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Per qualche minuto, prosegue Ned, pensò seriamente di buttarsi anche lui. Poi si calmò un pochino e iniziò la discesa, con grande fatica adesso che non c’era più Oliver ad aiutarlo. Impiegò qualche ora, e quando arrivò a valle era già calata la notte.

Non aveva la minima idea di dove fosse andato a finire il corpo di Oliver, e lì intorno non c’era né polizia né telefono né niente; per cui si fece una scarpinata di tre chilometri fino alla statale più vicina, per trovare qualcuno che gli desse un passaggio fino all’università. (Allora non sapeva ancora guidare, e quindi non aveva potuto usare l’auto di Oliver parcheggiata alla base della montagna).

— Per tutta la strada del ritorno sono rimasto in uno stato di panico totale — dice. — Quelli che mi avevano preso su pensavano che stessi male, e uno voleva portarmi addirittura al pronto soccorso. Ma l’unica cosa che mi opprimeva, che mi ronzava nella mente, era un senso di colpa, di colpa, di colpa, di colpa, per aver ucciso Oliver. Mi sentivo responsabile della sua morte, come se l’avessi materialmente spinto io.

Come già prima, le parole di Ned mi dicono una cosa e il suo atteggiamento me ne dice un’altra. — Colpa — dice la sua voce, ma telepaticamente io sento: soddisfazione. - Responsabile della sua morte — dice lui, e sotto sotto intende: eccitato per il fatto che qualcuno volesse uccidersi per amor mio. - In uno stato di panico totale — dice, e silenziosamente si vanta: entusiasta per il mio successo nel manovrare le persone.

— Ho cercato di persuadermi che non era stata colpa mia — prosegue — che non avevo nessun motivo di pensare che Oliver facesse sul serio. Ma non ci sono riuscito. Oliver era un invertito, e gl’invertiti sono instabili per definizione, giusto? Giusto. E se Oliver aveva detto che si sarebbe buttato giù, io non avrei dovuto sfidarlo a buttarsi, perché era proprio quello che gli occorreva per farlo davvero.

A livello verbale, Ned sta dicendo: — Ero ingenuo e sciocco — ma io capto: ero un porco crudele.

— E poi mi sono chiesto che cosa potevo raccontare a Julian. Ero entrato nella loro vita in comune, avevo civettato con loro fino a ottenere quello che volevo, mi ero messo fra loro due, e adesso avevo sostanzialmente causato la morte di Oliver. E Julian era rimasto tutto solo. Cos’avrei dovuto fare? Offrirmi come sostituto di Oliver? Prendermi cura del povero Julian per tutta la vita? Era un pasticcio, un pasticcio spaventoso. Sono arrivato al nostro appartamento che erano quasi le quattro del mattino, e la mano mi tremava al punto che non riuscivo a infilare la chiave. Avevo provato fra me e me almeno otto discorsi diversi da fare a Julian, tutte le possibili spiegazioni e autogiustificazioni. Ma ho scoperto che non ce n’era più bisogno.

— Julian era scappato col portinaio — suggerisco io.

— Julian si era tagliato i polsi subito dopo la nostra partenza — replica Ned. — L’ho trovato nella vasca. Era morto da più di un giorno. Lo capisci, Timothy, che li ho uccisi io tutt’e due? Lo capisci? Loro mi amavano e io li ho distrutti. E da allora ne porto il rimorso.

— Per non averli presi sul serio quando hanno minacciato di uccidersi?

— Per aver gettato su me stesso la responsabilità quando l’hanno fatto davvero.

36

Oliver

Timothy è comparso mentre io stavo andando a letto. È entrato con un andatura molle e un’aria cupa e imbronciata, e per un attimo non ho capito perché fosse venuto nella mia stanza.

— Okay — ha detto, lasciandosi cadere a terra contro la parete — sbrighiamocela in fretta, eh?

— Mi sembri arrabbiato.

— Lo sono. Sono arrabbiato per tutta questa palude di fesserie in cui sono costretto a sguazzare.

— Non prendertela con me.

— E chi se la prende con te?

— La tua espressione non è esattamente amichevole.

— Il fatto è che non mi sento esattamente amichevole, Oliver. Ma non ce l’ho con te. Ho una gran voglia di smammare da questo posto, domattina stessa dopo colazione. Ma da quant’è che siamo qui? Due settimane? Tre? Tanto o poco che sia, è troppo. Fottutamente troppo.

— Quando hai accettato di venire qui, sapevi bene che ci sarebbe voluto del tempo — gli ho fatto notare. — Non potevamo certo essere sicuri che l’Iniziazione fosse una faccenda da sbrigare in quattro e quattr’otto. Se adesso te ne tiri fuori, metti nei guai noi tre. Non dimenticare che abbiamo giurato…

— Abbiamo giurato, abbiamo giurato, abbiamo giurato! Cristo, Oliver, cominci anche tu a parlare come Eli? Mi critichi, mi rimproveri, mi rammenti che ho giurato… Oh Gesù, come odio tutta questa menata! È come se voi tre mi teneste prigioniero in un manicomio.

— Dunque sei proprio arrabbiato con me.

Timothy ha fatto una spallucciata. — Sono arrabbiato con tutti e per tutto. Ma forse sono arrabbiato solo con me stesso. Per essermi ficcato in questa storia. Per non aver avuto il buonsenso di dirvi fin dall’inizio di lasciarmi fuori. Pensavo che sarebbe stata una cosa divertente, e così ho accettato. Divertente! Merda!

— Sei ancora convinto che tutto questo è solo una perdita di tempo?

— Tu no?

— No, io non la penso così. Ogni giorno che passa sento che cambio, che acquisto un dominio maggiore sul mio corpo, che le mie percezioni aumentano di portata. Mi sto sintonizzando sempre meglio su qualcosa di veramente grosso, Timothy, e lo stesso succede a Eli e a Ned: perciò non vedo per quale motivo non possa capitare anche a te.

— Pazzi! Tre pazzi, ecco cosa siete!

— Se ti sforzassi di essere un po’ meno refrattario e di fare un minimo di meditazioni e di esercizi spirituali…

— Eccoti di nuovo che fai la predica!

— Scusami. Non pensarci più, Timothy. Dimentica tutta la faccenda.

Ho sbuffato forte. Timothy è forse il mio amico più intimo, forse addirittura l’unico amico, e tuttavia di colpo mi sono sentito stufo di lui, stufo del suo faccione taurino, stufo dei suoi capelli a spazzola, stufo della sua arroganza, stufo del suo denaro, stufo dei suoi antenati, stufo del suo disprezzo per tutto ciò che è al disopra della sua comprensione.

Mantenendo piatta e gelida la voce, ho proseguito: — Senti: se questo posto non ti piace, vai. Piglia su e vai. Non pensare che io voglia trattenerti. Vai, se è questo che desideri. E non preoccuparti per me, per il giuramento, eccetera. Sono in grado di badare a me stesso.

— Non so neanch’io cosa voglio fare — ha borbottato lui; e per un attimo il suo volto ha perso l’espressione imbronciata assumendone una che gli era assolutamente estranea: un’espressione d’imbarazzo, di vulnerabilità. Ma subito è svanita, e Timothy mi ha guardato di nuovo con aria truce.

— Un’altra cosa — ha detto, sempre con voce incollerita. — Perché diavolo dovrei spifferare i miei segreti?