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Mentre Ned le fa le fusa in un orecchio, lei continua a inumidirsi le labbra, ad arrossire, a sbattere le palpebre, a titillarsi il crocefisso (il crocefisso!) che le penzola fra le tettone. Sarà una qualche Sally McNelly uscita fresca fresca dal Collegio Madre Cabrini e dalla sua timidezza virginale, e che fatica liberarsene, e adesso, che tutti i santi l’aiutino, c’è uno che vuole davvero sedurla! Senza dubbio Ned le sta raccontando la sua storiella del.prete disilluso, del gesuita fallito, il che gli dona un’aureola cattolica di decadentismo e romanticismo. Arriverà alla meta?

Sì, ci arriverà. Come un poeta alla ricerca di esperienze, spesso fa una capatina nell’altro sesso; e sempre ne seduce le rappresentanti più scalcagnate, la feccia: una ragazza con un braccio solo, una con mezza mandibola, una giraffa alta il doppio di lui, eccetera eccetera. È la sua idea dell’umorismo macabro. In realtà se ne è portate a letto più di me, con tutto che è finocchio, anche se le sue conquiste non sono affatto tipi da primo premio bensì nient’altro che miseri premi di consolazione. Lui dichiara di non provare il minimo piacere nell’atto sessuale, ma soltanto nel crudele gioco della caccia. Vedete, ha detto: stasera non mi lasciate avere un Alcibiade, perciò mi prendo una Santippe. Con la sua ricerca di creature deformi e indesiderate si fa beffe dell’intero mondo ortodosso.

Studio per un po’ la sua tecnica. Già, ma sto sprecando troppo tempo a contemplare anziché agire. Dovrei essere a caccia anch’io. Se qui non è di moda il profondo intellettualismo, perché non scambio il mio con un po’ di disinvoltura? Sei forse al disopra delle necessità della materia, Eli? Parliamoci chiaro: la verità è che tu non ci sai fare, con le ragazze.

Mi offro un whisky con limone e zucchero (ancora il mio «1957ismo» che s’insinua! Chi beve più roba del genere, oggi?) e volto le spalle al banco. Chi è goffo, è goffo per sempre. Vado a sbattere contro una ragazza piccola e bruna, e rovescio metà contenuto del mio bicchiere. — Oh, scusa! Scusami tanto! — esclamiamo all’unisono.

Lei è spaventatissima, sembra una cerbiatta atterrita. Esile, ossa da uccellino, alta sì e no un metro e mezzo, occhi seri e brillanti, naso prominente (Shauneh maideleh! un membro della tribù). La sua diafana blusa color turchese lascia vedere il reggiseno rosa, che tradisce una certa ambivalenza nei riguardi delle usanze attuali.

La nostra timidezza fa scoccare una scintilla: io sento caldo all’inguine, caldo alle guance, e percepisco la sua analoga emanazione di ardore. Talvolta il fenomeno si manifesta in maniera così inconfondibile che viene da domandarsi perché gli astanti non si mettano ad applaudire.

Troviamo un tavolo microscopico e mormoriamo timide presentazioni. Mickey Bernstein, Eli Steinfeld. Ma cosa ci fa una ragazza carina come te, in un posto come questo?

È al secondo anno di scienze politiche alla Hunter, e la sua famiglia sta a Kew Gardens; lei divide con altre quattro ragazze un appartamento nella Settantatreesima. Penso subito di aver trovato la nostra sistemazione per la notte (pensate un po’, Eli lo schmendrick che fa centro al primo colpo!), ma ben presto ho l’impressione che l’appartamento consista in realtà di due camere da letto più cucinino e che perciò non vada bene per un’intera masnada.

Mickey si affretta a precisare che non è un’assidua frequentatrice di ritrovi per giovani, anzi non ci va quasi mai; ma questa sera una delle sue compagne di stanza l’ha trascinata lì per festeggiare l’inizio delle vacanze di Pasqua. Me la indica: alta, pelle e ossa, viso picchiettato di acne, sgraziata, confabula animatamente con un ciondolone dalla barba irsuta, abbigliamento secondo lo stile floreale del 1968. Ecco perché lei si trova lì, assordata dal baccano, e per piacere le offrirei una coca alla ciliegia?

Eli Steinfeld, premuroso uomo di mondo, blocca un marziano di passaggio e gli comunica l’ordinazione. Un dollaro, prego. Accidenti!

Mickey mi domanda che studi faccio. In trappola! Benissimo, caro il mio pedante: scopri le carte.

— Filologia altomedioevale — rispondo. — La disgregazione del latino nelle lingue romanze. Se sapessi cantare ti farei sentire qualche ballata oscena in provenzale.

Lei ride, troppo forte. — Oh, anch’io ho una voce spaventosa! — esclama. — Ma puoi recitarne una, se vuoi. — Mi prende timidamente la mano, dato che io sono troppo nelle nuvole per pensare di prendere la sua. E attacco, quasi urlando le parole nella confusione: 

Can vei la luzeta mover De joi sas alas contral rai, Que s.oblid.es laissa chazer Per la doussor c.al cor li vai

e così via. Lei è travolta, sommersa. Quando ho finito domanda: — È così spaventosamente sporca?

— Affatto. È una tenera canzone d’amore. Bernard de Ventadorn, dodicesimo secolo.

— L’hai recitata così meravigliosamente… - Io traduco, e avverto le ondate di adulazione che piovono su di me. Prendimi, fammi tua, sta trasmettendo lei.

Calcolo che ha avuto nove rapporti sessuali con due uomini diversi ed è ancora alla ricerca disperata del suo primo orgasmo, pur preoccupandosi un bel po’ all’idea di diventare troppo libidinosa troppo presto.

Sono pronto a fare del mio meglio, alitandole nell’orecchio e bisbigliandole tesoretti provenzali. Ma come facciamo a uscire da qui? Dove potremmo andare? Mi guardo intorno, spasmodicamente.

Timothy cinge con un braccio una ragazza bella da mozzare il fiato, che ha una cascata di lucidi capelli biondo rame. Oliver, col suo fascino di ragazzo di campagna, ha preso nella rete due uccellini, vale a dire una bruna e una bionda. Ned sta sempre corteggiando la sua tozza druda. Forse salterà fuori che una di queste ha qualcosa che fa al caso nostro: un appartamento nei dintorni, camere da letto per tutti.

Mi giro di nuovo verso Mickey, la quale mi dice: — Sabato sera facciamo una festicciola. Vengono alcuni suonatori veramente come si deve, voglio dire di musica classica. Se sei libero potresti…

— Per sabato sera sarò già in Arizona.

— Arizona! Sei di quelle parti?

— No, sono di Manhattan.

— Ma allora perché… Voglio dire, non ho mai sentito che uno vada in Arizona durante le vacanze di Pasqua. È una nuova moda? — Un timido accenno di sorriso. — Oh, scusami. Hai la ragazza, laggiù?

— Niente del genere.

Mickey è visibilmente a disagio: non vorrebbe insistere, ma non sa in che modo troncare l’interrogatorio. Infine salta fuori la domanda inevitabile: — Perché ci vai, allora?

E io sono incastrato. Che cosa potrei rispondere?

Da quindici minuti sto recitando un ruolo convenzionale: incallito studente dell’ultimo anno, in caccia di preda nei ritrovi dell’East Side, la ragazza è timida ma ci sta, la conquisto con un po’ di poesia esoterica, una rapida avventura pasquale, grazie di tutto, addio. La solita solfa universitaria.

Ma la domanda di Mickey mi ha spalancato una botola sotto i piedi e mi ha fatto precipitare nell’altro mondo, più oscuro: il mondo della fantasia, il mondo dei sogni, dove compassati giovanotti fanno congetture sulla possibilità di essere esentati per sempre dalla morte, dove studiosi in erba si persuadono scioccamente di aver scoperto un arcano manoscritto che svela i segreti di un antico culto mistico.

Sì, potrei rispondere, stiamo andando alla ricerca della sede segreta della Confraternita dei Teschi; capisci, abbiamo speranza di convincere i Custodi che siamo validi candidati all’Iniziazione; e, naturalmente, se siamo accettati uno di noi dovrà dare con gioia la vita per gli altri e uno dovrà essere ucciso; ma ciascuno di noi è pronto a correre il rischio perché i due fortunati non moriranno mai.