Tutto ciò avrebbe dovuto rafforzare la mia decisione: vattene, Oliver, vattene, vattene subito, prima che le tragedie della vita ti si avvicinino ancora di più! Sei destinato a morire, proprio come gli altri; perciò, perché prendere tempo? Muori subito. Muori subito. Risparmiati un sacco di fastidi.
E invece, cosa strana, il mio interesse al suicidio svanì rapidamente, anche se la mia filosofia non cambiò. Cessai di elencare i modi di uccidermi. Cominciai a fare piani per il futuro, invece di partire dal presupposto che me ne sarei andato entro pochi mesi. Decisi di non arrendermi alla Morte ma di combatterla. Sarei entrato all’università, sarei diventato uno scienziato, avrei appreso tutto ciò che mi fosse stato possibile, e forse avrei anche spinto un pochino più in là i confini del regno della Morte.
E adesso so per certo che non mi ucciderò mai. Non ne avrò mai più l’intenzione. Andrò avanti a lottare fino alla fine; e se la Morte dovesse venire a ridermi in faccia, le riderò in faccia a mia volta. E c’è un’altra cosa. Supponiamo che il Libro dei Teschi sia autentico. Supponiamo che esista davvero il modo di sfuggire alla morte. In tal caso mi sarei fatto proprio un bello scherzo, dieci anni fa, se mi fossi tagliato i polsi.
Devo aver già guidato per sei o settecento chilometri, oggi, e non è ancora mezzogiorno. Qui le strade sono grandi: ampie, diritte, vuote. Amarillo è laggiù davanti a noi. E poi Albuquerque. E poi Phoenix. E poi, finalmente, cominceremo a scoprire un sacco di cose.
16
Eli
Come appare strano, il mondo, da queste parti! Texas. Nuovo Messico. Un paesaggio lunare. Chissà perché questa gente avrà voluto sistemarsi in una regione simile. Vasti altopiani bruni senza un filo d’erba, cosparsi solo di contorti cespugli grigioverdi. Brulle montagne violacee, scoscese e frastagliate, si staccano nettamente contro l’orizzonte d’un azzurro intenso: sembrano denti guasti.
Io credevo che le montagne dell’ovest fossero molto più grandi di queste. Timothy, che è stato dappertutto, dice che le montagne davvero grosse sono nel Colorado, nello Utah, in California; sono soltanto colline, alte millecinquecento-milleottocento metri. Sono rimasto piuttosto scosso. La cima più alta a est del Mississippi è il monte Mitchell, nella Carolina Nord: qualcosa come duemiladieci metri. Ci ho perso una scommessa quando avevo dieci anni, e non l’ho più dimenticato. La montagna più alta che io abbia mai visto prima di questo viaggio è il monte Washington, nel New Hampshire: milleottocentonovanta metri o giù di lì. Mi ci hanno portato i miei genitori, un anno che non siamo andati sulle Catskill. Appunto il monte Washington, avevo scommesso che era il più alto.
E qui, intorno a me, ci sono montagne delle dimensioni di quelle, e sono soltanto colline. Probabilmente non hanno neanche un nome. Il monte Washington si ergeva nel cielo come un albero gigantesco, in procinto di rovinarmi addosso spappolandomi. Naturalmente qui la visuale è più ampia, il paesaggio è molto più aperto; perfino una montagna viene rimpicciolita dalla lunghissima prospettiva.
L’aria è fresca, frizzante. Il cielo è di un azzurro e di una limpidezza incredibili. Questa è una terra da apocalisse: mi aspetto di udir risuonare da un momento all’altro, dalla cime di quelle «colline», gli squilli della tromba del giudizio universale. Alle note mirabili di tromba, i defunti si levan dalla tomba… Già. E la morte rimane scornata.
Per tutti i cinquanta o sessanta chilometri in media che separano le varie città, non vediamo che conigli selvatici, daini, scoiattoli. Le città, poi, appaiono come sorte da poco: stazioni di servizio, una fila di motel, casette rettangolari di alluminio che hanno l’aria di poter essere attaccate dietro un’automobile e trainate da qualche parte (e probabilmente è così).
Però abbiamo anche superato due pueblos, vecchi di sei o settecento anni, e ne incontreremo altri. L’idea che qui intorno ci siano indiani in carne e ossa lascia sbalordito il cittadino di Manhattan che è in me. Nei film a colori che per anni ho visto nei vari cinema della Settantatreesima Strada e di Broadway c’erano indiani a bizzeffe: ma ciò non mi ha mai coinvolto emotivamente, poiché nella mia fredda saggezza di ragazzino sapevo che si trattava in realtà di portoricani o forse messicani abbigliati con fantastiche acconciature di penne. I veri pellirosse erano roba del diciannovesimo secolo, mi dicevo; si erano estinti un sacco di tempo addietro, non ne era rimasto nessuno se non sul nichelino col bisonte sull’altra faccia, e quand’è che se n’è visto uno dal vero? (Se è per questo quand’è che si è visto un bisonte?). I pellirosse, per me, erano tutt’uno con i mastodonti, i tirannosauri, i Sumeri, i Cartaginesi.
E invece no. Eccomi qui nel «selvaggio ovest» per la prima volta in vita mia, e l’uomo dalla pelle color cuoio e dalla faccia piatta che ci ha venduto la birra in quel chiosco era un pellerossa, e il ragazzo paffuto che ci ha fatto il pieno era un pellerossa, e quelle capanne di fango sull’altra sponda del Rio Grande erano abitate da pellirosse, anche se ho visto una foresta di antenne televisive ergersi dai tetti a terrazza in mattoni. Guarda gl’indiani, Dick! Guarda i cactus giganti! Guarda, Jane, guarda quell’indiano che guida una Volkswagen! Guarda Ned che lo supera! Senti l’indiano come suona il clacson!
Credo che la nostra partecipazione emotiva a questa avventura si sia approfondita da quando siamo giunti al bordo del deserto. È il mio caso, almeno. Quella terribile giornata di dubbi, mentre attraversavamo il Missouri, ora mi sembra sepolta nel remotissimo passato, a far compagnia ai dinosauri. Ora so (ma come lo so? come posso affermarlo?) che quanto ho letto nel Libro dei Teschi è vero, che quanto siamo venuti a cercare nel deserto dell’Arizona è vero, e che se avremo perseveranza ci sarà concesso ciò che vogliamo trovare.
Anche Oliver lo sa. Da qualche giorno gli è apparso in superficie un bizzarro fervore arcano. Oh, c’era da sempre, quella sua tendenza alla monomania: ma lui riusciva a tenerla nascosta. Ora invece, appiccicato al volante per dieci o dodici ore al giorno (tanto che in pratica bisogna costringerlo con la forza a fermare l’auto), lascia capire senza ombra di dubbio che per lui non c’è nulla di più urgente che raggiungere la nostra destinazione e sottoporsi alle procedure dei Custodi dei Teschi.
Perfino i nostri due infedeli stanno trovando la fede. Ned, come in tutte le cose, oscilla tra l’accettazione incondizionata e il rifiuto categorico, e spesso si mantiene contemporaneamente in entrambe le posizioni; ci beffeggia, ci stuzzica, e tuttavia studia le carte geografiche e stradali quasi fosse afferrato anche lui dalla smania di arrivare. Ned è l’unica persona di mia conoscenza che sia capace di assistere a una messa solenne all’alba e a una messa nera a mezzanotte, senza avvertire la minima incongruenza e dedicando il medesimo fervore all’una e all’altra cerimonia.
Timothy se ne sta ancora sulle sue: dichiara che partecipando a questo pellegrinaggio non ha fatto altro che accontentare i suoi bislacchi compagni di stanza. Ma quanto di ciò è solo una facciata, un’esibizione di doverosa imperturbabilità aristocratica? Buona parte, sospetto. Timothy ha meno ragioni di noi tre per correre dietro a sistemi metafisici di prolungamento della vita: essendo le sue risorse finanziarie quello che sono, la sua vita — così com’è ora — gli offre già un numero infinito di possibilità. Ma il denaro non è tutto, e nei settant’anni di vita media non si può fare più che tanto, neanche se si ereditano le intere riserve d’oro di Fort Knox. Timothy è tentato dalla visione della Casa dei Teschi, ne sono convinto. Ne è tentato.
Per quando arriveremo alla nostra meta (domani o dopodomani) credo che ci saremo fusi alla perfezione in quell’unità quadripartita che il Libro dei Teschi chiama Ricettacolo: vale a dire, un gruppo di quattro candidati. Speriamo! È stato l’anno scorso, no?, che hanno suscitato tanto clamore quegli studenti del centro-ovest che avevano stipulato un patto di suicidio? Sì. Un Ricettacolo si può considerare l’antitesi filosofica di tale patto. Entrambi costituiscono manifestazioni di alienazione dalla società d’oggigiorno. Io rifiuto totalmente il vostro lurido mondo, dice il membro di un patto di suicidio; perciò scelgo di morire. Io rifiuto totalmente il vostro lurido mondo, dice il membro di un Ricettacolo; perciò scelgo di non morire mai, nella speranza che vivrò per vedere giorni migliori.