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Arizona! Monaci venuti dal Messico, e lì giunti dalla Spagna! Il fregio con i teschi! Cercai affannosamente quell’articolo nella pagina turistica del giornale della domenica. Lo lessi in una specie di delirio.

«Ci sono teschi dovunque, con la mandibola aperta o chiusa, in altorilievo o a tutto tondo… I monaci sono magri, pieni di fervore… Quello con cui ho parlato poteva avere sia trent’anni che trecento…».

Lei è ancora vivo, Padre Perrault! La mia mente si trasse indietro, attonita. Potevo credere a cose simili? Io, scettico, irriverente, materialista, pragmatista? Immortalità? Un culto antico di millenni? Poteva mai esistere, una cosa del genere? I Custodi dei Teschi che prosperavano fra i cactus? Non un mito medioevale, non una leggenda, ma una reale comunità mistico-religiosa giunta di epoca in epoca fino alla nostra civiltà delle macchine e che potevo andare a visitare in qualunque momento avessi deciso di compiere il viaggio? Andarci, e presentarmi come candidato. Sottopormi all’Iniziazione. Eli Steinfeld ancora vivo all’alba del trentaseiesimo secolo!

No, tutto ciò era oltre ogni credibilità. Respinsi la «giustapposizione» di manoscritto e articolo di giornale in quanto pura coincidenza; poi, riflettendoci sopra, ritirai il rifiuto; e infine andai oltre e accettai tutto.

Mi fu necessario un vero e proprio atto di fede, il primo che avessi mai compiuto in vita mia. Mi costrinsi a riconoscere che potevano esserci certe forze superiori alla comprensione della scienza contemporanea. Mi costrinsi a perdere l’abitudine mentale di accantonare l’ignoto fino a quando sia corroborato da prove inconfutabili. Mi aggregai con gioia ed entusiasmo ai sostenitori di Atlantide, dei dischi volanti, della Terra piatta, della macrobiotica, dell’astrologia: a tutta quella masnada di creduloni in compagnia dei quali mi ero sentito raramente a mìo agio prima di allora.

E infine credetti. Credetti in pieno, pur ammettendo la possibilità di errore. Credetti. Poi ne parlai a Ned, e in seguito a Oliver e a Timothy. Gli agitai l’esca sotto il naso. La vita eterna offriamo a te.

E ora eccoci a Phoenix. Palme, cactus, il cammello davanti al motel; eccoci qua. Domani avrà inizio l’ultima fase della nostra ricerca della Casa dei Teschi.

19

Oliver

Forse la mia reazione è stata eccessiva, a proposito di quell’autostoppista. Non so. L’episodio mi lascia sconcertato. Di solito il motivo per cui faccio qualcosa mi è chiaro, sta proprio lì, in superficie. Ma questa volta, no. Sono davvero saltato addosso a Ned, urlando come un matto. Perché?

In seguito Eli mi ha rimproverato, dicendo che non avevo il diritto d’interferire con la libera decisione di Ned di porgere aiuto a un altro essere umano. In quel momento comandava Ned, dato che era lui alla guida. Perfino Timothy, che pure aveva preso le mie parti, mi ha poi detto che a suo parere la mia reazione era stata eccessiva. L’unico a non parlarne è stato lo stesso Ned; ma io sapevo che la faccenda gli bruciava, dentro.

Mi domando e dico perché mai ho agito così. Impossibile che avessi tutta quella fretta di arrivare alla Casa dei Teschi. Avremmo perso un quarto d’ora: e con ciò? che cos’era un quarto d’ora, con tutta l’eternità davanti a noi?

No, ciò che mi rodeva non era il fatto di perdere tempo. E neppure quella scemenza a proposito di Charles Manson. Era qualcosa di molto più profondo, e io so bene di che si tratta.

Ho avuto questo lampo d’intuizione proprio quando Ned ha rallentato per offrire un passaggio all’autostoppista. Quell’hippy è un finocchio, ho pensato. Esattamente con queste parole. Quell’hippy è un finocchio. Ned l’ha fiutato subito, mi sono detto; usando quella percezione extrasensoriale di cui mi sembrano dotati tutti quelli come lui, Ned l’ha fiutato subito e ora vuole prenderlo su per portarselo stasera in albergo.

Sì, devo essere onesto con me stesso: ho pensato proprio questo. Il tutto accompagnato da immagini di Ned e dell’hippy a letto insieme, che si baciavano, che ansimavano, che rotolavano uno sull’altro, che si palpavano a vicenda, che facevano tutto ciò che amano fare i pederasti.

Ma non avevo nessun motivo per sospettare una cosa del genere. L’hippy era solo un hippy, come cinque milioni di altri: piedi scalzi, capelli lunghi e scarruffati, panciotto di pelo, blue jeans scoloriti. Perché mi è venuto in mente che fosse un finocchio? E anche se lo era? Timothy e io non ci siamo forse presi delle ragazze, a New York e Chicago? Perché dunque Ned non dovrebbe prendersi i tipi che piacciono a lui? Cos’è che ho contro gli omosessuali? Uno dei miei compagni di stanza lo è, no? Uno dei miei amici più stretti. Che Ned è pederasta, lo so dal primo giorno che è venuto a stare da noi. Non mi è mai importato, purché non mi facesse profferte. Ned mi piace per quello che vale, e me ne frego delle sue preferenze sessuali. E allora perché questo attacco di bigottismo? Pensaci un po’, Oliver. Pensaci.

Forse eri geloso. Eh? Che ne dici di questa possibilità, Oliver? Forse non volevi che Ned si mettesse con un altro. Ti dispiace esaminare un momento questa ipotesi?

D’accordo. Non ignoro certo che è interessato a me. Lo è da sempre. Quel suo sguardo da cagnolino, quella sua ansia sognante… so che cosa significano. Non che mi abbia rivolto profferte amorose. Ne ha paura: ha paura, superando il limite, di causare la rottura di un’amicizia piuttosto utile. Ma anche così, il desiderio permane.

Mi sono forse comportato da stupido egoista, negando a Ned ciò che desidera da me e tuttavia proibendogli di ottenerlo da quell’hippy? Che razza di pasticcio! Ma devo arrivare per forza a chiarire ogni cosa. La mia collera quando Ned ha rallentato. Le mie urla. Il mio isterismo. In quell’attimo, evidentemente, dentro di me è scattato qualcosa. Devo rifletterci a fondo. Devo giungere alla verità.

La cosa mi spaventa. È probabile che scoprirò qualcosa, su me stesso, che la mia mente conscia si rifiuta di accettare.

20

Ned

Ed eccoci trasformati in investigatori. Su e giù per Phoenix, cercando di scoprire l’ubicazione della Casa dei Teschi. Io lo trovo divertente, essere arrivati fin qui e non poter effettuare l’ultimo collegamento. Tutto ciò che Eli ha come guida è quel suo ritaglio di giornale, che situa il monastero «non molto a nord di Phoenix». Questo «non molto a nord di Phoenix» è un’area piuttosto vasta: significa da qui al Grand Canyon, per dire beninteso da un lato all’altro dello stato.

Questa mattina, dopo colazione, Timothy ha mostrato al portiere il ritaglio di Eli, dato che Eli si sentiva troppo timido o riteneva di avere un’aria troppo da americano dell’est per fare lui le domande. Il portiere non sapeva nulla su nessun monastero da nessuna parte, e ci ha suggerito di chiedere negli uffici del giornale, proprio di fronte al motel. Ma il giornale, essendo del pomeriggio, non apriva fino alle nove; e noi, ancora abituati all’ora dell’est, ci eravamo alzati prestissimo. Erano le otto meno un quarto.

Così abbiamo gironzolato in città per ammazzare quei quarantacinque minuti, osservando le botteghe di barbiere, le edicole, le vetrine dei negozi che vendevano vasi indiani e accessori per cowboy. Il sole era già forte, e il termometro sopra una banca annunciava che la temperatura era di ventisei gradi. Prometteva di essere una giornata afosa. Il cielo era di un azzurro immacolato; le montagne subito oltre la città, di un bruno chiaro. Strade silenziose, praticamente senza traffico. Non era un’ora di punta, lì in centro.

Non ci siamo quasi scambiati una sola parola. Oliver sembrava ancora di cattivo umore per la scenata di ieri a proposito di quell’autostoppista: evidentemente si sentiva imbarazzato, e con buone ragioni. Timothy aveva un’aria seccata e sprezzante. Si era aspettato che Phoenix fosse più vivace, che fosse il dinamico centro della dinamica economia dell’Arizona; e quella tranquillità l’aveva come offeso. (Poi abbiamo scoperto che il quartiere vivace e dinamico si trova due o tre chilometri a nord del centro). Eli era teso e chiuso in se stesso: senza dubbio si stava chiedendo se ci avesse trascinati per nulla attraverso l’intero continente.