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Mettere le mani sui fianchi e piegarsi violentemente di lato finché il tronco si trovi a un angolo di novanta gradi, prima a sinistra e poi a destra.

Stare su una gamba sola,.con l’altro ginocchio attaccato al mento, e saltare come matti.

E via di questo passo, comprese molte cose che non siamo ancora abbastanza duttili da poter fare (avvolgere i piedi intorno alla testa, piegare le braccia al contrario, alzarsi e sedersi a gambe incrociate, eccetera).

Noi ce la mettiamo tutta, che per Fra Bernardo non è mai abbastanza: senza parlare, con la sola scioltezza dei suoi movimenti, lui ci rammenta la grande meta alla quale ci sforziamo di giungere. Ormai io sono pronto ad apprendere, uno di questi giorni, che per conseguire la vita eterna è assolutamente necessario padroneggiare l’arte di ficcarsi il gomito in bocca: se non ci riesci, caro il mio bimbo, mi rincresce tanto ma sei destinato ad appassire per strada.

Fra Bernardo ci fa esercitare fino allo stremo. Esegue lui pure quello che esige da noi, senza saltare un solo piegamento e senza mostrare segni di stanchezza mentre fa le sue contorsioni. Di noi quattro, il migliore di questi esercizi a corpo libero è Oliver e il peggiore è Eli; tuttavia Eli li affronta con un goffo entusiasmo che bisogna per forza ammirare.

Finalmente veniamo congedati, di solito dopo un’ora e mezzo di sfacchinata. Il resto della sera è libero, ma noi non approfittiamo di questa libertà: ormai siamo bell’e pronti a sbatterci sul letto. E così facciamo, perché l’alba arriverà fin troppo presto e Fra Franz passerà col suo allegro bum-bum-bum. Prendiamo sonno subito. Da quando siamo qui, dormo profondamente come non ho mai fatto in vita mia.

Questa, dunque, è la nostra giornata. Che significato ha? Stiamo ringiovanendo? Stiamo invecchiando? Per qualcuno di noi si adempierà la fulgida promessa del Libro dei Teschi? C’è qualcosa che abbia senso, di tutto ciò che facciamo ogni giorno?

I teschi sulle pareti non mi danno risposta. I sorrisi dei frati sono impenetrabili. Tra noi quattro non discutiamo di niente.

Camminando per la mia ascetica stanza, odo nel cranio — nel mio teschio — i rintocchi del gong paleolitico: dang-dang-dang-dang-dang-dang, aspetta e vedrai, aspetta e vedrai, aspetta e vedrai.

E il Nono Mistero incombe su di noi come una spada, di Damocle.

29

Timothy

Oggi pomeriggio., mentre eravamo intenti — a una temperatura di trentadue gradi — a raccogliere cacca di gallina per metterla in barile, ho deciso che ne avevo abbastanza. Lo scherzo era durato troppo. Le vacanze di Pasqua sono quasi finite, comunque, e io voglio andarmene. È quello che provo fin dal primo giorno che siamo qui, naturalmente, ma ho soffocato i miei sentimenti per fare un favore a Eli. Oggi, però, non sono più riuscito a dominarli. Ho deciso subito che gli avrei parlato prima di cena, nell’ora di riposo.

Quando siamo tornati dai campi ho fatto rapidamente il bagno e sono andato lungo il corridoio fino alla stanza di Eli. Lui era ancora in vasca: ho sentito l’acqua che scorreva e lui che cantava con quella sua monocorde voce di basso. Infine è uscito, avvolgendosi nell’asciugatoio. Questo genere di vita gli si confà: è diventato più robusto, più muscoloso. Mi ha rivolto un’occhiata gelida.

— Perché sei qui, Timothy?

— Solo una visita.

— È l’ora del riposo. Dovremmo stare da soli.

— Dobbiamo sempre stare da soli salvo quando siamo con loro - ho ribattuto. — Non abbiamo più la possibilità di parlare fra noi in privato.

— Evidentemente fa parte del rituale.

— Fa parte del gioco — l’ho corretto — del gioco idiota che stanno giocando con noi. Ascolta, Eli: tu sei praticamente un fratello, per me. Nessuno deve dirmi quando posso parlare con te e quando non posso.

— Mio fratello il goy - ha commentato Eli. Un rapido sorriso, acceso-spento. — Abbiamo avuto un sacco di tempo, per parlare. Adesso abbiamo l’ordine di stare lontani l’uno dall’altro. Devi andare, Timothy. Davvero, devi andare prima che i frati ti scoprano qui.

— Ma cos’è, questa, una maledetta prigione?

— È un monastero. Un monastero ha le sue regole, e noi siamo sottoposti alle regole di questo monastero per il solo fatto che siamo qui. — Un sospiro. — Per favore, Timothy, vuoi andartene?

— È appunto di queste regole che voglio parlarti, Eli.

— Non le ho fatte io. Non posso esonerarti da nessuna.

— Lasciami parlare — ho insistito. — Tu sai bene che il tempo continua a scorrere mentre noi ce ne stiamo qui a fare il Ricettacolo. Presto la nostra assenza verrà notata. Le nostre famiglie si renderanno conto che non ricevono da un pezzo nostre notizie. Qualcuno, all’università, si accorgerà pure che non siamo tornati dalle vacanze di Pasqua!

— E con questo?

— Quanto tempo dovremmo rimanere qui, Eli?

— Fino a quando avremo ottenuto quello che desideriamo.

— Tu credi a tutte le fesserie che ci raccontano quelli là?

— Le giudichi ancora fesserie, tu?

— Finora non ho visto né sentito niente che potesse cambiare la mia opinione iniziale.

— E cosa ne dici, dei frati? Che età avranno, secondo te?

Io mi sono stretto nelle spalle. — Sessant’anni. Settanta. Qualcuno magari ottanta. Conducono una vita sana: aria pulita, esercizi, dieta rigorosa. E così si tengono in forma.

— Io credo che Fra Antonio abbia almeno mille anni — ha ribattuto Eli. Con una voce fredda, aggressiva, provocante: mi sfidava a ridergli in faccia, ma io non ne ho avuto il coraggio. — Forse molti di più — ha proseguito. — Lo stesso vale per Fra Miklos e Fra Franz. Non credo che ce ne sia uno solo che abbia meno di centocinquant’anni o giù di lì.

— Magnifico.

— Ma tu che cosa vuoi, Timothy? Vuoi andartene?

— Ci sto facendo un pensierino.

— Da solo o con noi?

— Preferibilmente con voi. Se necessario, da solo.

— Oliver e io non abbiamo intenzione di andarcene, Timothy. E neppure Ned, immagino.

— Questo mi lascia da solo.

— È una minaccia? — ha replicato Eli.

— È una constatazione.

— Tu lo sai che cosa capiterebbe a noialtri se te ne andassi.

— Temi che i frati farebbero valere quel giuramento?

— Abbiamo giurato che non ce ne andremo. Loro ci hanno spiegato quale sarebbe la pena in caso d’inadempienza, e noi abbiamo concordato di mantenere la parola data. Io non sottovaluterei la loro capacità di far valere il nostro giuramento qualora uno di noi gliene desse motivo.

— Fesserie! Sono soltanto un branco di vecchietti. Se uno di loro volesse corrermi dietro, io lo spezzerei in due come niente. Con una mano sola.

— Forse ci riusciresti e forse no. Vuoi essere responsabile della nostra morte, Timothy?

— Non rifilarmi queste porcherie melodrammatiche, Eli. Io sono un uomo libero. Considera questa faccenda da un punto di vista esistenziale, come ci hai sempre chiesto di fare: il nostro destino ce lo foggiamo da noi, e ognuno segue la propria strada. Perché dovrei essere legato a voi tre?

— Hai giurato volontariamente.

— Ritiro il giuramento.

— Benissimo! — ha esclamato Eli. — Ritiralo. Fa i bagagli e smamma. — Mi ha fissato senza batter ciglio, finché io ho dovuto abbassare lo sguardo. Non l’avevo mai visto così deciso, così formidabile. D’improvviso era diventato spaventosamente energico. Oppure aveva dentro di sé un demone. Ha proseguito: — Dunque, Timothy? Sei un uomo libero. Nessuno ti ferma. Per il tramonto puoi essere a Phoenix.

— Be’, non ho poi tutta questa fretta. Volevo discutere di questa faccenda con voi tre, giungere a un accordo ragionevole, senza doverci minacciare a vicenda ma mettendoci tutti d’accordo di…