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Prima di andare a letto, sedettero per circa un ora attorno al vecchio tavolo della cucina di Laura. Le due donne chiacchieravano del più e del meno, sorseggiando caffè da tazze di porcellana; Michael le guardava con crescente impazienza. Si sentiva escluso; non tanto dalla conversazione, quanto da ciò che non veniva detto. Fra loro, pensò, lo sanno. Loro capiscono.

Quando non ne poté più, si alzò in piedi. La giornata era stata lunga, e gli ronzava il cervello. Ma sentiva il bisogno di dire qualcosa, di far rendere loro conto che era accaduto qualcosa. Si trattava di un tabù; ma ora il mondo era diverso, e lui si sentì salire le parole come da un pozzo.

— Dovreste spiegarmi qualcosa — disse. Seguì un improvviso silenzio. — Voglio dire; io non sono cieco. Non so dove ci troviamo, ma so che non si può arrivare qui dall’albergo. Non usando le strade normali. — Strade, pensò; angoli e porte. — Io l’ho sentito — disse. — Mi dovreste una spiegazione.

Sua madre distolse lo sguardo, si appoggiò le mani in grembo e rimase a guardarsele, senza proferire una parola. Michael provò un improvviso rimorso. Ma sua zia Laura non era né arrabbiata né sorpresa. Lo guardò fisso negli occhi dalla sua sedia accanto alla finestra.

— Presto saprai — disse con tono tranquillo. — Te lo prometto. Va bene?

La gratitudine che provò lo prese alla sprovvista; era veramente intensa. — Va bene — disse. Perché il fatto era che sua zia diceva sul serio… Lo sentiva.

— Ma ora, a letto — disse Laura. — Penso che sia una buona idea per tutti noi. Riesci a trovare la tua stanza?

Su per le scale, e poi a destra.

Stanco come era, Michael rimase sveglio per un certo tempo, al buio, nel suo nuovo letto, ascoltando i suoni della notte e il tranquillo pulsare delle onde. La casa era silenziosa. Per un lungo periodo, non si udirono voci provenire dalla cucina.

6

Straniera in quel nuovo mondo, Karen decise che la cosa più saggia da fare sarebbe stata iniziare a conoscere la zona circostante.

Trovò una vecchia carta stradale della Texaco in un cassetto ricolmo della cucina di Laura. Sulla mappa, Turquoise Beach era un puntino nero sulla costa in mezzo fra Pueblo de Los Angeles e San Diego. Pueblo de Los Angeles le suonava un po’ strano, ma tutto il resto, sebbene non conoscesse molto bene la California, sembrava più o meno al suo posto. Oltre il confine, dopo San Diego, c’era una città messicana, Ciudad Zaragoza. Era giusta? San Francisco era familiare e rassicurante, ma che dire di grosse città come Alvarado, Sutter, Porzinucola? E poi non riusciva a trovare Hollywood; non sarebbe dovuta essere segnata? Eppure, le cose familiari erano più di quelle strane.

Mi ci abituerò, pensò. Con il tempo mi renderò conto di dove mi trovo. Come per abbracciare il futuro, Karen si ripassò mentalmente la pianta dell’appartamento di sua sorella. Due stanze da letto al piano di sopra e un divano nell’altra camera al piano di sotto. Una grossa sala centrale con parquet lucidato e ampie finestre sul mare. Libri in edizione economica su scaffali fatti in casa e vivaci tende che si muovevano con la brezza diurna da ovest. Su una parete della sala Laura aveva appeso un poster del quadro di Edward Hopper che raffigurava un caffè solitario di Pittsburgh.

La spiaggia non era affollata, e una mattina Karen la percorse per un paio di chilometri. Le spiagge non erano suscettibili ai cambiamenti. I sassi, l’acqua e la sabbia non l’avrebbero impressionata. Il litorale era un misto di pietra nera e pozze d’acqua formate dalla marea, il che non era molto indicato per prendere un’abbronzatura, ma l’ideale per passeggiare alla ricerca di conchiglie o sassolini. Karen provò una certa istintiva simpatia per la gente che vide in quella giornata annuvolata, personaggi che camminavano lungo il bagnasciuga con espressioni serie e maglioni fatti a mano. A un certo punto arrivò a un promontorio pieno di alghe marine sul quale si poté sedere e guardare il paese, con il suo silenzioso intrico di stradine. Identificò l’alta casa di Laura in mezzo alle altre. Casa, pensò, o cercò di pensare. Ma quella parola era solo ipotetica. La saggiò sulla sua lingua, e si chiese se avrebbe mai più avuto un senso per lei.

Una folata di vento dal mare la investì, facendola rabbrividire. Iniziò la lunga camminata per tornare indietro.

Il giorno dopo, Laura la portò in città in macchina per colazione.

Michael aveva detto che sarebbe rimasto volentieri a casa con Emmett. Si stavano lanciando una vecchia palla da baseball sulla spiaggia; Emmett aveva sorriso, annuendo. Emmett era un musicista, le aveva detto Laura, ma era affidabile; sì, avrebbe fatto in modo che Michael mangiasse qualcosa.

Di giorno, Turquoise Beach sembrava ancor più allegramente senza pretese. Laura le spiegò che era un paese abbastanza bohémien. Le case più vecchie, le disse, risalivano agli anni venti. A Turquoise Beach, dal 1923 e per tutto il periodo della depressione economica, c’erano state delle ditte di cibi in scatola che avevano avuto un certo successo, e i baroni dello scatolame si erano costruiti quelle case in stile vittoriano sulle colline che davano sul mare. Quando l’industria dello scatolame aveva chiuso, negli anni Cinquanta, anche Turquoise Beach era andata vicino alla chiusura. Ma invece era riuscita a cavarsela come piccolissimo centro turistico, sebbene troppo lontano dalla città per attrarre un gran numero di visitatori. Era un anacronismo in estinzione, che piano piano era diventata rifugio di eremiti letterati e simili personalità eccentriche.

A metà degli anni sessanta era esplosa come bohéme marittima zingaresca. Aldous Huxley aveva passato i suoi ultimi giorni in una grande casa di mattoni rossi su via Cabrillo, e si diceva che il poeta Gary Snyder avesse trascorso lì diversi inverni. Poi, negli anni settanta, erano arrivati molti piccoli artigiani, e così Turquoise Beach, nel suo piccolo, aveva ripreso a prosperare. La maggior parte degli abitanti erano ormai gente perfettamente integrata e piccolo-borghese che lavorava alla base aerospaziale sull’autostrada. Ma la vecchia atmosfera era rimasta.

Laura parcheggiò sulla via principale, che si chiamava Caracol Street, e Karen seguì sua sorella in un caffè ristorante con sedie pieghevoli e piccoli tavolini anche all’esterno, sul marciapiede. Era già l’una passata, e non c’era più molta gente a mangiare. Un paio di volte, Laura sorrise e fece un cenno a qualcuno che passava per strada. Ma per la maggior parte del tempo rimasero a parlare tra loro; era un posto dove potevano parlare.

— Ti piace finora? — chiese Laura.

Karen si domandò che cosa rispondere. Non era una decisione che poteva prendere subito. Non ancora. — Ne voglio sapere di più — disse.

— Del paese, del mondo, di che cosa?

— Credo… credo del mondo.

— Bella domanda. Da dove posso iniziare?

— Da qualunque parte — disse Karen. — Con qualsiasi cosa. — Ma voleva veramente saperlo? — Esiste il Canada?

— Sì.

— E l’Unione Sovietica?

— Sì… ma i confini sono leggermente diversi.

— Ci sono state guerre?

— Sì.

— Le stesse guerre?

— Non proprio.

— Ci sono bombe atomiche?

— Molto poche. Sono queste le cose che vuoi sapere? — Laura appoggiò il suo tovagliolo e assunse un’aria pensierosa. — Geopolitica. Be’, vediamo. La conferenza di Yalta si è risolta in maniera un pochino differente. Nel 1948 il trattato di Beirut ha messo al bando la proliferazione delle armi nucleari, e il bando viene applicato senza riserve. La Polonia è membro della Comunità Europea. La Turchia è un paese musulmano, ma l’Iran no. Uh…

Karen scosse il capo. — Non importa. Quello che mi stai dicendo è che si tratta di un mondo più pacifico?