinse a balzare all’inseguimento del prete. — Più forte! — urlò Roger. — Oh, Cristo! Non riuscirai a fuggire… — Anche illeso, anche alla luce del giorno, anche senza l’impedimento della tuta, Kayman non avrebbe avuto possibilità di sfuggire ai meccanismi perfettamente funzionanti del corpo di Roger. In una situazione simile, fuggire era tempo sprecato. Roger senti i propri muscoli tendersi per un balzo, sentì le proprie mani avventarsi per afferrare e distruggere…

L’universo turbinò intorno a lui.

Qualcosa l’aveva colpito alle spalle. Crollò in avanti, bocconi: ma i suoi riflessi fulminei gli fecero compiere un mezzo giro su se stesso mentre cadeva, per artigliare la cosa che gli era balzata sulla schiena. Brad! E poté sentire che Brad lottava freneticamente con qualcosa, con una parte del…

E la sofferenza più grande lo colpì; e perse conoscenza, come se si fosse spento un interruttore.

Non c’erano suoni. Non c’era luce. Non c’erano i sensi del tatto, dell’odorato e del gusto. Roger impiegò molto tempo per rendersi conto di essere conscio.

Una volta, quando non si era ancora laureato e partecipava a un seminario di psicologia, si era offerto volontario per trascorrere un’ora in una vasca a privazione sensoriale. Gli era parsa un’eternità: nessuna sensazione giungeva fino a lui, nient’altro che i suoni sommessi del suo corpo funzionante: il tonfo sommesso del polso, un fruscio nei polmoni. E adesso non c’era neppure quello.

Per molto tempo. Roger non sapeva immaginare per quanto continuasse così.

Poi percepì un vago fremito nel suo spazio personale interiore. Era una sensazione strana, difficile da identificare: come se fegato e polmoni si scambiassero posto, delicatamente. Continuò così per un po’ di tempo, e Roger comprese che gli stavano facendo qualcosa: cosa, non era in grado di intuirlo.

E poi una voce: — … si doveva far atterrare subito il generatore sulla superficie. — Kayman?

E una risposta: — No. In quel modo poteva operare solo in linea di visuale, cinquanta chilometri al massimo. — Quella era sicuramente Sulie Carpenter!

— E allora dovevano esserci dei satelliti relay.

— Non credo. Sarebbe costato troppo. E avrebbe richiesto troppo tempo, comunque… anche se finirà proprio così, quando la Nuova Asia Popolare e i russi e i brasiliani porteranno tutti qui i loro teams.

—  Beh, è stata una sciocchezza.

Sulie rise. — Comunque, adesso tutto andrà per il meglio. Titus e Dinty hanno staccato tutta la baracca da Deimos e la stanno mettendo in un’orbita sincrona. Resterà sempre sulla verticale, al massimo con una deviazione non eccessiva. E Titus e Dinty terranno il raggio bloccato su Roger… come?

Adesso, era la voce di Brad. — Ho detto, smettila di chiacchierare per un momento. Voglio accertare se adesso Roger può udirci. — Di nuovo quel fremito interno e poi: — Roger? Se mi senti, muovi le dita.

Roger tentò, e si accorse che se le sentiva di nuovo.

— Magnifico! Okay, Roger. Sei a posto. Ho dovuto farti un po’ a pezzi, ma adesso è tutto sistemato.

— Può sentirmi? — Era la voce di Sulie; Roger agitò le dita, entusiasticamente.

— Ah. Vedo che puoi sentirmi. Comunque sono qui, Rog. Sei rimasto privo di sensi per circa nove giorni. Avresti dovuto vederti. C’erano pezzi tuoi un po’ dappertutto. Ma Brad è convinto di averti rimesso insieme.

Roger tentò di parlare, senza riuscirvi.

La voce di Brad: — Ti restituirò la vista tra un minuto. Vuoi sapere cos’era successo? — Roger agitò le dita. — Non ti eri allacciato i pantaloni… più o meno. Avevi lasciato scoperti i terminali di ricarica, e un po’ di quella sabbia, che è quasi tutta ossido di ferro, deve essere entrata provocando un corto circuito parziale. Perciò sei rimasto con poca energia. … che succede?